Reportage dal Sudan dopo il mandato di cattura al presidente al-Bashir

Dott. Mohamed Ahmed Ghazi Suliman *

 

Un resoconto dalla strada

Ho iniziato a scrivere quest’articolo poco dopo essere tornato a casa dalle manifestazioni svoltesi nel centro di Khartoum giovedì 5 Marzo. Il paese è stato pervaso da una febbre di fervido nazionalismo e da una totale ribellione contro il mandato d’arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia contro il Presidente del Sudan Omar al-Bashir, per crimini contro l’umanità.

Contrariamente a quanto affermato nei loro sporadici resoconti da determinati media, ovvero che le proteste sarebbero state orchestrate dal regime, posso testimoniare che il popolo spontaneamente si è riversato nelle strade a testimoniare il proprio sostegno al Presidente, un sostegno unico nella storia contemporanea della politica sudanese.

All’incrocio tra Shari’ al-Qassr (via del Palazzo) e Shari’ al-Jameaa (via dell’Università), nel cuore del distretto commerciale di Khartoum, migliaia di persone hanno marciato, piene di rabbia. Studenti universitari, impiegati statali, bambini, gente che guidava furgoncini e risciò, tassisti, fruttivendoli, donne con bambini in braccio che cantavano, un bazaar di persone di ogni fetta della società, che rappresentavano la miriade di colori e provenienze che caratterizza questa grande nazione africana. Tutti gridavano, “Seer seer ya Bashir (Avanti, Avanti, Bashir)!”.

Bashir era lì ad accoglierli. Nel calore soffocante del mezzogiorno di Khartoum, un palco è stato montato in tutta fretta in quel luogo storico, e Bashir vi è salito a vedere la stupefacente manifestazione di solidarietà nei suoi confronti. Si trovava abbastanza vicino alla folla da poterla toccare, e si è rivolto ad essa nel dialetto arabo locale esaltando ancor più il loro sentimento di ribellione. E’ successo tutto tanto rapidamente che il suo Gabinetto non è riuscito a raggiungerlo per tempo. Come testimone degli eventi che stavano verificandosi intorno a me, non potevo fare a meno di sentire dentro di me il calore della passione, il battito di un sentimento collettivo, un elisir che mi lasciava euforicamente sospeso nel tempo, e allo stesso tempo immensamente turbato. Chiunque assista in prima persona a tali momenti capisce molto rapidamente il potere delle folle, e di cosa possano essere capaci i movimenti di massa. Sentii una sensazione di nausea, e un rassegnato sconforto associato al pensiero: “ve l’avevo detto”. Era quello di cui Ocampo e i suoi tirapiedi, il TPI, e tutte le organizzazioni internazionali, erano stati avvertiti. Essi hanno volontariamente e scientemente aperto il vaso di Pandora, rilasciando un’ondata di scontento e discriminazione, la realizzazione che si tratta di “noi” contro di “loro”, forse pienamente consapevoli delle conseguenze che ciò avrebbe avuto, comunque in modo cinico e spregiudicato.

Bashir ha reagito orgogliosamente, incoraggiato non dal potere dell’apparato militare e di sicurezza dello Stato desiderosi di proteggerlo, ma piuttosto dal dilagare di emozione liberamente esibito dalla nazione in tutti i suoi colori. E contrariamente a quanto ritengono gli osservatori, questa dimostrazione di sostegno al Presidente va oltre il personaggio di Omar al-Bashir stesso. In effetti è per la Presidenza che queste persone hanno marciato, ovvero per il concetto della sovranità e della dignità nazionale che erano state violate. Un uomo in mezzo alla folla ha urlato, “Questo è un insulto!”.

Manifestazioni spontanee a sostegno del Presidente hanno avuto luogo anche in altre parti del paese: a Nyala, Kassala, el-Obeid, Port Sudan e Merowe (dove si trova la nuova diga per l’energia idroelettrica). La polizia in assetto antisommossa era schierata a proteggere gli uffici delle rappresentanze estere e delle ambasciate. Uffici in gran parte vuoti occorre aggiungere, tranne che per la presenza di pochi impiegati locali lasciati lì a occuparsi della routine giornaliera in attesa del ritorno delle rappresentanze diplomatiche. La storia si ripete. Tutte quelle rappresentanze avevano richiamato i propri delegati appena ricevuta l’informazione che stava per essere emesso il mandato d’arresto, oltre a specifici consigli cautelativi(1), molte settimane prima. Da fonti vicine al governo era filtrata l’informazione che le delegazioni estere stavano mettendo da parte cibo e acqua nel timore di dure ripercussioni. In effetti, l’11 Febbraio(2), una corrispondente del New York Times all’Aia (lei stessa una figura controversa)(3), aveva già riferito in un articolo di prima pagina che i giudici della prima camera preliminare del Tribunale avevano deciso di emettere un mandato contro il Presidente al-Bashir, e che ciò era stato comunicato al Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon(2). Egli a sua volta aveva pubblicamente richiesto al governo sudanese di “comportarsi responsabilmente” una volta che il Tribunale si fosse pronunciato, “indipendentemente dall’esito”(4). Sorprendentemente, il Tribunale a quel punto negò categoricamente di essere giunto a una decisione, e l’annunciò per il 4 Marzo. Alla fine questo si rivelò uno sfortunato esercizio di diplomazia internazionale, e non servì a nulla se non ad aumentare il disprezzo e la derisione della popolazione sudanese nei confronti delle Nazioni Unite e delle sue istituzioni collaterali. Nella data prevista fu infine emesso il mandato d’arresto, nonostante i precedenti disperati tentativi di smentita del Tribunale.

