Brevi considerazioni sulle ultime manifestazioni di piazza
Una settimana fa (vedi Europa in piazza) ci eravamo occupati della ripresa della mobilitazione di piazza in diversi paesi europei. Segnali ancora deboli, certamente inadeguati, ma indicativi di un cambiamento della situazione generale. Sintomi dell’avanzare di una crisi ancora non percepita nelle sue dimensioni reali e nella sua natura sistemica, ma sufficienti ad allarmare un potere tronfio nei suoi vertici quanto incapace di risposte all’altezza della situazione.
La settimana appena trascorsa è stata quella delle mobilitazioni di Londra, contro il G20, e di Strasburgo contro il vertice Nato. Manifestazioni dignitose, non gigantesche, che hanno avuto comunque la forza di riproporre la contestazione globale del capitalismo e dell’imperialismo.
Il fatto che i vertici dei padroni del mondo tornino ad essere contestati con forza non è poco. E’ vero che per ora l’azione appartiene soltanto a piccole minoranze, ma si tratta pur sempre di un passo avanti. Un piccolo passo in avanti che preoccupa però i governi europei di ogni colore.
La repressione – specie nei suoi aspetti preventivi – sta tornando prepotentemente sulla scena.
A Londra c’è stato anche il morto. E proprio ieri l’Observer, sulla base di diverse testimonianze, ha pubblicato una nuova versione dei fatti in base alla quale Ian Tomlison, l’edicolante di 47 anni deceduto a margine degli scontri avvenuti nella City mercoledì scorso, sarebbe stato colpito violentemente e gettato a terra dai poliziotti immediatamente prima della sua morte. Viene così a cadere la tesi ufficiale del “malore” diffusa dalle autorità britanniche.
Eravamo presenti alla manifestazione di Strasburgo, ed abbiamo visto con i nostri occhi l’enorme apparato repressivo messo in campo da Francia e Germania. Uno schieramento assai sproporzionato rispetto alla situazione reale, che ha portato perfino alla chiusura delle autostrade di accesso alla città, come se il potere politico volesse in ogni modo segnalare la sua determinazione e la sua forza.
Questo atteggiamento ha portato alla chiusura del “Ponte d’Europa”, impedendo così il ricongiungimento del troncone tedesco con quello francese, al blocco totale del centro storico, all’imbottigliamento del corteo in una zona ristretta e periferica.
A questo, evidentemente, si vuol ridurre il diritto di manifestare in Europa.
Di fronte a questi fatti molti si chiedono se siamo in presenza di un ritorno del movimento “no global”, un movimento che aveva fatto della contestazione dei vertici il suo momento più significativo, certamente quello più visibile.
Al di là delle apparenze non crediamo che di questo si tratti. Diversa è la situazione, diversi i protagonisti. Se nel biennio 1999-2001 si sviluppò un forte movimento caratterizzato da un notevole radicalismo sociale sposato ad un’altrettanto notevole opportunismo politico, oggi questo matrimonio sembra del tutto improbabile.
Dieci anni fa radicalismo di piazza e riformismo nei contenuti politici riuscirono a stare insieme per un po’ di tempo. Poi venne la guerra di Bush che spazzò via quella strana accozzaglia incapace perfino di sostenere le Resistenze all’aggressione imperialista.
Oggi le vecchie sinistre di allora sembrano essersi volatilizzate e ben difficilmente potranno riprendere la funzione di controllo di allora. A Strasburgo questo fatto era evidente, segnalato dalla scarsa consistenza degli spezzoni di partiti e partitini.
Non possiamo sapere cosa ne verrà fuori, ma di certo non avremo la riedizione aggiornata del vecchio movimento “no global”.
La differenza maggiore sta in questo: se allora il movimento, nelle sue varie articolazioni, si presentava come una realtà consistente ma in un contesto di conflitto sociale al minimo; oggi un movimento ancora allo stato embrionale muove i suoi primi passi in un contesto potenzialmente esplosivo.
Il problema è allora la dimensione di massa della mobilitazione. Per ora le masse si muovono solo (vedi manifestazione della Cgil) su obiettivi moderati e minimalisti, come se la crisi fosse sì percepita, ma all’interno di una interiorizzazione del capitalismo come “migliore dei mondi possibili”.
Potrà continuare ad essere così, o scoccherà una scintilla?
Ovviamente noi siamo per una scintilla che inneschi la lotta di massa.
O le manifestazioni di queste settimane serviranno a questo, rendendo visibile la necessità del conflitto, o saranno servite a ben poco. Di questo occorre essere consapevoli.