La Resistenza palestinese perderà la guerra dopo aver vinto la battaglia?

di Moreno Pasquinelli

Si chiamano indennizzi di guerra. Parliamo dei risarcimenti che uno Stato aggressore deve a quello aggredito a causa delle distruzioni che gli ha inflitto. Israele, anche in questo caso, può farla franca. Con la scusa dei petardi lanciati dai palestinesi, meglio noti come Razzi Kassam, i sionisti hanno scatenato su Gaza una tempesta il cui bilancio approssimativo è agghiacciante. Totalmente o parzialmente distrutte circa 35mila abitazioni, decine di scuole, alcuni ospedali, svariati edifici pubblici, civili e militari, numerose infrastrutture, la rete idrica, elettrica, telefonica e stradale. Financo moschee.

L’ONU ha calcolato che 25.110 famiglie sono rimaste senza alloggio e vivono sfollate, mentre tutti o quasi i luoghi di pertinenza delle locali autorità sono stati rasi al suolo. Chi pagherà per queste devastazioni? Forse chi le ha compiute? Nient’affatto! Pagherà un’altra volta Pantalone, ovvero la cosiddetta “comunità internazionale”. Il bello è che quest’impresa, che è essenzialmente un modo di condonare ad Israele i suoi crimini e togliergli le castagne dal fuoco, viene presentata come un compassionevole gesto umanitario a favore dei cittadini di Gaza i quali, nel frattempo, vivono in condizioni disperate poiché Israele non ha tolto l’assedio e continuare a circondare Gaza con un cordone sanitario impenetrabile.

Riunitasi il due marzo a Sharm el-Sheik la fantasmatica “comunità internazionale” ha racimolato 4,5 miliardi di dollari per la ricostruzione della Striscia. Tra i 75 paesi coinvolti spiccano come donatori l’Arabia Saudita (1 milardo), i paesi del Golfo (1 miliardo), gli Stati Uniti (900 milioni), l’ Unione Europea (552 milioni) per finire con l’Italietta berlusconiana con 100 milioni.

Una cifra che è forse insufficiente per una adeguata ricostruzione, ma certamente colossale dal punto di vista politico. Sono stati già denunciati le modalità arbitrarie e  i criteri ricattatori coi quali i paesi donatori hanno intenzione di usare questi danari. Si dice che i soldi non abbiano colore. Non è vero, tanto più in questo caso. I paesi imperialisti, facendo sponda ad Israele, hanno infatti annunciato che essi erogheranno questi finanziamenti solo a precise condizioni politiche. Quali? Che non siano le autorità della Striscia, leggi Hamas e i suoi alleati della Resistenza a disporne, bensì l’Autorità Nazionale Palestinese, ovvero l’ala di al-Fath che fa capo ad  Abu Mazen. I palestinesi hanno già fatto le spese in Cisgiordania dell’amministrazione dell’ANP degli “aiuti internazionali”: corruzione, malversazione, nepotismo dilaganti. Fu proprio contro l’uso mafioso e illegale dei quattrini occidentali ed arabi che gran parte dei palestinesi fece vincere Hamas nelle ultime elezioni. E’ un fatto inoppugnabile che I soldi della “comunità internazionale” sono stati e vengono utilizzati dall’ANP non solo per saziare gli appetiti della borghesia compradora palestinese e del notabilato ligio alle direttive ad Abu Mazen, ma per discriminare, emarginare e indebolire le forze politiche della Resistenza. Il principio spartitorio è alquanto rudimentale: se stai col governo di Abu Mazen pigli i quattrini, altrimenti fai la fame.

Con questo cinico criterio Abu Mazen ha potuto tenere testa alla protesta popolare, costruirsi una capillare rete di clienetele e resistere al potere. Con questo criterio larga parte della popolazione della Cisgiordania è stata afferrata in una ragnatela corruttiva vergognosa. Tutti sanno che il potere è corrotto, ma nessuno protesta più poiché  non si può sputare sul piatto dove si mangia. E non mangiano solo consistenti fette delle popolazione palestinese. Mangiano le agenzie delle Nazioni Unite e il suo famelico personale, mangiano i funzionari delle ambasciate e degli organismi occidentali in loco, dai cui timbri dipende tutto. Mangiano infine la fittissima rete delle ONG e delle Onlus (sia occidentali che arabe) le quali, sponsorizzate dai Ministeri degli esteri, dall’ONU o da qualche potente uomo politico, sulla base di progetti spesso fittizi, ricevono e smistano fondi ingenti, intrallazzano, trafficano e stipendiano centinaia e migliaia di finti volontari umanitari. A parte alcune lodevoli eccezioni il marcio mondo delle ONG e delle Onlus è infatti detestato da tutti i palestinesi onesti. I quali vedono coi loro occhi e toccano con le loro mani come questa rete tentacolare di organismi simil-umanitari è funzionale al disegno di corrompere i palestinesi, di piegare la loro resistenza, di calpestare la loro dignità. Che insomma altro non è che la longa manus dell’imperialismo e in definitiva del colonialismo razzista di Israele.

E’ facile immaginare come queste armata umanitaria si getterà sul corpo del martoriato popolo di Gaza come un avvoltoio sulla sua preda. Ed è ancor più facile immaginare come i donatori, tutti allineati dietro agli Stati Uniti, useranno la montagna di soldi predisposta, non per un sincero aiuto ai palestinesi, a partire dai più bisognosi, ma come arma di ricatto nei loro confronti. Dove Israele ha fallito con l’assedio e l’aggressione, i suoi amici infingardi vogliono riuscire col ricatto degli aiuti “umanitari”. “Vi aiuteremo ma a certe condizioni, ovvero a condizione che togliete appoggio e consenso ad Hamas”.

Difficile dire se questa cinica strategia avrà successo. Non lo avrà se Hamas resterà unita, se reggerà l’unità della Resistenza, se quest’ultima non ascolterà il canto delle sirene imperialiste che dietro al velo umanitario celano il disegno, appunto, di fiaccare la Resistenza e di dividerla tra buoni e cattivi, tra colombe e falchi. Se avverrà un effettivo controllo popolare di base sull’uso dei fondi. Brutti presagi in questo senso si vanno addensando sul cielo di Gaza. Sarebbe catastrofico che i nemici della Resistenza palestinese, Israele in testa, dopo aver fallito nel tentativo di piegarla con l’assedio, l’aggressione aperta e le cannonate, riuscissero a domarla con l’allettante esca dei soldi, importando a Gaza il modello mafioso della Cisgiordania.