Chi ha ucciso Kamal Medhat?
Il 20 marzo nel corso di scontri a fuoco tra profughi palestinesi nel piccolo campo Miyeh Miyeh (non lontano da quello ben più grande e importante di Ein el-Hilwe) hanno perso la vita Bassem Faraj e Raef Naufal, quest’ultimo esponente di al-Fatah nonché uno dei principali responsabili del Comitato popolare. Recentemente simili scontri vedevano opposti militanti di al-Fath alle formazioni islamiste radicali o salafite, quasi sempre descritte, e spesso a torto, come “affiliate ad al-Qaida”.
Nessun media libanese, né le organizzazioni della Resistenza palestinese, hanno in questo caso specifico offerto di questo scontro a fuoco una spiegazione di tipo politico. Può essere in effetti che la causa sia stata una faida tra famiglie, legata al malaffare o al controllo di traffici considerati illeciti. I campi profughi non sono infatti “isole felici”. Il degrado in cui vivono ammassati i palestinesi, le inaudite sofferenze che essi patiscono, ne fanno luoghi in cui la criminalità comune prova a mettere radici, malgrado le resistenze dei Comitati Popolari che autoamministrano i campi stessi.
L’assassinio per mezzo di una potentissima autobomba comandata a distanza del numero due di al-Fath in Libano Kamal Medhat, compiuto il 23 marzo proprio a ridosso del varco d’uscita del campo di Miyeh Miyeh, mostra sotto una diversa luce gli incidenti di tre giorni prima. Come se quelli del 20 marzo fossero un’avvisaglia, o dovessero fornire il pretesto al gravissimo attentato in cui, oltre a Kamal Medhat hanno perso la vita un altro noto esponente di al-Fath, Akram Dhaher, e le loro due guardie del corpo.
La gravità di questo attentato è stata sottolineata non solo dai media libanesi e arabi in genere, ma da tutte le componenti della Resistenza palestinese le quali, riunitesi d’urgenza a Beirut il 20 marzo notte, hanno unitamente condannato l’attentato, considerandolo opera dei sionisti. Da tenere in considerazione che Medhat, oltre rivestire il delicatissimo ruolo di capo dell’intelligence di al-Fath, era anche uno dei rappresentanti di rango dello stesso movimento nei colloqui inter-palestinesi che da mesi sono in corso al Cairo, ed era noto per avere costantemente lavorato per superare i dissidi con HAMAS.
Non è quindi per caso che in un comunicato diffuso dal numero uno di HAMAS in Libano, Osama Hamdan, l’attentato è stato condannato contestualmente alla gratitudine per gli sforzi compiuti da Medhat volti a sviluppare e proteggere il dialogo inter-palestinese.
Sulla stessa lunghezza d’onda la significativa dichiarazione di Abu Imar ar-Rafai, rappresentante in Libano del Jihad Islamico: “La morte di Medhat rappresenta una grande perdita a livello nazionale, sia per ciò che rappresentava sia per il suo interesse all’unità palestinese. Questo crimine prende di mira la presenza palestinese in Libano, la sicurezza e la stabilità del paese, e rappresenta un tentativo da parte dei nemici del nostro popolo di amplificare le divisioni”.
E’ quindi stata smentita da tutte le organizzazioni della Resistenza palestinese, la tesi (stranamente diffusa in certi siti web europei e italiani) che Medhat, in quanto notoriamente distante dalle posizioni collaborazioniste di Abu Mazen e difensore dell’accodo con HAMAS, sia rimasto vittima della lotta intestina ad al-Fatah. Non solo tutte le organizzazioni della Resistenza palestinese, ma pure Hezbollah, Nabih Berri di AMAL, tutta la sinistra libanese, hanno chiaramente accusato gli israeliani di essere responsabili del crimine di Miyeh Miyeh. Lo stesso Saad Hariri, capo del blocco reazionario libanese Futuro ha dovuto ammettere che l’attentato è opera di nemici che cercano di seminare discordia tra libanesi e palestinesi.
Mentre le organizzazioni palestinesi hanno dato vita ad un’indagine per scoprire i colpevoli ed hanno contestualmente dichiarato che collaboreranno allo scopo con le forze di sicurezza libanesi, Munir Maqdah, responsabile della sicurezza nei 12 campi profughi esistenti in Libano, ha affermato senza peli sulla lingua che l’attentato mira a far saltare la pace interna attualmente in vigore nei campi (che si incrinò dopo i fatti di Nar el-Bared di due anni fa), anzitutto, testuale, “in quello cruciale di Ein el-Hilwe”.
Se nel conto mettiamo che la principale forza anti-sionista libanese, Hezbollah, è oggi al governo, se consideriamo che in Libano si svolgeranno a giungo decisive e delicatissime elezioni politiche (i sondaggi danno il blocco attorno ad Hezbollah come vincitore), dobbiamo concludere anche noi che non qualche radicale gruppo islamista di tipo salafita, ma proprio i sionisti hanno compiuto questo attacco, i soli ad avere oggi interesse a far saltare tutti gli equilibri libanesi, nella prospettiva ad Israele tanto cara di far ripiombare il paese in una fratricida guerra civile.