E così Netanyahu ha messo le carte in tavola: nel primo incontro con il presidente Obama ha dichiarato, senza mezzi termini, di non prendere assolutamente in considerazione l’ipotesi di uno spazio politico e territoriale per la nascita di uno stato palestinese, escludendo in modo categorico la soluzione “due popoli, due stati”.
Soluzione quest’ultima acclamata come la migliore possibile da tutta la “comunità internazionale”, cioè da Stati Uniti, Europa e ascari vari filoimperialisti e filosionisti, da quasi tutte le forze politiche nostrane compresa buona parte della sinistra anche radicale, nonché da diversi governi israeliani e fino ad ora impedita nella sua concretizzazione dai cattivi palestinesi.
I quali palestinesi si ostinano a non voler riconoscere chi quotidianamente, da più di 60 anni, occupa la maggior parte della loro terra, pianifica e realizza frequenti massacri di massa e incrementa sistematicamente la propria espansione coloniale.
La “comunità internazionale” e tutti i governi sionisti hanno sempre saputo che “due popoli, due stati” è una bugia, perché non può considerarsi stato una serie di bantustan isolati fra loro e con confini perennemente fluttuanti, eterodiretti proprio relativamente a quelle decisioni istituzionali e politiche (forma di stato e forma di governo, esteri, difesa, sicurezza) in mancanza delle quali non può parlarsi di sovranità ed indipendenza e quindi di stato.
Netanyahu ha parlato chiaro: niente stato palestinese ma al massimo un autogoverno concepito soprattutto come gestione dell’economia, disarmo completo e quindi rinuncia ad ogni resistenza, riconoscimento di Israele come stato ebraico da parte dei palestinesi. Pretesa quest’ultima particolarmente assurda anche sotto il profilo giuridico, perché il riconoscimento non può non avvenire che fra stati.
Quanto agli insediamenti coloniali e al diritto al ritorno il primo ministro sionista non ha speso neppure una parola. E’ ovviamente sottinteso che continuerà a seguire la linea tenuta da tutti i suoi predecessori: nessun fermo all’espansione delle colonie e nessuno smantellamento delle colonie esistenti; e, soprattutto, nessun ritorno perché lo sbocco sarebbe quello di uno stato unico e democratico, dove tutti avrebbero gli stessi diritti e doveri, cioè quello di una pace giusta e non della pace concepita come normalizzazione dell’occupazione e dell’oppressione.