L’election day del successore di Veltroni
Poi dicono di non voler strumentalizzare il terremoto…
Se Berlusconi lo usa oscenamente come palcoscenico quotidiano, per Franceschini è il nuovo pretesto per salvare il referendum truffa sulla legge elettorale. L’obiettivo truffaldino di disegnare un bipartitismo per legge val bene l’imbroglio di un quorum raggiunto surrettiziamente grazie all’election day.
Le ultime notizie danno ora Berlusconi disponibile al nuovo inciucio bipartisan. Ben si comprende, visto che ne sarebbe il sicuro beneficiario. Resta da vedere se lo consentirà la Lega, che a quel punto rischierebbe la marginalità. A questo è ridotta la “democrazia” italiana…
Una passione che viene da lontano
Franceschini è un ex democristiano di lungo corso, ma ha assimilato la passione per le leggi elettorali ultra-maggioritarie dal suo ex capo Veltroni. Quest’ultimo, esattamente un anno fa, si lanciò nella scommessa del bipartitismo. Perse le elezioni, dalle quali uscì però un parlamento del tutto normalizzato. Poi la coppia Veltroni-Franceschini portò il PD allo sfascio, il segretario alle dimissioni, il vice al provvisorio comando di un vascello in acque assai tempestose.
Ma se il (tendenziale) bipartitismo ha per ora avvantaggiato solo il capo del governo, la vecchia passione maggioritaria non viene meno tra i “democratici”. Calcolo, coerenza od autolesionismo da mancanza d’idee?
Occhetto appoggiò Segni agli inizi degli anni ’90. Ne scaturì il referendum dell’aprile 1993, che portò al sistema uninominale che incoronò due volte (1994 e 2001) Silvio Berlusconi. Nell’intermezzo del centrosinistra (1996 – 2001) non mancarono i tentativi referendari di peggiorare ulteriormente quella legge, con l’eliminazione della quota proporzionale. Essi andarono a vuoto perché il quorum del 50% +1 non venne mai raggiunto.
Poi tutto venne sparigliato dalla nuova legge voluta da Berlusconi per ridurre i danni della prevista sconfitta del 2006. Il resto è storia recente. Una storia che rende un po’ patetica la boria maggioritaria dei veltroniani, ma tant’è.
D’altronde Franceschini è un personaggio che commentando il recente congresso del Pdl si è compiaciuto, con un’autoironia evidentemente inconsapevole, per il fatto che “finalmente anche dall’altra parte c’è ora un grande partito”.
Dalle volanti al terremoto
Il 5 marzo il segretario del Pd se ne esce con questa dichiarazione: “Solo il giorno 7 per le europee, le amministrative e il referendum insieme e i 460 milioni di euro risparmiati con l’election day dovranno servire per la benzina, per riparare le volanti e per assumere subito 5mila poliziotti, carabinieri e finanzieri”.
Al poliziotto Franceschini, a caccia di voti nei verdi pascoli del securitarismo, nessuno fa osservare la sostanza del dettato costituzionale. Così recita il quarto comma dell’articolo 75: “La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”.
Per la Costituzione, dunque, il requisito della partecipazione al voto della maggioranza degli aventi diritto è decisivo e sostanziale. Ora si da il caso che gli ultimi referendum in materia elettorale siano tutti saltati proprio per mancanza del quorum, ed ecco allora la pensata degli imbroglioni bipartisan: l’election day. La grande maggioranza di chi andrà a votare per europee ed amministrative – questo è il calcolo – non rifiuterà certo la scheda referendaria ed il gioco sarà fatto. In quel modo ciò che non è stato possibile raggiungere con il convincimento, verrebbe conseguito con l’apatia di elettori abbastanza indifferenti ai sistemi elettorali, ma condotti al seggio per altra via. Come definire tutto ciò se non imbroglio?
Alla gravità di questo aggiramento delle stesse regole costituzionali si aggiunge la volgarità delle motivazioni: i soldi. Soldi che un mese fa dovevano andare alle volanti, mentre oggi gli è più utile strumentalizzare il terremoto, tanto tutto fa brodo. Ed in questa strumentalizzazione il capo del governo e quello della finta opposizione si sono trovati perfettamente d’accordo.