Il contesto della decisione del TPI: Politica, Umanitarismo e Sviluppo

In un’intervista con il giornale locale in lingua araba al-Intibaha, Musa Hilal, leader della campagna tribale controinsurrezionale del governo contro le forze ribelli in Darfur nel 2003-2004, ha dichiarato che il suo recente viaggio in Darfur era motivato da tre scopi: 1) Portare personalmente il suo sostegno morale e il suo entusiasmo agli sforzi di riconciliazione tribale in atto (quasi del tutto ignorati dai media) attraverso i forum civili nel Darfur; 2) Incontrarsi coi leader delle forze ribelli scissioniste in Darfur per raggiungere un accordo che garantisse canali di comunicazione e dialogo aperti, o perlomeno per ottenere che le aree densamente popolate da civili fossero escluse da qualsiasi futuro scontro armato. 3) Infine, forse la cosa più sintomatica, nonché una risposta diretta al recente significativo rifornimento d’armi al Justice and Equality Movement (JEM) attraverso il Chad, Hilal ha personalmente assistito all’apertura di campi di addestramento per volontari delle tribù alleate del Darfur. Secondo le sue stesse parole, ciò servirà a “mantenere l’equilibrio del potere tribale nel Darfur” essendo necessario a “mantenersi pronti per possibili scenari futuri”. Forse ha basato il suo pensiero sull’idea della “pace attraverso la deterrenza” — ovvero che il prezzo della guerra tra due nemici ugualmente potenti è molto più pesante di quello della pace, nel contesto di una società fortemente militarizzata.

Sotto molti aspetti, ciò rivela le dinamiche della guerra civile in Darfur, e i minuti calcoli che devono essere effettuati da tutti coloro che dichiarano di voler agire responsabilmente nello sforzo di porre fine al conflitto o di raggiungere la giustizia. Purtroppo, molti di coloro che hanno creduto di essere qualificati per tale compito, non hanno prodotto alcunché se non velleitari suggerimenti, né hanno esibito alcunché se non ingenuità e conclusioni affrettate nella loro interpretazione del conlfitto. Gente come Mia Farrow(5), George Clooney(6), e una manciata di altre celebrità che hanno scoperto in sé un estemporaneo slancio messianico, una causa eroica di cui riempire le loro vite mondane: salvare il mondo e “salvare il Darfur”. Com’è patetico tutto ciò. Anche qualora volessimo dar loro il beneficio del dubbio, e ammettere che la loro sensibilità politica sia semplicemente quella di pagliacci carichi di buone intenzioni, arriva comunque un momento in cui le buone intenzioni da sole non sono più abbastanza, in cui la responsabilità dev’essere basata su un’autentica comprensione basata su serio lavoro di studio e su familiarità di lunga data con i problemi in gioco, e con una profonda comprensione culturale e sociologica: tutto ciò, oltre a un’acuta sensibilità nei confronti della regione in questione, è necessario per formarsi un punto di vista coerente sulla questione. Ciò è più che mai vero quando il destino di una nazione si trova a un bivio.

