Pubblichiamo questo articolo di Manlio Dinucci, uscito sul Manifesto del 12 aprile, sulle spese militari americane con la presidenza Obama.
Ci siamo già occupati dell’argomento (vedi Riarmiamoci!), pubblicando i dati più recenti sulle spese militari mondiali. Dati dai quali si ricavano soprattutto due cose: la prima è che la spesa militare degli Usa rappresennta il 50% di quella mondiale; la seconda è che non è vero che Obama la stia riducendo, come invece in molti vorrebbero farci credere.

 

Obama e la riforma della guerra

di Manlio Dinucci

La «contro-insurrezione a bassa intensità» e alta mortalità (degli altri)
Robert Gates, il segretario alla difesa passato dall’amministrazione Bush a quella Obama, ha annunciato una «profonda riforma» della spesa militare statunitense. Non si tratta di risparmiare: il presidente ha chiesto, per l’anno fiscale 2009, altri 83 miliardi di dollari per le guerre in Iraq e Afghanistan e, nel 2010, il budget del Pentagono supererà i 670 miliardi. Si tratta di usare meglio questo colossale esborso di denaro pubblico che, con altre voci di carattere militare, ammonta a circa un quarto del bilancio federale. La riforma, spiega Gates, consiste nel ridimensionare i programmi dei maggiori sistemi d’arma e accrescere i fondi per la guerra «controinsurrezione».
Le «lezioni apprese in Iraq e Afghanistan» hanno dimostrato che occorrono veicoli militari più resistenti a mine e ordigni improvvisati. Verranno quindi destinati grossi fondi alla loro realizzazione. Ma questa è solo una parte del programma Future Combat Systems, destinato a potenziare le capacità delle brigate di combattimento: i soldati saranno sempre più integrati in una rete high-tech, con comunicazioni satellitari e veicoli telecomandati. Saranno invece ridimensionati programmi come quello del caccia F-22 Raptor della Lockheed Martin, pensato per scenari da guerra fredda, che si fermerà a 187 esemplari (da 140 milioni di dollari ciascuno). La Lockheed, in compenso, riceverà maggiori fondi per il caccia F-35 Lightning II (Joint Strike Fighter), più adatto per la «controinsurrezione» (c’è anche una versione a decollo corto o verticale per i marine). Tirano un sospiro di sollievo gli azionisti delle società italiane (Avio, Piaggio, Galileo avionica, Oto Melara e altre) che costruiranno le ali del caccia e lo assembleranno.

Il Pentagono punta soprattutto sugli Uav (veicoli aerei senza equipaggio), telecomandati: in particolare il Predator («predatore») e il Reaper («mietitore», ovviamente di vite umane). Il perché lo spiega lo stesso Gates: questi aerei, già impiegati in Iraq, Afghanistan e Pakistan, hanno cominciato a soppiantare, in alcune missioni, quelli con equipaggio a bordo. I vantaggi sono molteplici: maggiore raggio d’azione (3.500 miglia del Reaper in confronto a 500 dell’F-16), minore costo (una unità di 4 aerei, 55 milioni di dollari) e, soprattutto, nessun rischio per l’equipaggio (un pilota e un addetto ai sensori). Esso è seduto comodamente a una consolle in una base negli Stati uniti, a 12mila km di distanza. Il Predator ha la funzione primaria di individuare gli obiettivi da colpire, che vengono segnalati ai piloti dei caccia, ma è anche armato di due missili Hellfire («fuoco dell’inferno»). Il Reaper ha la funzione primaria di hunter/killer (cacciatore/uccisore): trasporta un carico bellico di oltre una tonnellata e mezzo, composto di missili, bombe a guida laser e satellitare. Spesso gli stessi operatori alla consolle la mattina «volano» sull’Iraq, dopo il lunch sull’Afghanistan o il Pakistan. E, lanciato qualche missile su presunti «terroristi» e aver magari fatto strage di civili, tornano a casa dalla famiglia.

Uccidere manovrando con un joystick un aereo a 12mila km di distanza è l’ultima frontiera delle tecnologie belliche, su cui si basa la riforma del Pentagono. Grossi investimenti permetteranno di potenziare non solo gli Uav dell’aeronautica, attualmente circa 200 Predator e 30 Reaper, ma l’intero sistema dei droni militari, compresi i veicoli terrestri teleguidati, passati da 170 nel 2001 a 5.500. Essi serviranno a condurre la guerra «controinsurrezione», che gli strateghi definiscono «a bassa intensità».