Al di là delle cifre spropositate che vengono sparate, superiori di 3/4 volte alla realtà, forse potremmo ricordargli che quei soldi (e non è la prima volta) verranno spesi solo per la loro foga antidemocratica ed ultra-maggioritaria, non certo per decidere su questioni di interesse popolare, né tanto meno per soddisfare una vera esigenza democratica. Insomma, mica l’abbiamo promosso noi il referendum!
Le conseguenze del referendum
L’attuale involuzione della democrazia rappresentativa ha la sua causa principale nella riduzione della politica a governance.
In questo quadro conta non la qualità bensì la stabilità del governo, mentre la democrazia si riduce sempre più ad un rito, orientato mediaticamente, nel quale cittadini ridotti a sudditi scelgono il monarca destinato a governarli.
Per raggiungere questo risultato il bipolarismo è necessario, il bipartitismo è consigliato.
Sulla strada del bipartitismo centrodestra e centrosinistra si sono divisi curiosamente i compiti: mentre i primi pensano principalmente ad eleggere il loro monarca, i secondi si preoccupano dei meccanismi dell’incoronazione. Ed ognuno ha quel che si merita…
Cosa cambierebbe, in questo quadro, l’approvazione dell’ennesimo quesito referendario di stampo ultra-maggioritario? E’ presto detto: il premio di maggioranza, che oggi spetta alle coalizioni, andrebbe semplicemente al partito che ottiene più voti, peraltro senza neppure prevedere una soglia minima per poter godere di questo beneficio. Insomma, addirittura peggio della legge Acerbo voluta dal fascismo (1925) che perlomeno una soglia la prevedeva. O, se si preferiscono riferimenti più recenti, una super-porcata in grado di far impallidire la camicia verde di Calderoli. Lo scopo è chiaro: forzare al massimo verso un bipartitismo pressoché perfetto, escludendo dalle istituzioni quelle forze che non dovessero piegarsi alla logica bipartitica. Per raggiungere quest’ultimo scopo il referendum porterebbe a due sbarramenti secchi del 4 ed 8%, per entrare rispettivamente alla Camera ed al Senato.
Calcolo, coerenza od autolesionismo da mancanza d’idee?
All’ineffabile Guzzetta, uno dei promotori del referendum, è scappata di bocca (la Repubblica dell’11 aprile) una incontrovertibile certezza: “Per Berlusconi la data del referendum è una partita win-win: se passa l’abbinamento riesce a coronare il sogno di un Pdl autosufficiente. In caso contrario può sempre dare la colpa alla Lega”.
Eccoci consegnate due verità. La prima è che il referendum potrà passare solo con l’abbinamento, il cosiddetto election day, non certo con il convincimento degli elettori. La seconda è che, nel caso esso passi, il vero vincitore avrebbe il nome ed il volto dell’attuale primo ministro. Davvero un bel risultato per il Pd!
Ed ora che al “SI” di veltroniani e prodiani si è aggiunto anche quello annunciato da D’Alema non resta che tornare a chiederci se si tratti di calcolo, di coerenza o di semplice autolesionismo da mancanza di idee.
Ognuna di queste tre ipotesi sembra in realtà assai fragile. Se come calcolo sembra piuttosto sballato (chi può pensare oggi ad un Pd primo partito?), della coerenza sappiamo che è la virtù meno praticata dalla politica. Resterebbe l’ultima ipotesi: un autolesionismo necessitato dall’assoluta mancanza di idee, quella stessa mancanza di idee che ha portato il Pd ad inseguire il governo sul terreno securitario (preoccupandosi perfino della riverniciatura dei graffi delle volanti), che lo ha condotto ad astenersi sul federalismo, che lo ha indotto a tacere sull’oscena spettacolarizzazione berlusconiana del terremoto abruzzese.
A prima vista un autolesionismo tanto evidente sembrerebbe impossibile. Ma non è stato così già nel 2008, con la presunzione maggioritaria di Veltroni nelle ultime elezioni politiche? Allora la sconfitta elettorale poteva sembrare un insuccesso tattico (peraltro facilmente prevedibile), ampiamente compensato però dal risultato strategico di un bipartitismo che prendeva forma. Ma oggi?
Oggi dalle parti del Pd c’è solo un cumulo di macerie e l’idea di poterne uscire con una sorta di “bipartitismo per legge” sembra davvero campata in aria. Ma forse ci penserà la Lega (che autolesionista non è) a far saltare tutto.
Grandi tempi per la democrazia italiana!