Le autorità hanno espulso dieci organizzazioni caritatevoli straniere e due nazionali con l’accusa di aver funto da spie ostili al governo verso le organizzazioni internazionali. Sono state accusate di aver violato il proprio mandato umanitario. A MSF, Oxfam e Care (tra le altre) è stato richiesto di lasciare il Darfur. Le loro dichiarazioni dalle sedi di Nairobi, Cairo e Johannesburg per cui quest’azione del governo condannerebbe i rifugiati nel Darfur a un’emergenza alimentare sono insincere. Quello che sfugge al pubblico dei mass media è che prima che le suddette agenzie venissero espulse, 118 (sì, centodiciotto!) organizzazioni caritatevoli nazionali e internazionali prestavano assistenza umanitaria nel Darfur, stando a quanto dichiarato in conferenza stampa dal Ministro per le Questioni Umanitarie a Khartoum. In effetti, secondo l’ultimo resoconto delle Nazioni Unite sull’assistenza umanitaria nel Darfur disponibile online, 85 ONG e agenzie della Croce/Mezzaluna Rossa e 16 agenzie delle Nazioni Unite hanno lavorato in Darfur fino ad Ottobre 2008(7). Alcune distribuivano cibo, altre acqua, altre fornivano assistenza medica, alcune fornivano sementi, alcune attrezzi per la coltivazione, altre corsi di formazione per donne e bambini, altre assistenza psicologica per disturbo da stress post-traumatico, e la lista continua. Ogni agenzia aveva la sua particolare nicchia di assistenza e la sua dichiarazione d’intenti nel suo sforzo di raccogliere fondi e donazioni e perpetuare l’industria della beneficenza e dell’assistenza umanitaria. Ognuna aveva i suoi consulenti, direttori della logistica, comunicati stampa, commoventi pubblicità televisive, flotte di automobili 4X4, uffici a Washington, Londra, Parigi, Dublino, Amsterdam, Roma, Ginevra, etc. Ogni ufficio lavorava in modo indipendente, ma rimanendo sotto l’ombrello della “organizzazione madre”. Ognuno richiedeva separatamente il permesso per condurre le proprie attività nelle regioni disastrate. Il mero volume di pratiche burocratiche passanti per il Ministero dell’Interno è enorme, come il numero di visti d’ingresso per gli aspiranti operatori umanitari. Cionondimeno, qualsiasi ritardo nell’emettere tali permessi risulta in un grido di protesta internazionale. In quanto al coordinamento tra queste agenzie, o l’unione dei loro sforzi per evitare raddoppiamenti e sprechi, o allo sforzo, che sarebbe necessario, su progetti di sviluppo a lungo termine, sulla creazione di competenze al posto dell’elemosina… tutto ciò scarseggia nella migliore delle ipotesi, e più spesso non esiste affatto.

Tuttavia, rimane una domanda fondamentale da porre: dov’era l’appello umanitario alla prudenza quando la causa contro il Presidente e l’intero Paese veniva esaminata nel Consiglio di Sicurezza molti mesi prima? Dov’erano i loro appelli a una maggiore riflessione quando Luis Moreno-Ocampo ha portato il caso di fronte ai Giudici della Prima Camera Preliminare del TPI, nel Luglio dell’anno scorso, perché emettessero un mandato d’arresto contro Bashir? Dov’erano per avvertire delle probabili ripercussioni che ciò avrebbe avuto sul loro lavoro di assistenza umanitaria e il possibile danno che tale azione avrebbe provocato ai rifugiati in Darfur? Perché non hanno utilizzato il loro privilegio di essere “sul campo” in Darfur per avvertire la comunità internazionale della miopia, ingenuità ed insita pericolosità di un’azione simile? Ora che il latte è stato versato, esse gridano al lupo. In effetti il governo sudanese non può essere rimproverato per le sue azioni. Forse le parole che si addicono di più alla situazione in cui ci troviamo oggi sono quelle del profetico testamento di Mary Wollstonecraft, scrittrice e femminista inglese del diciottesimo secolo che disse: “Finché gli uomini non apprenderanno ad assistersi l’un l’altro senza governare l’uno sull’altro, le associazioni politiche potranno far poco per migliorare la condizione dell’umanità”.

Nella situazione attuale, nessuno può proporsi di criticare il governo per nessuna delle sue azioni. Agli occhi del popolo del Sudan si tratterebbe di tradimento.

Infine, centootto agenzie rimangono al momento in Darfur, inclusi il Word Food Programme (che provvede a gran parte dell’aiuto alimentare), l’UNICEF e l’OMS (che insieme provvedono alla maggior parte dell’assistenza sanitaria), tutti pienamente autorizzati a portare avanti il loro lavoro umanitario. La riduzione, relativamente ridotta, nelle capacità di distribuzione che è risultata dall’espulsione delle soprannominate agenzie dovrà essere compensata dalle agenzie rimanenti e dalle autorità. In effetti c’è nel mondo in via di sviluppo la diffusa consapevolezza che gli “aiuti” nel loro corrente significato industriale, e nonostante presunti e ripetuti tentativi di riforma, non abbiano fatto altro che perpetuare la povertà e abbiano di fatto soffocato qualsiasi speranza di sviluppo(8). L’opinione condivisa è che l’unica via d’uscita per l’Africa da questo circolo vizioso di povertà e disastri sia attraverso la microfinanza, il commercio equo e solidale, e ampi investimento nelle infrastrutture e nello sviluppo. Per quanto gli argomenti per l’assistenza emergenziale in Darfur siano attualmente validi, è palese e manifesto che la politica con cui le organizzazioni umanitarie hanno condotto i propri affari, come da me sottolineato sopra, è stata sia sospetta sia cinica.

