
La nuova tattica Usa nei confronti dell’Iran
Se una tattica fallisce, se ne appronta una nuova. Solo così le potenze rimangono tali.
L’establishment americano lo sa, ed Obama arriva da lì.
Se questo è vero in generale, ha colpito in particolare gli osservatori la mossa di Obama verso l’Iran in occasione del Capodanno persiano, il Nowrooz. Una mossa indubbiamente abile, ma non necessariamente efficace. Probabilmente meno efficace di quel che pensano gli obamiani in genere e quelli di sinistra in particolare. Significativo, come spesso avviene, il titolo immaginifico del Manifesto: “Lo Show di Persia”.
Lo show, lo Scià
Lo show senza dubbio c’è stato, ma che possa riportare l’Iran ai tempi dello Scià (che, in sostanza, è il vero obiettivo Usa) mi sembra del tutto improbabile.
Lo schema dell’iniziativa obamiana è comunque semplice e ben congegnato: a) si mette momentaneamente in soffitta l’armamentario ideologico bushiano – Iran “Stato canaglia”, Ahmadinejad = Hitler, ecc.; b) si mette l’accento sul negoziato, sulla buona volontà, sulla necessità di aprire una nuova era, ma si mantiene fermo il no al nucleare iraniano; c) qualora gli iraniani accettassero lo scambio – riessere ammessi a pieno titolo nella cosiddetta “comunità internazionale” in cambio della rinuncia al nucleare – Washington potrebbe accettare un ruolo di potenza regionale di Teheran volgendolo a quel punto a proprio favore; d) in caso contrario, l’offensiva diplomatica verrebbe utilizzata per far pagare il prezzo agli autori del “no” alle prossime elezioni presidenziali di giugno; e) se anche questo obiettivo fallisse, l’Iran tornerebbe a far parte dell’“Asse del male” e le minacce di un intervento armato tornerebbero a risuonare sulla direttrice Washington – Tel Aviv.
Fin qui lo schema teorico, il cui esito sarà determinato da diverse variabili. Da seguire con molta attenzione quella israeliana. Intanto, dopo la mossa della Casa Bianca, siamo alle prime schermaglie.
Questo il passaggio chiave del messaggio di Obama: “Voi avete una scelta. Gli Stati Uniti vogliono che la Repubblica islamica dell’Iran assuma il suo giusto posto nella comunità delle nazioni. Voi avete quel diritto – ma questo comporta anche delle responsabilità, quel posto non può essere conquistato attraverso l’uso delle armi o del terrorismo, ma piuttosto con azioni pacifiche che dimostrino la vera grandezza del popolo e della civiltà”.
In maniera neanche tanto velata è il solito linguaggio dell’imperatore che mostra minaccioso la carota – “Voi avete una scelta” – ma per riacquistare i vostri diritti dovete passare dalla nostra parte.
Logica la risposta di Khamenei: “Ho sentito slogan sul cambiamento, ma il cambiamento non si è visto”.
Siamo però soltanto alle prime battute di un’operazione politico-diplomatica assai complessa, ed è interessante che il primo stop da Teheran sia venuto dalla Guida suprema piuttosto che da Ahmadinejad.
Le elezioni di giugno
Il fatto è che a giugno si terranno le elezioni presidenziali e la partita è tutt’altro che scontata. Nel 2005 la sconfitta del filo-occidentale Rafsanjani colse di sorpresa l’occidente che iniziò allora ad hitlerizzare il vincitore Ahmadinejad.
Questa volta – dopo il ritiro di Khatami, annunciato 6 giorni fa – sembra che l’opposizione all’attuale presidente punti principalmente su Hossein Musavi, una figura più mediana e a detta di molti non troppo filo-occidentale. E’ a lui che si riferiva Khatami quando ha motivato il ritiro “per evitare la dispersione nell’area riformista”.
Il risultato di giugno appare incerto. A dispetto della propaganda occidentale Ahmadinejad è il principale favorito, anche perché pur avendo molti nemici nel clero sciita dovrebbe poter contare sull’appoggio di Khamenei, un appoggio presumibilmente decisivo. Vi sono tuttavia delle incertezze legate soprattutto agli effetti della crisi economica che ha trascinato verso il basso il prezzo del petrolio, che rimane la base dell’economia nazionale iraniana.
Giocando su queste difficoltà Obama cerca il cambio politico: non più il “regime change” perseguito da Bush, ma pur sempre una svolta che potrebbe offrire agli Usa nuovi spazi di manovra.
Quel che l’Iran non può dare
Vedremo. Non c’è molto da attendere, dato che lo schema di attacco della Casa Bianca si svilupperà nei prossimi tre mesi, fino alle elezioni di giugno. Solo l’esito delle presidenziali consentirà un primo bilancio sull’iniziativa di Obama. La sconfitta dell’asse Khamenei – Ahmadinejad è l’obiettivo di Washington.
Il problema strategico per gli Usa è l’influenza che l’Iran ha conquistato in questi anni in tutta l’area mediorientale, dall’Iraq, all’Afghanistan, al Libano, fino alla Palestina. Un’influenza che questo paese certo non aveva quando – con Reza Pahlavi, lo Scià appunto – gli Usa gli avevano conferito il titolo di “Guardiano del Golfo”. Alla fine degli anni ’70 lo Scià fu cacciato dalla rivoluzione khomeinista ed il Golfo andò in fiamme.
In teoria, tornare alla situazione della metà degli anni ’70 (ovviamente senza Scià) sarebbe l’unico modo di conciliare le esigenze geostrategiche degli Usa con le aspirazioni regionali dell’Iran, ma in pratica questo obiettivo appare irrealistico.
Intanto la rivoluzione ha profondamente cambiato la società iraniana, che si presenta quantomai articolata ma piuttosto unita su un punto: il diritto all’autodeterminazione, incluse le scelte energetiche e militari, a partire dal nucleare.
Il nucleare è esattamente ciò che l’Iran non può dare, quel che non può sacrificare. Non solo per ragioni economiche e militari, anche per ragioni simboliche che spesso in politica sono le più importanti. Su questo punto l’Iran è assai più unito di quanto si possa pensare, e non a caso nessuno dei candidati alla presidenza propone di rinunciare al programma atomico.
Ecco perché una cosa è dire che la mossa di Obama è intelligente (che è indubbiamente vero), altra cosa è pensare che sia sicuramente efficace, il che è assai meno verosimile. Le astuzie della diplomazia possono portare lontano, ma i nodi vengono sempre al pettine. Ed anche gli show prima o poi devono farci i conti.