L’importanza del Libano
Domenica 7 giugno sarà una domenica elettorale anche in Libano e le forze imperialiste si mostrano piuttosto agitate di fronte alla possibile vittoria del blocco guidato da Hezbollah.
Negli ultimi due giorni sono scesi pesantemente in campo, per cercare di condizionare il risultato, il vicepresidente americano Biden, il primo ministro israeliano Netanyauh, ma anche la commissione di inchiesta che indaga sull’attentato che nel 2005 provocò la morte dell’ex premier Rafik Hariri.

Non entriamo qui nel merito del complesso sistema elettorale ed istituzionale del Libano. Un sistema complicato, basato fondamentalmente su una tripartizione dei poteri tra cristiani, sciiti e sunniti che ancora si fonda sul censimento del 1932, e dunque su una composizione della popolazione libanese che oggi non ha più riscontro nella realtà.
Tutti sanno infatti che se venisse fatto un nuovo censimento il peso degli sciiti (in larghissima parte sostenitori di Hezbollah) crescerebbe notevolmente. E questa è esattamente la ragione per cui non viene fatto.

Nonostante questa situazione assai paradossale la coalizione raccolta attorno ad Hezbollah ha ottime possibilità di vittoria, ed è inutile dire che questa ipotesi lascia tutt’altro che indifferenti sia i governanti di Washington, che considerano il Libano un tassello assai importante del mosaico mediorientale, sia il governo israeliano al quale ancora brucia la resistenza opposta alle sue truppe di invasione nel 2006.

Gli imperialisti contano di influenzare pesantemente il risultato delle urne in due modi: con i soldi e con le minacce.
I soldi servono sia per sostenere la campagna elettorale dei candidati filo-occidentali della coalizione guidata da Saad al-Hariri, sia per alimentare la corruzione, cioè per comprare letteralmente i voti. Un esponente del governo di Ryad ha sostenuto che la sola Arabia Saudita ha fatto affluire in Libano centinaia di milioni di dollari a questo scopo. E perfino il New York Times ha dovuto parlare di questo gigantesco fenomeno.

Ma probabilmente gli imperialisti occidentali, i sionisti israeliani e i reazionari sauditi calcolano che i soldi possano essere insufficienti. Ecco allora il passaggio alle minacce dirette.
Il 22 maggio il vicepresidente degli Usa, Biden (giusto per ribadire che niente è cambiato nella politica mediorientale della Casa Bianca), si è recato a Beirut per far sapere che gli aiuti economici americani continueranno ad affluire verso il Paese dei Cedri solo a condizione che vinca la coalizione filo-occidentale. Del resto già l’ambasciatore Usa in Libano, Michele Sison, aveva minacciato in un’intervista il taglio di ogni finanziamento in caso di vittoria di Hezbollah.

Oggi, con una sincronia da orologio svizzero, è stato il primo ministro israeliano Netanyauh – secondo quanto riferisce il Jerusalem Post – a sottolineare la pericolosità di una vittoria di Hezbollah.
In tutto ciò, ovviamente, non c’è niente di strano. Ma, al di là del fatto che le pressioni economiche sottintendono sempre minacce di tipo politico e militare, val la pena di sottolineare quanti siano gli sforzi congiunti per impedire la formazione di un governo non più asservito all’occidente.
E’ da notare che in ogni caso non si tratterebbe di un governo di Hezbollah, né la formazione della resistenza libanese lo guiderebbe. E tuttavia la semplice possibilità della nascita di un governo non più sottomesso ai voleri americani è giudicata inaccettabile a Washington ed a Tel Aviv.

Per completare il quadro è arrivata ieri la notizia, pubblicata da Der Spiegel, secondo cui la commissione d’inchiesta sull’attentato a Rafik Hariri starebbe puntando l’accusa non più sulla Siria, ma direttamente sulle forze speciali di Hezbollah.
Anche qui un tempismo assai significativo e decisamente al di sotto di ogni sospetto.

E’ evidente l’importanza che gli imperialisti assegnano all’imminente consultazione elettorale. Un’importanza che va ben oltre le dimensioni geografiche del piccolo Libano.
Anche per questo cercheremo di seguire al meglio gli sviluppi della partita libanese prima e dopo le elezioni del 7 giugno.