Riceviamo dai compagni di Primomaggio, e volentieri pubblichiamo, queste considerazioni sui fatti del 16 maggio a Torino.

Considerazioni sulla manifestazione dei lavoratori FIAT a Torino
Durante la manifestazione di Torino del 16 maggio scorso, convocata ufficialmente contro i pericoli per l’occupazione derivanti dal progetto Marchionne per la FIAT, c’è stata la contestazione dei lavoratori di Pomigliano relegati nel “reparto confino” di Nola. La contestazione era ovviamente rivolta alla FIAT ma anche alle organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto l’accordo con cui è avvenuto il confinamento di 316 lavoratori.

Qualcuno ha parlato di “strumentalizzazione” da parte dello SLAI COBAS di questi lavoratori confinati, ma ha “dimenticato di ricordare” che moltissimi di questi trasferiti sono appunto dello SLAI COBAS. E perché lo ha dimenticato? Perché la firma in calce all’accordo ce la mise pure Rinaldini che condivise la scelta della FIAT di levarsi dai piedi qualche centinaio di lavoratori scomodi che nello stabilimento principale avrebbero potuto influenzare – come tante volte avvenuto – gli altri lavoratori e incrinare il desiderio di onnipotenza di FIM-FIOM-UILM (che nel gruppo FIAT, proprio grazie allo SLAI COBAS, presente a Pomigliano, ad Arese, a Termoli, a Lecce, a Modena, a Melfi… ha trovato sempre un’alternativa combattiva e intransigente nel difendere gli interessi dei lavoratori).
La FIOM certo non “assalta i palchi” e non è costretta a lottare per conquistare il diritto di parola; ma con il padrone e i sindacati amici del padrone spedisce centinaia di lavoratori in “reparti confino” che nulla hanno da invidiare a quelli degli anni ’50; si ricordi, a tal proposito, il famoso libro di Aris Accornero – FIAT confino – in cui veniva ricostruita la storia dell’Officina Sussidiaria Ricambi, creata il 15 dicembre 1952 a Torino dall’allora Amministratore Delegato della FIAT, il fascista Vittorio Valletta, per isolare le avanguardie di lotta e comuniste dal resto dei lavoratori. Facendo un ulteriore sforzo della memoria possiamo evidenziare come, oltre che dei “reparti confino”, Valletta fu promotore anche della nascita di un sindacatino aziendale – il SIDA-Fismic – composto da spioni che in azienda controllavano i lavoratori più combattivi (ruolo successivamente svolto prevalentemente dai “sindacalisti” CISNAL – ma spesso anche CISL-UIL) e che si rendevano disponibili, a gentile richiesta di “padron Agnelli”, a ratificare qualsiasi tipo di accordo. “Guarda caso”, la manifestazione di Torino, FIM-FIOM-UILM l’hanno promossa assieme alla FISMIC. E nella trasmissione Annozero di giovedì scorso dedicata alla FIAT, addirittura, campeggiava in studio lo striscione “unitario” delle RSU di Pomigliano firmato FIM-FIOM-UILM-FISMIC. COBAS nei reparti confino e unità con le organizzazioni padronali e filo-padronali: è questa la linea del “compagno” Rinaldini e del “compagno” Cremaschi dentro la FIAT.
Negli anni ’50 il Partito Comunista chiedeva, almeno, la chiusura dei reparti confino (anche perché dentro c’erano i suoi militanti); negli anni 2000, i reparti confino si aprono con il consenso del sindacato, anche di quello, come ci ricorda Cremaschi, “più di sinistra” d’Italia (che è in effetti il più “di sinistra” tra i sindacati di regime, così come il PRC è il partito più “di sinistra” tra quelli che stanno dall’altra parte della barricata su cui stanno i lavoratori).