Nelle parole del Ministro dell’Informazione e dei Media, “nessuna opzione è esclusa”. Tuttavia, è importante notare che il governo finora si è comportato in maniera molto responsabile circa l’emissione del mandato d’arresto. Il Presidente ha dichiarato che il governo d’unità nazionale farà del suo meglio affinché l’attività riprenda come di consueto. Ha dichiarato il suo impegno per i negoziati di Doha col Justice and Equality Movement per la pace in Darfur. Ha anche espresso l’impegno a tenere le elezioni generali nella data prevista quest’anno, in presenza di osservatori internazionali. Inoltre, cosa forse ancora più importante, ha ribadito l’impegno a proseguire lo slancio per portare avanti lo sviluppo nella nazione(9).

Il giorno precedente alla decisione della Prima Camera Preliminare del TPI, Bashir si trovava a Merowe, nel Nord impoverito del Sudan, per inaugurare il più grande progetto di diga idroelettrica attualmente in costruzione in Africa(10). In presenza di dignitari dei Paesi africani confinanti, del mondo arabo, della Cina, dell’Europa e degli Stati Uniti, ha acceso le turbine e i generatori della centrale, che triplicherà la disponibilità di energia elettrica per il Paese. Bashir ha dichiarato che le bollette dell’elettricità saranno ridotte di un quarto per i poveri e per le industrie, come primo passo per poi applicare lo schema all’intero paese. Il progetto della diga è connesso a numerosi progetti d’infrastruttura per la zona e la popolazione locale, ovvero strade, scuole, un aeroporto internazionale cui farà riferimento l’intera provincia del Nord e un’espansione significativa delle capacità agricole della zona. Ha dichiarato che il prossimo anno il paese sarà esportatore netto di petrolio, elettricità e prodotti alimentari grezzi e lavorati. E’ quindi perdonabile il sentimento inebriante di trionfo e successo che la nazione ha provato nelle ultime settimane. Ciò, finché la decisione del TPI ci è caduta addosso come un macigno.

Ciò che ha provocato ulteriore rabbia e frustrazione nel paese, è che eravamo ben lungi dall’essere l’unica nazione che in quei giorni attraversava un conflitto. In effetti applicando la logica del TPI, la guerra civile spagnola, la guerra algerina d’indipendenza, la guerra di Corea, la guerra del Vietnam, le guerre in Afghanistan, le guerre del Golfo, il prolungato conflitto Israelo-Libano-Palestinese — per nominarne solo alcuni — dovrebbero essere considerati tutti di carattere genocida, e passibili d’imputazioni per crimini di guerra: infatti anche quelle guerre hanno implicato massacri di civili, utilizzo di milizie, torture, e trasferimenti forzati di popolazioni. Ibrahim Adam, consulente per la gestione del rischio di El Fasher, nel nord del Darfur scrive: “Come ci si può aspettare che un Sudanese medio come il sottoscritto non pensi che gli USA e il resto dell’Occidente, per quante arie si diano, non abbiano alcuna intenzione seria di risolvere il conflitto, ma lo stiano solamente usando come elisir per ostentare una presunta superiorità morale — specialmente considerate le loro reazioni a Gaza o alla Somalia, per le quali anche sarebbero state meritate le stesse accuse rivolte al Darfur?”(11).

L’attuale clima sulla scena mondiale, in base al quale si constata che la giustizia è amministrata in modo estremamente parziale, e viene costantemente evitata da certi membri della comunità internazionale, non fa che rinsaldare la consapevolezza che la funzione deterrente della legge internazionale è usata solamente come mezzo di minaccia e di pressione, come strumento politico, contro le deboli nazioni in via di sviluppo, dai poteri mondiali. Questo costituisce già di per sé un forte argomento, e sono davvero scarse nella storia contemporanea delle relazioni internazionali le prove che possa essere altrimenti.

