Brevi note sulla campagna elettorale agli sgoccioli
Secondo un manifesto del Partito Democratico “solo un grande partito può fermare la destra”. Replica immediata della lista Prc-Pdci: quello alla loro lista sarebbe “il voto utile”.
Scambi murali che non appassionano nessuno, messaggi dall’oltretomba, contorsioni verbali di una lingua morta. Se questa è l’opposizione al berlusconismo, il berlusconismo ha già vinto.
La lingua berlusconiana è più semplice, corrisponde all’Italia di oggi, che assomiglia molto a quella delle tv del capo. Basta andare sul sito del Pdl per trovare un rimando immediato ad un forzasilvio.it che chiarisce molto bene le idee.
Un paese allo sbando, con una sua crisi dentro quella globale del capitalismo, sembra volersi consegnare ad una forma moderna ed americanizzata di bonapartismo. Non ce ne sarebbe abbastanza per cominciare ad abbozzare delle risposte forti?
Non sembra proprio che sia questa l’intenzione. Se la competizione per le amministrative si svolge su un terreno inestricabile di localismi, particolarismi e personalismi di tutti i tipi, in quella per le europee si parla di tutto fuorché dell’Europa: che abbiano annusato l’aria che tira?
Il Paperone di Arcore non può certo lamentarsi della sua privacy violata. Ha costruito il suo successo politico sulla sua persona, in passato pubblicizzata nei suoi minimi dettagli, ed ora non ha da lagnarsi se viene ripagato con uguale moneta.
Ma un’opposizione che si affida a Santa Veronica da Macherio, ed al gossip giornaliero sulle feste nelle ville del capo del governo non ha speranza alcuna.
Non ci sono dubbi sul degrado morale suo e della banda che gli si raccoglie attorno, un degrado che sta innanzitutto nella religione del denaro e dell’arricchimento, ma potrà mai funzionare un antiberlusconismo che si concentra ossessivamente sulla persona di Berlusconi e mai su ciò che rappresenta la sua politica? O si pensa, bambinescamente, che non abbia una politica?
Intanto, di grazia, ci dicessero la loro. Cosa pensano di diverso dal Cavaliere sull’Europa, sul Trattato di Lisbona, sul rapporto con gli Usa, sulla crisi economica, sulle missioni militari, sulla Nato?
Del Pd sappiamo che è ben più “europeista” e filo-oligarchico del Pdl; della lista Prc-Pdci (tralasciamo i vendoliani, palesemente al loro ultimo giro di valzer prima dell’approdo al Pd) sappiamo che non è capace di iniziativa alcuna, non per carenza di forze ma per mancanza di coraggio.
La politica non è fatta solo di parole. Alla fine conta l’azione, la capacità di iniziativa. Costoro invece credono allo zoccolo duro. Che esiste, ma è in costante erosione. Vinceranno lo spareggio con i vendoliani, ma la salvezza l’avranno solo al 4%, un obiettivo non impossibile se non fosse che ce la stanno mettendo tutta per non farcela.
E’ un’insipienza figlia dell’opportunismo, una malattia di cui non ci si libera facilmente una volta contratta.
Come se non bastasse la sensazione di vuoto che ci viene da costoro, c’è pure la “sinistra” (molte virgolette) che si appresta a votare Di Pietro.
Il manettaro molisano è un furbastro da quattro soldi che ha spazio solo grazie all’inconsistenza altrui.
In mezzo alle sue generiche proposte per l’Europa ha però inserito quella di un “Corpo dell’esercito europeo con l’obiettivo di ottimizzare le spese militari e di finanziamento delle missioni all’estero, finalizzato ad una linea omogenea di intervento e ad una reale presenza politica internazionale”.
Chiaro no? Meno chiaro il sostegno di alcuni intellettuali di sinistra, ma così va il mondo.
Nel pieno di questa campagna elettorale, che passerà alla storia come quella più insipida della storia repubblicana, in molti tuonano contro l’astensionismo. Ben si comprende, perché se è vero che l’astensionismo non distribuisce seggi, è altrettanto vero che solo l’astensionismo può costituire la base materiale di un concreto percorso di delegittimazione dell’attuale classe dirigente.
Non deve perciò sorprendere la preoccupazione del ceto politico dominante.
Quando domenica sera verranno contati i voti ci si accorgerà che non solo l’Europa (l’Unione europea) non è di moda, ma che essa è sempre più in minoranza. Già nel 2004 votò negli allora 25 paesi membri solo il 45,6% degli elettori. Non è difficile prevedere che questa volta la percentuale sarà ancora più bassa, e che calerà significativamente anche in Italia.
Non sarebbe bene prenderne atto, cercando di dare una forma politica a questo rifiuto?
Non sarebbe bene raccogliere quanto di positivo c’è in questo dato (il no all’Europa dei banchieri), piuttosto che leggere tutto in chiave interna aggrappandosi ai decimali?
Per il ceto politico queste domande sono chiaramente irricevibili, ma se vogliamo ragionare razionalmente è da qui che si dovrà ripartire.