Non ci interessa entrare più di tanto nel merito dei fatti perché, malgrado le mistificazioni operate da tutti i mass – e non mass, come il Manifesto – media, le immagini parlano da sole: parlano di una contestazione ma non certo di “assalti”; parlano di persone che “battibeccano” dandosi reciprocamente spinte che si propagano fino a Rinaldini, il quale – come è costretto a riconoscere persino Cremaschi – scivola (poi Cremaschi, con il suo classico stile, ritratta, “precisa”, “tiene conto”, ecc…). Che poi si sia trattato di una scivolata voluta e/o enfatizzata – un “fallo di simulazione” – chi lo sa, chi sta nella zucca del “compagno” Rinaldini? (Forse lo sa meglio Corrado Delle Donne, coordinatore SLAI, che aiutava Rinaldini a rialzarsi. Mah, prima “lo buttano giù” e poi lo tirano su…) Non fanno ben pensare, a dire il vero, le dichiarazioni che a Rinaldini attribuisce l’agenzia ADNKronos secondo le quali il “compagno” si sarebbe spinto fino a minacciare i lavoratori dello Slai COBAS in vero e proprio stile mafioso (“Per quanto ci riguarda rispetto alla Slai Cobas avremo buona memoria”). Sperando che queste (non smentite) dichiarazioni siano state “distorte” è bene chiarire – a Rinaldini o a chiunque altro – che sarà molto meglio che comincino a ricordarsi degli interessi dei lavoratori, piuttosto che della gestione “unitaria” con Confindustria dei Fondi Pensione Integrativi (investiti nei “titoli spazzatura” di cui tanto si è parlato in questi mesi) o della “repressione” dei lavoratori iscritti ai COBAS. E comunque, volendo, la memoria ce l’abbiamo lunga tutti.
Se poi a qualcuno venisse in mente di scatenare i “famosi servizi d’ordine”, faccia come ha suggerito qualche giorno fa Giorgio Cremaschi: lasci perdere. Quei “famosi” – o per meglio dire famigerati – servizi d’ordine (che almeno dagli anni ’70 in poi agivano quasi sempre contro altri lavoratori e quasi mai contro i celerini, da cui venivano anzi protetti e con cui concordavano “unitariamente” le azioni di repressione in piazza) erano formati spesso da operai che credevano nel sindacato e nel partito comunista e che, aldilà della loro mentalità talvolta reazionaria, erano disposti a picchiare e farsi picchiare per degli ideali, che credevano davvero che il PCI e il sindacato incarnassero la loro volontà di cambiamento sociale e politico. Di operai così, CGIL-CISL-UIL ne troveranno ben pochi; e ancor meno ne troveranno da scagliare contro lavoratori, cassintegrati, confinati, disoccupati, licenziati decine di volte per ragioni politiche… E allora, a meno di formare servizi d’ordine composti da “bodyguard” a pagamento (magari i funzionari, perché no?), questi sindacati possono farsi “difendere”, come nel 1992-1993, solo da scudi di plexiglas o da poliziotti e carabinieri.

Posto che dichiarazioni come quelle dei vari Giraudo, Megale o Bonanni sono solo scandalose menzogne rese da personaggi infami che meriterebbero come massima punizione di andare a lavorare (come urlavano i lavoratori a Torino) e alle condizioni contrattuali, di sicurezza, di diritti… a cui tocca vivere a noi per colpa loro; posto che Rinaldini non è stato “buttato giù dal palco” da nessuno (sebbene in occasioni come l’invio al reparto confino di Nola o lo scippo del TFR per lucrare sui Fondi Pensione Integrativi o l’auto-assegnazione “democratica” della triplice del 33% delle RSU, ecc.. probabilmente se lo sarebbe meritato) è doveroso sottolineare – pur senza in alcun modo scandalizzarsi – che subito dopo la manifestazione si è scatenata una vera e propria campagna di criminalizzazione in cui si è parlato di “azioni squadristiche”, “aggressione”, “assalto”, “pericolo di ritorno al terrorismo”, ecc… Tutto il “battage” era già pronto (perché è sempre pronto): non appena “vola una piuma” si scatena tutto il rodato repertorio della disinformazione di regime. Niente di nuovo. Del resto, Bonanni aveva già accusato la CGIL (che ormai incassa ogni “sputazzo” pur di rimanere agganciata al tavolo delle spartizioni) di avere avuto un atteggiamento “morbido” verso i “sequestri” di manager, ciò che potrebbe incentivare il “ritorno alla violenza”.