Inoltre, il governo ha dichiarato che non richiederà l’applicazione dell’Articolo 16 del Consiglio di Sicurezza (che prevede si possa richiedere la sospensione per un anno del mandato d’arresto, il quale può essere rinnovato se necessario), privando il Tribunale di qualsiasi parvenza di legittimità agli occhi del Sudan. Piuttosto il governo ignorerà completamente l’esistenza del mandato, alfine di rivelare l’impotenza del TPI e il suo fallimento nel mettere in atto qualsiasi sua decisione(12). Ciò di fatto pone Bashir agli arresti domiciliari, non potendo lasciare il Sudan senza correre il rischio di essere arrestato e consegnato al Tribunale da un regime ostile o da un qualsiasi governo la cui sopravvivenza dipenda dalla sua fedeltà alle potenze mondiali. Comunque, nella storica manifestazione di Khartoum, la nazione si appellava a Bashir perché rimanesse in Sudan, giurando di proteggerlo in ogni circostanza. Piuttosto che indebolire o incrinare il potere di Bashir, il mandato d’arresto ha consolidato la sua posizione, e oggi è forse più potente di quanto sia mai stato.

Al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nell’esporre le prove per la sua accusa contro il Sudan, Ocampo ha dichiarato: “al-Bashir ha utilizzato l’alibi della controinsurrezione per provare a cancellare dalla storia i popoli Fur, Masalit e Zaghawa [tribù del Darfur]”(13). Non avendo mai messo piede in Sudan, neanche una volta, per non parlare del Darfur, che egli ha visto solo disegnato sulla cartina del suo ufficio all’Aia, Ocampo non si è reso conto che due milioni di abitanti del Darfur hanno cercato rifugio presso le principali guarnigioni dell’esercito governativo nella loro provincia. Inoltre, un milione di persone originarie del Darfur vive a Khartoum, ed essi continuano a condurre la propria normale, impegnativa vita, come tutti gli altri Sudanesi, la loro esistenza completamente impermeabile e non influenzata dal conflitto in Darfur. Ciò sembra essere sfuggito a Ocampo. Alex de Wall, accademico di spicco ed esperto delle questioni relative al Corno d’Africa, ha notato: “Sono uscito dalla conferenza stampa [in cui Ocampo annunciava la sua intenzione di ottenere un mandato d’arresto per genocidio e crimini di guerra contro Omar al-Bashir] in stato di shock… [Ocampo] ha dipinto un quadro che nessuno studioso avrebbe riconosciuto… in pratica stava chiedendo un cambio di regime, prendendo una posizione politica, il che è sorprendente da parte del procuratore capo del TPI”… “Esponendo le sue argomentazioni in termini così crudi, il procuratore ha reso facile ai suoi critici liquidarlo definendolo male informato e in cerca di pubblicità, mentre ha reso più difficile per i sostenitori della giustizia in Darfur proseguire il loro sforzo perché i responsabili dei crimini commessi ne rendano conto.”(13) Antonio Cassese, Presidente della Commissione Internazionale d’Inchiesta sul Darfur (che incidentalmente ha respinto l’accusa di genocidio), ha descritto la decisione come “sconcertante”(14). Mark Klamberg, un accademico svedese che ha lavorato per il TPI, ha detto che quest’ultimo dovrebbe prendere in considerazione l’idea di destituire il procuratore(14).

Temo che questa mossa azzardata di Luis Moreno-Ocampo e la frettolosa e impaziente applicazione di questa presunta giustizia da parte del Tribunale sarà inutile, e peggio, pericolosa; ovvero lo sarà se distrugge la pace del Sudan unito, racchiusa nel Comprehensive Peace Agreement nel sud del Sudan e nelle pietre miliari costituzionali che sono state poste sulla via di una genuina trasformazione democratica negli ultimi quattro anni, sin dalla firma del Comprehensive Peace Agreement (CPA). E’ assolutamente soncertante che il regime che è riuscito a portare la pace quasi nell’intero paese sia minacciato così rudemente quando il lavoro che ha iniziato si trova a metà strada. In verità, i cambiamenti giuridici e costituzionali che ci sono stati nel paese negli ultimi anni, lo hanno reso uno degli stati costituzionalmente più avanzati della regione. Qualsiasi osservatore imparziale delle questioni sudanesi può testimoniare in questo senso. Inoltre, la pace in Darfur non si raggiungerà con la distruzione della pace nel sud del Sudan, e qualsiasi destabilizzazione della Presidenza naturalmente avrà tale risultato.

Temo che corriamo ora il rischio che tutti questi cambiamenti positivi vengano compromessi, e di tornare ai giorni bui della giunta militare, con uno scenario simile a quello che c’è a Myanmar. Temo che anziché lasciare i problemi di disordini civili relativamente confinati al Darfur, ora la società verrà militarizzata in tutto il paese, come diretto risultato dell’impotenza e della scarsa lungimiranza della comunità internazionale. Se ciò dovesse succedere, la situazione sarebbe davvero molto cupa.

