La promessa di Benjamin Netanyahu di una “pace economica” significa l’inizio di una nuova stagione di colonizzazione.
Gli israeliani hanno proposto ai palestinesi vari tipi di “pace”. Il loro primo tentativo di mettere le mani sui palestinesi avvenne nel 1948 con l’offerta di una “pace razzista”. La pulizia etnica costituiva la base di una “pace razzista”, nella quale i terroristi sionisti cacciarono fuori dalle loro case due terzi della popolazione palestinese. La sua logica stava nel fatto che l’espulsione avrebbe messo fine al conflitto fra sionisti e palestinesi (attraverso l’eliminazione di una parte), consentendo ai sionisti di godersi la pace in sicuro rifugio ebreo. I palestinesi, ostinati come erano, rifiutarono uno stato razzista sionista come fondamento per la “pace”.
Israele implacabilmente ha allungato le sue mani sui palestinesi proponendo loro una “pace militare”. La deterrenza stava alla base della “pace militare”, nella quale lo stato sionista armato fino ai denti avrebbe inculcato la paura nei cuori dei palestinesi. La sua logica si fondava sul fatto che attraverso la deterrenza militare i palestinesi avrebbero accettato la loro condizione di dispersione. Subito dopo la loro espulsione del 1948, i rifugiati palestinesi hanno cercato in continuazione di rientrare nelle loro proprietà. I sionisti avviarono una campagna di rappresaglie per negare il loro diritto al ritorno. Così ne sono stati ammazzati a centinaia, compresi i massacri di Qibya nel 1953, del Libano nel 1982, di Jenin nel 2002 e di Gaza nel 2009. Comunque i palestinesi respinsero la dominazione militare sionista come fondamento per la “pace”.
Mentre le due precedenti offerte di pace erano primitive, Israele ha congegnato una “pace dell’apartheid” come proposta più elaborata per i palestinesi, sperando che essi finalmente avrebbero ricambiato. La separazioni fisica fra ebrei e arabi palestinesi stava alla base della “pace dell’apartheid”. La sua logica consisteva nel fatto che i palestinesi avrebbero avuto una autonomia limitata all’amministrazione delle loro questioni interne, ma non avrebbero potuto aspirare ad una piena sovranità. Alcuni palestinesi furono cooptati con la firma degli accordi di Oslo del 1993, accettando in tal modo l’apartheid come base per la “pace”.
Negli anni seguenti Israele ha consolidato la sua visione di “pace dell’apartheid”, indicata generosamente come la “soluzione dei due stati”. Ai palestinesi è stata sottratta molta terra per costruire colonie e strade riservate agli ebrei, frammentando i territori. Le demolizioni di case sgomberarono i palestinesi indesiderati da certe aree ed è stato costruito un muro che circonda i ghetti. L’Offensiva di “pace” di Israele ha diviso i palestinesi fra coloro che hanno accettato l’apartheid di Israele, cioè l’Autorità Palestinese Collaborazionista di Ramallah, e quelli che rifiutano di sottomettere la maggior parte dei loro diritti fondamentali al razzismo di Israele.
Nella più recente apertura di pace, il nuovo primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso ai palestinesi, questa volta letteralmente, una “pace economica”. I precedenti governi israeliani hanno usato l’economia per pacificare i palestinesi e per imbonirli con guadagni individualisti e materialisti a breve termine. Comunque Netanyahu è astuto e comprende che ora le circostanze sono diverse rispetto agli anni ’70 e ’90. Egli ha un ancor più entusiastico sostegno dalla parte palestinese e dalla comunità internazionale.
Da quando ricopre l’incarico Salam Fayyed, il non eletto primo ministro della Autorità Palestinese Collaborazionista, ha lavorato con l’inviato del Quartetto Tony Blair per sviluppare un piano che devitalizzi l’economia palestinese. La Conferenza di Parigi della fine del 2007 ha raccolto 7,4 miliardi di dollari per il “Piano Palestinese di Riforma e Sviluppo”. Questo ha fatto appello alla creazione di “un ambiente favorevole allo sviluppo del settore privato”. Il documento nulla dice in merito alle libertà fondamentali o ai diritti umani. Inoltre questo mette Israele nella posizione di partner, normalizzando il suo status di forza di occupazione e accettando esplicitamente l’esistenza delle costruzioni coloniali. Per esempio, il progetto richiede “punti di controllo turistico-amichevoli”.
