Lettere al Manifesto contro la linea filo-Cgil del giornale
Botte allo Slai Cobas! Botte e nessun diritto di replica. Sui fatti di Torino del 16 maggio la stampa italiana si è mossa come un sol uomo. Stampa di regime è e come tale si comporta. Guai dunque a parlare dei reparti confino della Fiat, di quel Marchionne che piace a destra, al centro ed anche a sinistra (per Bertinotti era quasi un mito).
Tra le cose peggiori abbiamo già segnalato il pessimo articolo di Loris Campetti, che evidentemente non è passato inosservato a molti lettori del Manifesto che hanno preso carta e penna per protestare.

Domenica scorsa il Manifesto ha dovuto pubblicare diverse di queste lettere, scartando – come informa lo stesso Campetti – “quelle che incitavano alla «guerra contro i bonzi sindacali»”.
Riprendiamo dunque quelle che hanno passato il filtro censorio della redazione manifestina. Oltre ad essere comunque significative sono evidentemente la punta di un iceberg.
La dimostrazione del fatto che questa volta il Manifesto nella sua foga cigiellina l’ha fatta veramente grossa: politicamente e professionalmente.

Lettere al Manifesto (pubblicate domenica 24 maggio)
  

«Di là», con gli operai

di Teresa Gennai – Roma
Non so se potrete pubblicare questa lettera ma vi scrivo perché ho bisogno di parlare con voi. Ho letto sul nostro giornale (37 anni di lettura continuata e sostegno incondizionato nei momenti di crisi) che gli operai incazzati che hanno cercato di parlare dal palco della manifestazione di Torino «stanno di là», cioè da un’altra parte che non è la nostra, anzi si deduce che sono contro i loro stessi compagni e tutta la sinistra o quel che ne rimane. Penso che nessuno/a abbia il diritto di aggredire fisicamente nessuna/o e che tale pratica sia assurda ma conosco la storia degli operai di Pomigliano, la repressione che la Fiat esercita su di loro con licenziamenti, turni infami e spostamenti di 300 persone da una fabbrica a un’altra perché iscritti a un sindacato di base che dà fastidio. Sono questi gli operai che hanno tentato di parlare, che non sono stati ascoltati neanche da Rinaldini, creando il casino in piazza. Loro dicono di non aver aggredito nessuno ma di aver cercato di parlare dal palco come gli altri sindacalisti. Al rifiuto è seguita l’incazzatura ma gli spintoni non sono come le botte in una situazione del genere. Perché oltre all’articolo di Campetti non si è scritto di queste persone, del loro bestiale livello di vita lavorativa, del fatto che devono continuare a non esistere più con perdita del lavoro, precarietà, vite spezzate e aspettative tradite o ormai impossibili? Ho stima di Rinaldini e della Fiom, meno della Cgil che firma il macchinista unico per le ferrovie e che ho visto all’opera in 32 anni di lavoro con sindacalisti che arrivavano facilmente agli alti gradi di dirigenza dell’azienda… vorrei continuare a poter leggere il mio giornale senza dovermi ricordare delle calunnie, o della miopia politica degli anni ’70 di chi lanciava, contro chi continuava a lottare e ad essere incazzato, le stesse accuse, prima di arrivare all’amara stagione degli anni ’90 dove tutto diventava precario come voleva il padronato e con la firma delle tre sigle confederali.

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Avete parlato con i Cobas?

di Alberto
Leggendo l’articolo sullo scontro Rinaldini-Cobas, mi è dispiaciuto molto il giudizio tranciante di Loris Campetti. Se a lui è dispiaciuta l’aggressione, a me non piace che il punto di riferimento del mondo del lavoro sia rappresentato sempre e comunque dalla CgilFiom. Se i Cobas hanno fatto quello che hanno fatto, è perfettamente inutile deprecare il comportamento di questi, sarebbe più opportuno andare a chiedere a questi lavoratori il perché di questo gesto. Un gesto violento e inopportuno? Forse, ma non è violenza chiudere e mettere in mobilità gli operai perché il padronato deve fare cassa? E allora perché prendersela con Rinaldini? Bisognava appunto chiederlo a quei 80 lavoratori il perché, o no? Oppure non è necessario perché meglio della Cgil-Fiom non c’è nessuno?