D’altro canto, la reazione dei ribelli al mandato d’arresto è stata lungi dall’essere rassicurante. Il JEM ha dichiarato che riconsidererà la sua adesione al Memorandum d’Intesa firmato a Doha due settimane orsono, e che indirizzerà i propri sforzi nel tentativo di arrestare al-Bashir (ironicamente, il TPI li ha esplicitamente avvertiti di non intraprendere tale azione)(15). Contrariamente a quanto molti credono, il conflitto in Darfur non è il risultato di una lotta per la giustizia e l’eguaglianza. In effetti, nella sua essenza esso è una lotta per il potere a Khartoum.

Si rimane a chiedersi se tutto questo potesse essere previsto. E la risposta è un enfatico sì. Con qualche ora di studio pomeridiano in una qualsiasi biblioteca decente nel mondo, chiunque può farsi un’idea di massima sufficientemente adeguata della storia dei conflitti avvenuti in questa regione dell’Africa, e pertanto di quale siano i probabili sbocchi dei vari scenari. L’ignoranza non è una scusa.

Ocampo, il TPI e le Relazioni Internazionali: una critica

Il Tribunale Penale Internazionale è viziato sin dalla sua nascita. La riserva espressa dal governo del Sudan contro il TPI è la stessa espressa dai diplomatici USA a Roma nel 1998, quando hanno votato contro lo Statuto di Roma nel timore che il tribunale potesse prendere i mira per motivi politici i soldati e le forze di peacekeeping statunitensi. E proprio come gli Americani, non permetteremo che alcuno dei nostri cittadini sia processato all’estero. Inoltre, il retaggio del tribunale, e quello di Luis Moreno-Ocampo come Procuratore capo, lasciano molti dubbi sulla loro capacità di amministrare una giustizia rapida e adeguata. Nell’ottobre 2006, un portavoce dell’Ufficio del Procuratore ha sporto una denuncia accusando Moreno-Ocampo di violenza sessuale. Un team di tre giudici del TPI ha svolto le indagini e trovato che l’accusa era infondata, ma Moreno-Ocampo ha sollevato una controversia quando ha licenziato in tronco il membro dello staff che aveva presentato la denuncia. Il Tribunale Amministrativo dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha riconosciuto all’impiegato un risarcimento di quasi 120.000 sterline per danni (pagate dalle casse del TPI e non da Ocampo), stabilendo che Moreno-Ocampo non aveva rispettato le procedure previste e gravemente violato i diritti dell’impiegato. L’ILO ha ritenuto che la denuncia contro Moreno-Ocampo fosse stata fatta in buona fede, e che Moreno-Ocampo non avrebbe dovuto partecipare alla decisione di licenziare l’impiegato, poiché aveva interessi personali nella questione(16).

Nel caso del leader militare congolese Thomas Lubanga (il primo sospettato di crimini di guerra a comparire dinanzi alla corte), Luis Moreno-Ocampo aveva omesso di comunicare alla difesa informazioni fornitegli dalle Nazioni Unite che scagionavano l’imputato. I giudici stabilirono che il leader congolese non poteva avere un processo equo poiché il Procuratore si era indebitamente appoggiato ad accordi di confidenzialità per occultare prove che avrebbero potuto scagionare l’imputato dall’accusa di arruolare bambini soldato. Ocampo fece appello contro la decisione, e Lubanga rimane sotto custodia(17).

In effetti, il modo in cui si comportano i Tribunali internazionali sarebbe inaccettabile in qualsiasi democrazia liberale consolidata con libertà civili adeguate. Essi tengono intere sedute in segreto e censurano i verbali dei processi. Le persone imputate e detenute possono essere trattenute per periodi illimitati di tempo. Theoneste Bagosora del Ruanda fu arrestato nel 1996 e ci vollero più di dieci anni perché l’accusa terminasse di esporre le sue argomentazioni. Ci si aspetta che il processo duri ulteriori anni. Questo nuovo sistema internazionale di giustizia ricorda il mondo feudale premoderno in cui l’applicazione della legge e delle procedure giudiziare erano totalmente imprevedibili e fortemente sfavorevoli all’accusato(18).

