Si sa che i “grandi” media, quelli italiani in particolare, quando vogliono dar voce alle posizioni critiche espresse da voci ebraiche della Diaspora o dall’interno stesso d’Israele nei confronti di Gerusalemme, si rivolgono in genere alla venerata trimurti composta da Abraham Yehoshua, Amos Oz e David Grossman, tre “colombe pacifiste” celebri per il loro appoggio a tutte le guerre scatenate dai loro governi, salvo invocare “moderazione” e “proporzionalità” nell’uso della violenza. Ecco perché i due articoli che abbiamo tradotto non verrebbero mai ospitati dai nostri media, neppure da quelli di “sinistra”.

Il primo è di Shulamit Aloni, che non si può certo definire una militante antisionista: tra le fonda-trici del movimento Peace Now e del partito Meretz (sinistra sionista), è stata infatti ministro dell’Educazione nei governi laburisti di Rabin e Peres. Il secondo è di Avigail Abarbanel, un’altra ebrea nata in Israele nel 1964, dove ha compiuto il servizio militare, che oggi vive e lavora in Australia come rinomata psicologa-psicoterapeuta; attivista dei diritti umani, ha fondato a Canberra un’associazione chiamata Deir Yassin Remembered, in ricordo del massacro attuato dai sionisti nel 1948.
Le tesi espresse da queste due donne coraggiose non necessitano di commenti: la loro denuncia di Israele come etnocrazia fondata sulla pulizia etnica e sull’apartheid è più che sufficiente a smascherare l’ipocrisia, il servilismo e la pavidità del 99% dei nostri politici e dei nostri intellettuali, la cui equidistanza sul conflitto israelo-palestinese è semplicemente rivoltante.

 

Alberto Signorini

 

Purtroppo Israele non è più una democrazia
haaretz.com , 1/5/2009
di Shulamit Aloni