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Sgangherati entrambi

di Gabriele Attilio Turci
Carissimi compagni, ho atteso sino ad oggi per vedere se dopo l’affondo «Rinaldini, lo Slai-Cobas sta di là» a firma di «Lo. C.», di domenica scorsa, v’era un anche pur minimo segnale di comprensione. Capisco: il giornale è sostenuto anche dalla Cgil con gli abbonamenti e quanto accaduto a Torino vi ha forse portato ad una qualche forma di distorsione d’immagine. Ma perché non sentire la controparte? Che il compagno Rinaldini sia stato sostenuto (per non cadere) proprio da compagni dello Slai-Cobas è evidente da foto e filmati. Certo, come ha detto Epifani s’è trattato d’un gesto «sgangherato» ma direi che l’aggettivazione valeva per tutti, per chi ha spinto come per chi si adoperava affinché questi compagni non parlassero. Del resto di incazzature ce n’erano parecchie: forse che i 316 nel reparto confino non sono lì anche per un accordo sottoscritto dai confederali, e poi anche così non fosse è giusto che i membri del sindacato più rappresentativo a Pomigliano debbano essere umiliati e posti in condizione di non nuocere? Vogliamo poi parlare degli avvisi di garanzia per picchettaggio e manifestazione davanti alla fabbrica nell’aprile dell’anno scorso? Certo lo Slai-Cobas è sindacato combattivo e poco disponibile a compromessi, con un’impronta fortemente di classe. Questo basta a non dover mai intervistare qualcuno di loro, neppure in questa faccenda che direttamente li investe? Perché il manifesto si è accodato al coro di chi ha gridato allo squadrismo quando la violenza e la prepotenza sono prima di marca padronale, poi di marca sindacale per le compromissioni dure e pure soprattutto dell’area cislina e della Uil? Non si deve dire nulla riguardo ciò? Mi aspetto una replica e vi auguro buon lavoro, non sarà certo questo dissidio, anche profondo, che mi farà abbandonare il giornale.

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Siamo tutti nani

di Giuseppe Balelli – Meldola (FC)
Sabato 16 maggio non ero a Torino e quindi non ero in grado di farmi un’idea di quanto successo alla manifestazione dei metalmeccanici e, sinceramente, anche se avessi partecipato probabilmente non sarebbe stato sufficiente essere lì per potermene fare un’idea in quanto la mia percezione dei fatti sarebbe stata diversa a seconda della posizione in quel corteo. È quindi necessario che di quei fatti me ne parlino coloro che lo fanno di mestiere, i giornalisti. Faccio l’impiegato e non sono iscritto allo Slai-Cobas bensì alla Cgil. La notizia l’apprendo dal Tg3, il mio telegiornale preferito ormai da anni, che me la fornisce sic e simpliciter: un gruppo organizzato dello SlaiCobas ha aggredito il segretario della Fiom Rinaldini. Mi domando: una cosa così grave può essere liquidata in questa maniera? Se facessi di mestiere il giornalista avrei chiesto a Rinaldini, sarei andato a chiederlo anche al segretario dello Slai-Cobas, avrei poi consultato gli organi dirigenti o il loro sito, come ho fatto io, avrei ascoltato qualche testimone, avrei aggiunto anche la mia personale testimonianza se c’ero e avevo visto, poi avrei aggiunto un commento il più equilibrato possibile trattandosi di due soggetti, che rappresentano i lavoratori. Di tutto questo non ho visto traccia non solo al Tg3 ma, ahimé, neppure sul mio amato giornale. Cari compagni, se proprio volete essere partigiani, se proprio a sinistra non tutto vi piace o vi convince, siate almeno professionali! Per finire: non considerate meritevole di attenzione il fatto che lo Slai-Cobas è sindacato maggioritario a Pomigliano e colà un accordo azienda-confederali ha permesso la creazione dello stabilimento confino di Nola? O sbaglio ? E se sbaglio non ritenete comunque ingiusto che nel comunicato della Fiom lo si definisca «piccolo sindacato» come se dipendesse dalle sue dimensioni la pretesa di parlare? Ovvero i piccoli debbono sempre stare zitti e buoni? Se permettete, dato che ho sempre militato fra nani come pure voi, non sono tanto d’accordo.