A causa della pressione dell’establishment della sicurezza, in passato Israele è stata riluttante a facilitare queste iniziative, rifiutando di rimuovere i posti di blocco o di permettere l’ingresso di investitori stranieri. Questo ha condizionato molto i passi per dimostrare la buona volontà, da parte palestinese, di mantenere l’ordine e contenere la resistenza alle azioni colonialiste di Israele. Le forze di sicurezza collaborazioniste hanno passato un esame cruciale durante i ventidue lunghi giorni del massacro israeliano a Gaza, quando centinaia di contestatori vennero repressi con violenza e impediti dal manifestare la loro repulsione per gli attacchi e dal raggiungere i posti di controllo militari israeliani. Le forze di sicurezza operarono come un leale subappaltatore per conto di Israele. Ora Israele sta ricompensando la cricca di Ramallah con ulteriori “misure di costruzione della fiducia”, quale incentivo per proseguire la collaborazione.
L’offerta di “pace economica” di Netanyahu dovrebbe non solo esser vista in questo contesto ma, punto cruciale, anche come l’inizio di una nuova stagione di colonizzazione. Israele ha avuto successo nel dividere i palestinesi fra differenti gruppi, separati politicamente e geograficamente. Inoltre ha avuto successo nel creare una classe politica collaborazionista. In ogni modo Israele non è riuscita a schiacciare la loro aspirazione alla libertà e il loro diritto a resistere all’aggressione. In altri termini, Israele ha avuto successo nella colonizzazione materiale della terra, controllando di fatto l’intera Palestina storica, ma non è riuscita a colonizzare le menti palestinesi, almeno per la più gran parte. Questa nuova stagione avrà come bersaglio quest’ultima parte.
Un assaggio di cosa è in arrivo si può già vedere nell’ambito della burocrazia della Autorità Palestinese Collaborazionista. Con l’impiego di circa 300.000 persone, questa è il più grande datore di lavoro nei territori occupati. Questi lavoratori e le loro famiglie dipendono dalla burocrazia per i loro mezzi di sostentamento, aumentando gli incentivi per l’acquiescenza e creando prezzi per il dissenso, cioè perdita di reddito e repressione politica. La “pace economica” di Netanyahu significherà favorire la già esistente stratificazione della società palestinese; una classe capitalista sarà cooptata per sottomettere la classe lavoratrice palestinese alle esigenze del mercato. Ci si attende che i palestinesi diverranno molto accomodanti con le libertà economiche di recente concessione e con i diritti politici ridotti a questione secondaria. Il piano mira alla creazione di un homo economicus, di un uomo individualista e interessato a se stesso, uno schiavo delle strutture capitaliste di ineguaglianza. La dipendenza da questa struttura neo – liberale in formazione è volta a rimuovere organismi individuali e collettivi. La falsa coscienza risultante – sotta la struttura del capitalismo egemone – tradisce i rapporti di forza tra chi occupa e la vittima del’occupazione.
Naturalmente non tutto è rovina e oscurità: i palestinesi sono sopravissuti ad attentati peggiori alla loro esistenza. Questo modo di pensare – che i palestinesi possano essere semplicemente manipolati – è troppo ingenuo nel suo fondamento. Esso è legato ad una visione orientalista dei popoli più piccoli, che li vede come privi di principi, con l’assunzione che i palestinesi a stomaco pieno accetteranno la loro condizione di oppressione. Israele ha macellato la parola “pace” con i suoi tanti significati. L’ultima offerta di Netanyahu di “pace economica” finirà nei libri di storia come uno dei tentativi falliti di dominare un popolo con sete di libertà e giustizia.
* Ziyaad Lunat è un attivista per la Palestina, co – fondatore della Iniziativa di Solidarietà per la Palestina
(www. palestinesolidarity.org ). Per contatti: z.lunat@gmail.com .
Articolo originale pubblicato il 15 aprile 2009 in The Electronic Intifada.
Traduzione dall’inglese a cura della Redazione