Il maggiore generale Amos Yadlin e il filosofo Asa Kasher, due uomini rispettati da queste parti, hanno pubblicato un articolo intitolato “Una guerra giusta di uno Stato democratico” (Haaretz, 24/4/2009, edizione in ebraico). Un’osservazione sulla prima parte del titolo: esistono guerre neces-sarie per l’autodifesa o per combattere l’ingiustizia e il male, ma il termine “giusta” è problematico quando si parla della guerra in sé, che implica uccisione e distruzione, e lascia senza casa – e a volte anche senza vita – donne, bambini e vecchi. I nostri saggi dissero: «Non essere eccessivamente giusto». E non c’è alcun dubbio che lanciare bombe a grappolo in un’area popolata da civili, come noi abbiamo fatto nella seconda guerra in Libano, non testimonia di una grande giustizia. Idem dicasi per l’uso di bombe al fosforo contro una popolazione civile. A quanto pare, secondo la definizione di giustizia di Yadlin e Kasher, per eliminare i terroristi è giusto distruggere, uccidere, espellere e affamare una popolazione civile che non c’entra con gli atti terroristici e non ne è responsabile. Forse, se avessero assunto un atteggiamento più decente e meno arrogante, Yadlin e Kasher avrebbero cercato di spiegare le ragioni di tanta furia e violenza che hanno causato una mattanza e una distru-zione così choccanti, e si sarebbero anche scusati del fatto che esse avevano superato ogni ragione-vole necessità. Ma, dopo tutto, noi siamo sempre giusti; e poi queste azioni sono state commesse dal “l’esercito più morale del mondo”, mandato dallo Stato ebraico “democratico” – ed ecco il punto d’incontro dei due concetti espressi nel titolo dell’articolo. Per quanto riguarda la moralità dell’esercito, meglio sarebbe stato se Yadlin e Kasher fossero stati saggiamente zitti. Perché le stati-stiche sulle distruzioni e i danni inflitti ai civili nella Striscia di Gaza sono note a tutti, e non diver-gono dal comportamento altrettanto morale del nostro esercito nei territori occupati [in Cisgiorda-nia, ndr]. Nell’ambito di tale comportamento, per esempio, l’esercito agisce con grande efficienza contro i contadini [palestinesi, ndr] che manifestano contro il furto delle loro terre, anche quando queste manifestazioni non sono violente. E non sono un segreto nemmeno le molteplici prove di a-busi da parte dei soldati nei confronti dei civili ai posti di blocco – ivi compresi i ripetuti casi di donne incinte costrette a partorire in mezzo alla strada, circondate da soldati armati che sghignazza-no. Giorno dopo giorno, anno dopo anno, l’esercito più morale del mondo aiuta a rubare terre, a sradicare alberi, a rubare acqua, a chiudere strade – al servizio del giusto Stato “ebraico e democratico” e con il suo sostegno. È straziante, ma lo Stato di Israele non è più una democrazia. Noi vi-viamo in una etnocrazia soggetta a un ordinamento “ebraico e democratico”. Nel 1970 si decise che in Israele religione e nazionalità fossero la stessa cosa (ecco perché all’Anagrafe noi non siamo re-gistrati come israeliani ma come ebrei). Nel 1992, la Legge fondamentale sulla dignità umana e la libertà stabilì che Israele è uno “Stato ebraico”: in quella legge non si fa cenno alla promessa che compare invece nel documento fondativo dello Stato, la Dichiarazione di Indipendenza [del 1948, ndr], ossia al fatto che «lo Stato di Israele assicurerà la completa uguaglianza dei diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti, a prescindere dalla religione, dalla razza o dal sesso». Ciò nonostante, la Knesset [il Parlamento, ndr] ratificò quella legge. Sicché c’è uno Stato ebraico ma non c’è uguaglianza di diritti. Per cui alcuni osservatori sottolineano che lo Stato ebraico non è “uno Stato di tutti i cittadini”. Esiste forse una democrazia che non sia uno Stato di tutti i suoi cittadini? Dopo tutto, gli ebrei che oggi vivono nei Paesi democratici godono di tutti i diritti di cittadinanza. Oggi, nello Stato di Israele, la democrazia esiste solo in senso formale: ci sono partiti ed elezioni e un buon si-stema giudiziario. Ma c’è anche un esercito onnipotente il quale ignora le decisioni legali che limi-tano il furto di terra posseduta e coltivata da gente che durante gli ultimi 42 anni ha vissuto sotto occupazione. E dal 1992, come si è detto, abbiamo anche la definizione di Stato ebraico, che signi-fica etnocrazia: l’ordinamento di una comunità etnica religiosa che stabilisce rigidamente l’origine etnica dei suoi cittadini secondo una discendenza matrilineare. Quanto alle altre religioni, la mancanza di rispetto nei loro confronti è già una tradizione, dal momento che ci è stato insegnato: «Soltanto voi siete considerati esseri umani, mentre i gentili sono come scimmie». Per cui è chiaro che noi e il nostro esercito morale non dobbiamo preoccuparci dei palestinesi che vivono in Israele né, a maggior ragione, di quelli che vivono sotto occupazione. D’alta parte, rubare la loro terra è assolutamente giusto, poiché quelle sono “terre statali” che appartengono allo Stato di Israele e ai suoi ebrei. Questo vale anche se non ci siamo annessi la Cisgiordania e non abbiamo concesso la cittadinanza ai suoi abitanti., che sotto la giurisdizione giordana erano cittadini giordani. Lo Stato di Israele li ha chiusi in un recinto, il che agevola la confisca della loro terra a beneficio dei suoi coloni. E importanti e riveriti rabbini, che hanno educato un’intera generazione, hanno stabilito che l’intero Paese è nostro e che i palestinesi devono condividere la sorte degli amaleciti, l’antica tribù che gli israeliti ebbero l’ordine di sterminare. Quando si comincia a parlare di “guerra giusta”, il razzismo dilaga e la rapina viene chiamata “restituzione di proprietà”. In questi giorni stiamo celebrando il 61° anniversario dello Stato di Israele. Noi combattemmo nella Guerra di Indipendenza sperando grandemente che qui avremmo costruito una “società modello”, fatto la pace coi nostri vicini, lavo-rato la terra e sviluppato il genio ebraico a beneficio della scienza, della cultura e del valore dell’uomo – di ogni uomo. Ma quando un maggiore generale e un filosofo giustificano in questi termini – con un senso di superiorità morale – i nostri atti di ingiustizia nei confronti dell’altro, proiettano un’ombra molto pesante su tutte le nostre speranze.