L’unanime coro di condanna cantato da tutti i nemici e i falsi amici dei lavoratori, veri amici dei loro sfruttatori politici, sindacali, imprenditoriali… ha avuto almeno il pregio di demarcare con ancora maggiore chiarezza quali siano i due lati della barricata: da una parte i padroni con i loro mezzi di comunicazione, i sindacati e partiti di regime, i giornalisti prezzolati amici più o meno camuffati del padrone; dall’altra, i lavoratori in lotta, cassintegrati a oltranza, licenziati politici, confinati… e chi esprime loro solidarietà e non denigrazione.
Una menzione speciale e integrale merita il brogliaccio che ha la spudoratezza di definirsi “quotidiano comunista”, il Manifesto: Scrive Loris Campetti, che pure in vita sua aveva anche scritto qualche articolo decente: “85, contati e targati Slai Cobas, decidono, alla fine di una manifestazione straordinaria, di aiutare la crisi ed i padroni, assaltano il camioncino montato di fronte al Lingotto dal quale intervengono i dirigenti sindacali, buttano giù dal palco il segretario della Fiom Gianni Rinaldini, si impossessano del microfono per gridare il loro odio non contro quello che hanno alle spalle – il simbolo del potere Fiat – ma contro il più vicino a sinistra, segnando così la loro estraneità dalla sinistra, da quel poco di sinistra che resta. A parte “l’aiuto ai padroni” e, nientepopodimenoche, alla crisi (incredibile!), quelle esposte da Loris Campetti sono, come sanno tutti coloro quelli che possono vedere i filmati su Internet, una sfilza di deliberate menzogne (forse una “velina” proveniente da ambienti sindacali, come la Digos quando manda le sue ai giornali?). Ma la cosa più “interessante” è che per Loris Campetti, evidentemente, la legittimità di un diritto come quello a contestare (un diritto, peraltro, che la sinistra ha esercitato un miliardo di volte) dipende da quanti lo esercitano. Bella concezione della “democrazia”! Complimenti al Manifesto (che naturalmente pretende di continuare a intascare soldi pubblici dal governo Berlusconi per pareggiare il bilancio di un giornale che comprano in pochissimi.. in nome del “diritto” alla sopravvivenza di una “voce libera”). Poi, dopo il processo sommario, la sentenza: “Non siete parte di quello che resta della sinistra!!”. Ah, beh, ora sì che a Pomigliano tremano… E speriamo bene che i lavoratori la smettano definitivamente di essere parte di quella “sinistra” che in questi anni ha fatto da cameriera a Prodi approvando le guerre in Afghanistan, i 6 miliardi di riduzione di cuneo fiscale alle imprese, lo scippo del TFR, l’innalzamento dell’età pensionabile, il pacchetto Treu, i CPT, le privatizzazioni…. E ci fermiamo perché l’elenco sarebbe infinito. Probabilmente il “politically correct” imperante pretenderebbe che le contestazioni avvenissero via Internet o via fax. I lavoratori SLAI COBAS non sono “politically correct”, ma i messaggi che mandano arrivano comunque a destinazione. E a Torino il messaggio era chiaro: cari Rinaldini e soci, qua sconti non ne facciamo più a nessuno.

La FIOM non è esclusa per “diritto divino” da critiche e contestazioni anche se fosse – o, per meglio dire, in quanto è – la componente sociale che secondo la delirante definizione di Cremaschi costituisce il “punto di equilibrio” di “questo paese” (cfr. intervista al Corriere della Sera del 18 maggio), concetto che corrisponde più o meno ad una assunzione di merito per il lavoro svolto nel pompieraggio e nello svilimento della rabbia e della forza operaia (come peraltro ben si vide in azione a Melfi dopo i “21 giorni”). I lavoratori non hanno bisogno di “punti di equilibrio” sociale e concertativi, non hanno bisogno – come ha subito dichiarato Emma Marcegaglia – di alcuna “coesione sociale”, ma devono riscoprire invece il conflitto sociale, giacché senza conflitto e organizzazione non c’è proprio alcuna possibilità di resistenza contro un padronato che non lascia passare giorno senza avanzare; ora ci ri-siamo sulle pensioni: CISL e UIL “aprono” al dialogo e all’assemblea della CISL Emma Marcegaglia raccoglie grandi consensi, così come Bonanni e Angeletti avevano avuto ovazioni all’assemblea di Confindustria. Sì, sì, continuiamo pure ad essere unitari con questi nemici dei lavoratori e mandiamo i COBAS al confino…

