E’ sempre difficile ricavare, da alcuni elementi ancora parziali e frammentari, un quadro generale. Occorre quindi essere prudenti nel fare facili previsioni di rivolta sociale partendo da singoli e ancora isolati momenti di conflitto. E’ tuttavia anch’esso sintomatico che nelle ultime settimane la stampa francese, non solo quella anticapitalista, sto parlando anche della grande stampa borghese, si sia messa a gridare al lupo! al lupo!, ovvero stia paventando il rischio che il paese precipiti verso una rivolta sociale generalizzata. I recenti sequestri di dirigenti aziendali da parte delle maestranze sarebbero gli inequivocabili segni di una crisi pre-rivoluzionaria.

I mezzi di informazione tutti concordano infine nel dire che la crisi economica e la conseguente paura che essa si aggravi ulteriormente, sta travolgendo la popolarità di Sarkozy, che nel giro di alcuni mesi sarebbe diventato inviso alla maggioranza dei cittadini francesi. Il malumore verso il governo di Sarkozy cresce ogni giorno di più, dato che le misure d’emergenza adottate sono mirate a salvare la baracca capitalista, dimenticano i ceti popolari e, quel che è peggio, sono tutte volte a potenziare i dispositivi repressivi dello Stato. Come dire: Sarkozy è il primo a sentire puzza di bruciato e propone misure volte anzitutto a spegnere il paventato incendio sociale. Questo non va giù, non solo alla sinistra tutta, ma anche a sempre più vasti settori dello stesso blocco sociale che ha eletto il Presidente, i quali chiedono piuttosto moderazione e disponibilità al dialogo con chi protesta perché subisce gli effetti dolorosi della crisi. Parliamo anzitutto di licenziamenti di massa, di chiusura d’aziende, di una crescita delle aree di esclusione sociale. E’ un fatto che colui che come Ministro degli interni definì racaille la gioventù delle banlieue in rivolta, fa la voce grossa e promette il pugno di ferro contro chiunque osi violare la legalità. Sarkozy si è dunque messo, spalleggiato dalla ostica confindustria transalpina, in rotta di collisione con le proteste sociali. Che poi riesca davvero a usarlo il pugno di ferro, questo è da vedere. Il rischio, sostiene  la grande stampa francese, è quello che sia prossimamente travolto dalla rabbia popolare.

Vediamo velocemente questi sintomi di rivolta. L’11 marzo, per protesta contro la chiusura dello stabilmento di Lacroix, gli operai hanno tirato uova marce e fatto scappare il direttore. Il 13 marzo Serge Foucher, amministratore delegato della Sony France, è stato sequestrato nei suoi uffici, assieme a tre suoi collaboratori da una delegazione di operai e impiegati  che hanno dichiarato che era il solo modo per far sentire la loro voce. Il 24 marzo gli operai della filiale della americana 3M di Pithivier, a sud di Parigi, hanno copiato l’azione alla Sony France, sequestrando il direttore Luc Rousselet. E va ricordato che due settimane prima un caso analogo era accaduto nella filiale Sony di Bordeaux, dove l’amministratore delegato fu preso in ostaggio dagli operai per un’intera notte. Va detto che questa tattica dei sequestri di dirigenti non è nuova in Francia. Accadde al dirigente Michelin di Toul. Anni addietro, sempre per protesta contro la minaccia di chiusura, fatti simili riguardarono l’Edf, Arcelor, Mittal, Bata.

Possiamo affermare che siamo davanti ai segnali di una rivolta generalizzata? Penso sia ancora presto per dirlo. Questa tattica di lotta esprime, più che la forza, la debolezza del movimento operaio, la sua completa polverizzazione, a fronte invece di un padronato aggressivo e compatto. Non è che i sindacati francesi brillino per protagonismo e combattività, non sarà tuttavia un caso che il tasso di sindacalizzazione in questo paese sia il più basso dell’Occidente, appena il 5%. Vero è che lo sciopero generale del 18 marzo, indetto dalle tre centrali sindacali Cgt, Cfdt e Force Ouvriere, ha avuto successo, ma anzitutto grazie ai dipendenti pubblici, mentre nelle aziende private esso non ha sfondato. La bassa sindacalizzazione è un segno della qualità delle relazioni interne  alle aziende private, segnate dal dispotismo padronale, dalla pace corporativa che per decenni vi ha regnato, e dunque della scarsa combattività operaia.  La tattica dei sequestri è una forma di una rinascente lotta di classe? Non è così che essa viene percepita, viene infatti letta come “rivolta dei cittadini” contro un governo che li sta abbandonando, cittadini che chiedono la protezione dello Stato come atto dovuto.

Non vanno affatto sottovalutati questi sussulti, sono i segni di una malessere e di una rabbia che crescono, che dicono che tra tutte le emergenze quella sociale ed economica è diventata assolutamente prioritaria, e attorno ad essa si gioca la grande partita del futuro dell’Europa, le sorti degli equilibri e degli assetti politici e istituzionali. Ma da qui a diventare rivolta generale anticapitalista ce ne corre. C’è di mezzo un salto per nulla facile, il passaggio da forme individualistiche e atomizzate, per quanto legittime, a forme di lotta collettive, unitarie e generali, ovvero politicizzate. Staremo a vedere.

Ha una sua importanza, per finire, che parallelamente a questi sussulti operai si stiano riattizzando, nelle forme consuete, le fiammate nelle periferie. Ed è sintomatico di come il clima stia cambiando che queste fiammate non stiano innescando tra i francesi, come accadde tre anni fa, alcuna ondata di esecrazione e disapprovazione. Soltanto l’unione di tutti i rivoli può dare vita ad una piena rivoluzionaria.