 

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Il coraggioso sogno di Ahmadinejad di una giusta ed equa società globale
(http://palestinethinktank.com, 4/22/09)
di Avigail Abarbanel

 

Ho letto o sentito da qualche parte che il discorso di Ahmadinejad avrebbe negato l’Olocausto. Al-lora ho letto il testo integrale: in quel discorso non c’è assolutamente alcuna negazione dell’Olocausto. Ahmadinejad è stato anche bollato come “razzista” da Israele, e ovviamente non lo è. Ahmadinejad non parla del carattere di nessun popolo: lui critica i governi occidentali per le attuali e storiche ingiustizie nei confronti degli altri e dei loro stessi popoli, oltre che per l’avidità e la brutalità. Lui parla dell’ineguaglianza nella comunità mondiale, che dà a Paesi come gli USA il di-ritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e la facoltà di farla franca su faccende come l’attacco all’Iraq ecc. Lui cerca di dire che a governare è l’ipocrisia, anziché la giustizia, l’eguaglianza o la libertà. Io non so perché tutti attacchino quest’uomo. Ahmadinejad necessita forse di un po’ di editing, ma il suo discorso è giusto e buono. Io penso sia di moda detestarlo e liquidarlo, ma il suo solo crimine è che non accondiscende alle regole della “raffinatezza” nella diplomazia mondiale, ossia che tutti ignorano ciò di cui non è “piacevole” o politicamente opportuno parlare, mentre nel frattempo continuano a commettere crimini contro l’umanità e ingiustizie ovunque. Ahmadinejad non si sente vincolato alle regole occidentali della correttezza politica, e ha il coraggio di dire ciò che pensa e ciò che deve essere detto, sapendo perfettamente che questo lo rende-rà impopolare fra i leaders mondiali. Non urterebbe, se altri leaders fossero pronti a parlare più francamente e a dire le cose con onestà. Ahmadinejad parla del suo sogno di una società globale giusta ed equa. Ha forse torto? Quando parla della distruzione d’Israele, parla della fine dello Stato esclusivamente ebraico che tutti gli antisionisti del mondo – inclusi quelli all’interno d’Israele – auspicano allo stesso modo. Israele ama distorcere questo fatto e dice che Ahmadinejad vuole distrug-gere Israele o uccidere gli ebrei. Ma non è questo ciò che lui dice. È curioso che Israele, con 200 armi nucleari pronte a dispiegarsi e con un governo canaglia pronto ad attaccare i civili in ogni momento, accusi altri di sviluppare armi nucleari. È curioso che uno Stato di apartheid accusi altri di razzismo… Ma suppongo che non ci sia niente di nuovo sotto il sole. Noi vogliamo solo che quanti lavorano nei media dominanti setaccino fra il materiale e mostrino le cose per ciò che realmente sono, e non come Israele o gli USA o anche il PM australiano Rudd dicono che sono. Ahmadinejad crede in Dio. La sua idea che Dio vorrebbe la giustizia per tutti nel mondo, a prescindere dalla nazionalità, dovrebbe essere sicuramente condivisa da ebrei e cristiani in ogni luogo. Rudd e anche Obama ostentano i loro credi religiosi, e l’intero progetto d’Israele si fonda sulla credenza in Dio (o almeno sulla credenza che Dio abbia dato la terra agli ebrei). Chiunque creda in Dio dovreb-be facilmente identificarsi nel Dio giusto di Ahmadinejad e nella sua visione di una sana e giusta comunità mondiale. (…) Io invito i giornalisti a pubblicarne il discorso, così che i lettori possano farsene un’opinione… Non voglio vedere i media mainstream partecipare inconsapevolmente alla campagna d’odio contro Ahmadinejad, fondata sulle esigenze propagandistiche israeliane anziché su qualcosa che lui ha realmente detto.