A differenza dei lavoratori di Pomigliano, che sono un esempio ed un faro in una terra troppo spesso segnata dalle tante emergenze legate alla mancanza di lavoro, alla malavita organizzata, ai traffici politico-imprenditoriali, alla corruzione, alla qualità della vita… un punto di riferimento per chi lotta per una diversa società campana e non solo, semmai, sono i non pochi lavoratori della FIOM che votano Lega Nord che dovrebbero essere definiti “squadristi” (o quantomeno “rondisti”) e sicuramente xenofobi e reazionari; molti anche razzisti. E anche se quello degli operai fiom-leghisti è il razzismo dell’egoismo e dell’ignoranza più che un “razzismo organico” (almeno per ora) la FIOM farebbe bene a preoccuparsi di questi fenomeni, sempre più diffusi, piuttosto che cercare di distruggere chi, come i COBAS e i sindacati di base (e come naturalmente anche molti delegati FIOM e non FIOM), nei posti di lavoro lotta e resiste, contro mille angherie e soprusi per mantenere alta la dignità e i diritti dei lavoratori.
In questa situazione di crisi che ha ed avrà conseguenze sociali pesanti e di lungo periodo per i lavoratori, la FIOM ha l’opportunità di dimostrare di essere una organizzazione che si batte autenticamente per i diritti dei lavoratori, aldilà delle chiacchiere dei suoi dirigenti e dei loro trucchi da “stuntman”. Lasci perdere FIM e UILM; lasci perdere le estenuanti battaglie interne alla CGIL per conquistare qualche funzionario in più. Apra un confronto ampio con i lavoratori e con le organizzazioni sindacali di base per rilanciare una stagione di lotte. Faccia una sincera autocritica per gli errori (o le porcate, a seconda dei punti di vista) fatti in tante occasioni. Allora sì che il suo ruolo può diventare decisivo e le polemiche lascerebbero istantaneamente il passo ai fatti e Rinaldini non avrebbe bisogno di fare ipocritamente la vittima.

Quando a definire “teppistica” la presunta (e, ripetiamolo, inesistente) aggressione a Rinaldini da parte dei lavoratori SLAI COBAS sono personaggi come Sergio D’Antoni (cfr. Omnibus La7) – l’infame massacratore sociale dei lavoratori italiani – o Massimo D’Alema – l’infame bombardatore con l’uranio impoverito della Jugoslavia e massacratore del diritto di sciopero – beh, anche se non conoscessimo esattamente i fatti sapremmo comunque da che parte stare, senza sé e senza ma, si sarebbe detto una volta.
E’ ovvio che tutto il ciarpame politico-sindacal-mediatico-istituzional-padronale ha inventato la storia dell’aggressione per dare un colpo al sindacalismo di classe che è da sempre una “spina nel fianco” dei sindacati di regime (e lo SLAI COBAS anche del “sindacato più di sinistra”) perché mette a nudo le sue ipocrisie, la sua disponibilità al compromesso al ribasso, la sua collateralità con i governi amici” (ma dei padroni)… e non poteva perdere l’occasione per costruire un “castello di sabbia” su un fatto che è avvenuto in un clima generale di tensione dei lavoratori per una situazione che, aldilà delle chiacchiere di Marchionne, potrebbe diventare molto, molto difficile, se non nell’immediato sicuramente in prospettiva.
Il che ha consentito, peraltro, di far perdere di vista un elemento importante, ovvero che la mobilitazione di Torino, benevolmente accolta un po’ da tutti, da destra a “sinistra”, definita la “grande manifestazione” o la “straordinaria manifestazione”, con i dati sulla partecipazione truccati al rialzo persino dal bollettino di famiglia Agnelli (La Stampa)… è stata invece un po’ fiacca e sicuramente al di sotto delle necessità. Non solo per come si è svolta – a parte la “verve” dei COBAS -, ma soprattutto perché non ha coinvolto né la maggioranza dei lavoratori FIAT (che sono circa 35.000), né, tanto meno, i lavoratori dell’indotto che sono centinaia di migliaia, molti dei quali rischiano il posto se saltano alcuni stabilimenti. E questo è avvenuto perché, grazie al martellante lavoro di propaganda per il “Marchionne Santo subito” della sinistra (ivi compresa quella fu-radicale o per meglio dire “radical-chic-bertinottiana”), l’Amministratore Delegato della FIAT gode di maggiore credito tra i lavoratori che non i sindacati confederali (e dal punto di vista della “serietà” non c’è proprio di che stupirsi). Ecco perché le sue dichiarazioni “tranquillizzanti” (“non chiuderemo stabilimenti italiani”), peraltro abilmente contraddette da quelle di Montezemolo (“vedremo dopo, a bocce ferme”) tendono a scantonare altri problemi: 1) lo scorporo del settore auto dalla FIAT (con il cosiddetto “spin off” di una nuova azienda multinazionale “ad hoc”); la tendenza sempre più marcatamente oligopolistica delle imprese dell’auto con inevitabili conseguenze sui prezzi (e i lavoratori, di auto, non sono solo produttori, ma anche consumatori); 3) gli ennesimi aiuti di Stato, ma su scala globale, ai capitalisti “in crisi” con i soldi dei lavoratori; 4) l’impennarsi della concorrenza globale tra lavoratori e non più solo con cinesi o indiani ma con gli americani stessi, che rinunciano persino al diritto di sciopero fino al 2012 e ci mettono di tasca propria i “fondi pensione” e mutualistici (a Termini Imerese e Pomigliano cosa chiederanno di metterci?), ecc…