In effetti l’Unione Africana sta dimostrando una notevole mancanza d’entusiasmo per la gestione del tribunale, e l’interesse esclusivo della del TPI sui casi africani sta causando un notevole disagio tra gli Africani stessi. La metà dei paesi africani non ha firmato lo Statuto di Roma, e quelli che hanno firmato stanno prendendo in considerazione l’idea di ritirare l’adesione. C’è il sentimento che il tribunale rappresenti una propaggine del potere occidentale a spese degli interessi africani, inclusa la sovranità nazionale e la possibilità di perseguire mezzi locali per amministrare la giustizia(19). E’ stato Robin Cook, il fu Segretario britannico per gli Esteri e il Commonwealth, a commentare sintomaticamente, “questo non è un tribunale creato per portare alla sbarra Primi Ministri del Regno Unito o Presidenti degli Stati Uniti”(20). Inoltre, l’ex consigliere diplomatico di Tony Blair, Robert Cooper, attualmente Direttore Generale per gli affari esteri e politico-militari del Consiglio Europeo, dichiara apertamente la sua convinzione che l’Europa debba evolversi per diventare ciò che egli chiama “un Impero postmoderno”. Egli crede che i paesi dell’Unione Europea e i loro alleati debbano “abituarsi all’idea del doppio standard”. “Dobbiamo tornare ai metodi più rudi di un’epoca passata [quando ci rapportiamo agli stati fuori dei confini dell’Europa]: forza, attacco preventivo, inganno, tutto quanto è necessario per trattare con coloro che vivono ancora nel mondo del diciannovesimo secolo… Tra di noi vige la legge ma quando operiamo nella giungla, occorre anche usare le leggi della giungla.”(21)

Prospettive future

Ad ogni modo, mi conforta immensamente sapere che il Sudan non sarà solo nell’affrontare questa crisi. Solo poche settimane prima che il TPI emettesse il suo mandato d’arresto, il Sudan è stato eletto a capo del Gruppo dei 77 più la Cina all’ONU, la più ampia organizzazione intergovernativa degli stati in via di sviluppo nelle Nazioni Unite, che dà modo ai paesi del Sud del mondo di articolare e promuovere i propri interessi economici collettivi e di migliorare la loro capacità di negoziato unitario circa tutte le principali questioni economiche internazionali all’interno del sistema delle Nazioni Unite, e di promuovere la cooperazione per lo sviluppo Sud-Sud. Questa è una chiara dichiarazione d’intenti dei paesi del Sud del mondo, un attestato della loro noncuranza e del loro disinteresse per l’imminente giudizio di Omar al-Bashir, e della loro opinione sul modo in cui è stato affrontato il caso del Darfur al Consiglio di Sicurezza.

La pace è un prerequisito necessario per la giustizia. Abbiamo disperatamente bisogno di un approccio più oculato alla risoluzione del conflitto nell’intera regione. La soluzione in Darfur è innanzitutto politica. Dev’esserci un cessate il fuoco globale da parte di tutte le fazioni in guerra, e l’Occidente (soprattutto la Francia) deve dare istruzioni all’Esercito di Liberazione Sudanese (SLA) e ad Abdel Wahid Nour, che attualmente risiede a Parigi, di sedersi insieme col governo e il JEM al tavolo dei negoziati a Doha. Perché questi negoziati abbiano successo, tuttavia, è necessario che ad essi partecipi anche Mani Arko Minawi, leader della fazione dello SLA di Khartoum e firmatario dell’Accordo di pace per il Darfur. Gli altri che devono necessariamente partecipare sono tutti i leader e gli anziani delle principali tribù del Darfur, compreso Musa Hilal. Oltre ai negoziati politici sugli argomenti della sicurezza e della distribuzione del potere e della ricchezza, le discussioni devono includere l’eziologia storica degli scontri: la società feudale in Darfur, l’accesso diffuso alle armi, e lo scontro per i diritti sulla terra e sull’acqua, che la comunità internazionale ha tanto convenientemente ignorato. Occorre accordarsi su una road-map per le future tappe politiche e di sviluppo, e stavolta, se possibile, con fondi reperiti tramite le risorse nazionali e gli stati della regione, per evitare esplicitamente le vane promesse dei consueti donatori internazionali. Una volta raggiunta la pace, la stabilità e le riforme politiche, quando la società del Darfur si sarà resa conto che i frutti della pace sono troppo preziosi per essere nuovamente abbandonati (questo processo richiederà forse anni), solo allora potrà iniziare un’indagine internazionale delle atrocità commesse. E’ ovvio che alcune prove potrebbero andare perdute nel frattempo. Tuttavia, il rischio che vengano incriminate personalità influenti mettendo a rischio la pace diminuisce col passare del tempo. D’altra parte, ciò che personalmente preferirei e che vedo come il catalizzatore naturale di una genuina trasformazione in Darfur, è un cambiamento di paradigma che superi quello della punizione e della condanna e si muova invece verso la verità e la riconciliazione, come quello che il Sudafrica ha applicato in maniera eccellente. Sottoscrivo le parole di Alex de Waal riguardo questo argomento: “Per quanto l’opzione Prima pace, poi giustizia sia una strategia dei piccoli passi, è un metodo sicuro per una vittoria durevole.”

Non sono possibili rimedi temporanei. E’ troppo tardi.