Dopo la finta opposizione della CGIL alla controriforma del CCNL (che non si è concretizzata in nessun atto reale di lotta), dopo la nessuna opposizione e anzi l’appoggio sostanziale al DDL Delega di Sacconi per il restringimento del diritto di sciopero nei trasporti (e in prospettiva nei servizi pubblici essenziali), dopo la scandalosa gestione dell’affaire Alitalia e il connesso massacro di precari, dopo le chiacchiere sulla situazione alla FIAT… una delle prossime tappe sarà certamente la controriforma della rappresentanza nei luoghi di lavoro (le attuali RSU). E allora vedremo quanto “democratici” siano CGIL-CISL-UIL e il sindacato “più di sinistra” d’Italia. Ci aspettiamo che il compagno Rinaldini questa volta non scivoli e che dichiari (e mantenga con atti concreti) il proposito di disdettare qualsiasi eventuale accordo peggiorativo sulla rappresentanza sindacale, magari disdettando anche la vergogna del 33% “di diritto” agli “amici degli amici”, sancita nell’accordo del 1993, e che in questi anni ha permesso a FIM-FIOM-UILM, proprio nel gruppo FIAT, di avere una rappresentanza formale nelle RSU ben al di sopra di quella reale tra i lavoratori.

E’ prevedibile che la crisi riduca progressivamente gli spazi di controllo sociale che la triade confederale ha avuto in questi anni dal momento che oggi questi sindacati non sono in grado di ottenere nulla per i lavoratori, ma solo di gestire la crisi e il malcontento nell’interesse dei padroni.
Vedendo la difficoltà in cui si dibatte attualmente il movimento dei lavoratori, padroni e lacchè politico-sindacali si permettono ogni genere di spudoratezza come quella di gettarci in faccia i loro reciproci “salamelecchi”, il loro “ma come sei riformista…”, “no, sei più riformista tu…”. In questa situazione persino il “democratico” senatore del PD, Pietro Ichino (che peraltro non ha perso l’occasione per sferrare un nuovo attacco allo SLAI COBAS come fa da anni, scrivendoci sopra anche dei libri) ci fa la figura del “moderato”.
Ma stiano bene attenti perché la “pacchia” non durerà in eterno. Del resto, niente dura in eterno, neppure una situazione di merda come questa. I proletari sono una grande massa con una grande inerzia che dura, a volte, per anni. Una massa difficile da mettere in moto, ma anche difficile da fermare e a quel punto, meglio non mettersi di traverso.

 

Maggio 2009

Le lavoratrici e i lavoratori di PRIMOMAGGIO
foglio per il collegamento tra lavoratori, precari e disoccupati