Il giorno in cui la nazione è uscita nelle strade per sostenere il suo Presidente, ho visto un’aquila posata sull’asta più alta che si vedeva, su cui era montata la bandiera nazionale, che guardava la marea di gente sotto di essa chiedendosi forse quale fosse la causa di tutto quello scompiglio. Dietro di essa, a due passi da questo assembramento, il tortuoso Nilo Blu scorreva attraverso la fertile terra coltivata di al-Mogran, per poi congiungersi all’orizzonte col Nilo Bianco, in questa terra ricca di storia.

* Dott. Mohamed Ahmed Ghazi Suliman, medico chirurgo, specialista in Medicina e Igiene Tropicale (laureato all’università di Nottingham, Inghilterra. Attualmente svolge la professione di medico a Khartoum. Suo padre, l’avvocato Ghazi Suliman, è una figura di spicco dei diritti umani e un politico; fu imprigionato dal regime sudanese prima della sua adesione al CPA nel 2005, ha in seguito fatto parte di un governo d’unità nazionale col Movimento di Liberazione Popolare Sudanese. Stando al CPA, eque e trasparenti elezioni dovrebbero tenersi in Sudan nel 2009).

Riferimenti (in inglese)

1-   British Foreign and Commonwealth Office
http://www.fco.gov.uk/en/travelling-and-living-overseas/travel-advice-by-country/sub-saharan-africa/sudan1
2-   New York Times: Judges approve warrant for Sudan¹s President
http://www.nytimes.com/2009/02/12/world/africa/12hague.html
3-   Marlise Simons and the New York Times on the International Court of Justice Decision on Serbia and Genocide in Bosnia
http://www.zmag.org/znet/viewArticle/1849
4-   Sudan Must Act “Responsibly”
http://www.news24.com/News24/Africa/News/0,,2-11-1447_2467565,00.html
5-   Darfur Dying for Heroes
http://darfurdyingforheroes.blogspot.com/2007/07/angel-for-darfur-mia-farrow.html
6-   George Clooney’s Darfur Dilemmas
http://www.strategypage.com/on_point/200653.aspx
7-   Darfur Humanitarian Needs Profile No. 33 01 October 2008
http://www.unsudanig.org/docs/DHP33_narrative_1%20October%202008.pdf
8-   Dead Aid: Why aid is not working and how there is another way for Africa, Dambisa Moyo. Allen Lane Publishers, Jan 2009. ISBN 1846140064
9-   ICC decision Will Not Change Anything in the Plans and Programmes of the Government
http://www.sudaneseonline.com/en216/publish/Latest_News_1/President_Al-Bashir_ICC_decision_will_not_change_any_thing_in_the_plans_and_programmes_of_the_government.shtml
10- Sudan Hails World’s Longest Dam
http://www.sudaneseonline.com/en216/publish/Latest_News_1/Feature_Sudan_hails_world_s_longest_dam.shtml
11- The Rush to Nazify Sudan by US Academics
http://www.sudaneseonline.com/en216/publish/Latest_News_1/The_Rush_to_Nazify_Sudan_by_U_S_Academics.shtml

12- U.N. Security Council to meet Africans, Arabs on Sudan’s Bashir
http://www.reuters.com/article/worldNews/idUSTRE51B08120090212

13- Moreno Ocampo¹s Coup de Theatre
http://www.ssrc.org/blogs/darfur/2008/07/29/moreno-ocampos-coup-de-theatre/

14- Human Rights: Growing Clamour to Remove the Hague Prosecutor Who Wants Sudanese President Arrested
http://www.globalpolicy.org/intljustice/icc/2008/0818removeprosecutor.htm
15- Darfur Rebel Group Welcomes Warrant
http://english.aljazeera.net/news/africa/2009/03/200936336366835.html
16- Luis Moreno-Ocampo http://en.wikipedia.org/wiki/Luis_Moreno-Ocampo
17- Thomas Lubanga http://en.wikipedia.org/wiki/Thomas_Lubanga
18- The ICC and the Murkier Waters of Deals and Fixes
http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2008/dec/19/leaders-rwanda-war-crimes
19- Sudan and the International Criminal Court: A Guide to the Controversy
http://www.opendemocracy.net/article/sudan-and-the-international-criminal-court-a-guide-to-the-controversy
20- Where’s the Humanity in Human Rights?
http://www.spiked-online.com/Articles/00000006D897.htm
21- Robert Cooper: Why We Still Need Empires
http://observer.guardian.co.uk/worldview/story/0,,680117,00.html
22- Sudan Elected as Head of Group 77 within UN
http://www.nation.co.ke/News/africa/-/1066/520310/-/13rx959z/-/index.html

Traduzione a cura del Campo Antimperialista