Trucchi, retorica e menzogne di Mr. Barack Hussein Obama
“Dio ti guarda, dì sempre la verità”. Con questa citazione del Corano il presidente degli Stati Uniti ha voluto certificare la sincerità del suo discorso del Cairo. Non sappiamo se davvero un Dio ci guardi, ma è certo che Obama si sente sicuro di non vedere scoperte le sue plateali menzogne.
Parole e fatti: raramente si è assistito ad un discorso così smaccatamente contraddittorio con le scelte politiche di chi lo ha pronunciato. E raramente si è visto un consenso così ampio alle parole di un presidente americano.
Il restauro dell’immagine Usa nel mondo può dunque dirsi compiuto? Non lo pensiamo affatto, non tutti sono della stessa pasta della sinistra italiana, quella sì ai piedi del nuovo imperatore.

Naturalmente anche i discorsi hanno la loro importanza, ed è evidente che gli Stati Uniti stanno cercando di mettere a punto una nuova dottrina capace di perpetuare la loro egemonia imperiale. Obama è stato voluto dall’establishment americano perché ritenuto idoneo ad assolvere questo compito, dopo gli insuccessi di 8 anni di bushismo.
Senza questa premessa non è possibile alcuna analisi razionale dello stesso discorso in terra d’Egitto.

La nuova dottrina dell’imperialismo americano
Al pari di Bush, Obama ha il compito di preservare l’attuale condizione di dominio dell’imperialismo americano. Deve farlo però in una forma molto diversa dal suo predecessore. Ne consegue un radicale cambiamento della tattica per ottenere i medesimi obiettivi strategici.
Per una valutazione compiuta delle conseguenze della nuova politica della Casa Bianca rimandiamo al documento del Campo “Un mondo post-americano ?”, approvato all’inizio dell’anno.
La novità sta fondamentalmente nell’immagine, nei “valori” evocati per motivare la “missione speciale” degli Usa, in pratica nella maschera ideologica che vorrebbe scolorire la natura imperiale dell’egemonia planetaria americana, rendendola così più accettabile al resto del mondo. 
Scrivevamo all’indomani dell’elezione di Obama (vedi Altro che “Altra America”!) che grazie ad essa: “Gli Usa torneranno a presentarsi come una potenza illuminata, democratica, tollerante, capace di integrazione e di rigenerazione. Rivedremo, insomma, i miti del post 1945 che servirono tanto nell’economia della Guerra fredda, quanto nell’orientare in quella direzione almeno una parte delle spinte giovanili degli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso.”

La previsione non era difficile, ed ora ci siamo. Nei primi mesi della sua presidenza Obama ha teso a segnare la discontinuità con Bush su tre punti: 1) l’abbandono formale dell’unilateralismo, 2) la revisione simbolica, non certo sostanziale, degli strumenti repressivi (Guantanamo, torture ecc.), 3) l’abbandono del rischioso concetto di “Guerra di civiltà”.
Ovviamente l’unilateralismo continua, ma viene inserito in un contesto formalmente multipolare. Anche la Guerra infinita continua ma, come abbiamo detto più volte, essa tende a configurarsi non più come guerra americana in nome dell’occidente, bensì come guerra dell’occidente a guida americana. Non cambia la guerra, non cambiano gli obiettivi, non cambia il guidatore, ma l’immagine non è più quella arrogante ed anche un po’ sciocca dei neocons bushiani.
Stesso discorso per la repressione imperiale. Se il lager di Guantanamo verrà chiuso (vedi Tormentone Guantanamo), questo non cambierà molto per i prigionieri lì detenuti illegalmente, che verranno semplicemente trasferiti in altre carceri. Anche qui, come sulla tortura, siamo in presenza di atti puramente simbolici che lasciano intatta la macchina repressiva imperiale.
L’abbandono del concetto di “Guerra di civiltà”, assieme a quello della pretesa “esportazione della democrazia”, deriva invece dalla presa d’atto che non è conveniente per l’impero affrontare il mondo islamico (quasi un miliardo e mezzo di persone) come fosse un tutt’uno. Meglio, molto meglio il “divide et impera”, come insegna del resto la vicenda irachena.
E’ in questa cornice infida e velenosa che dobbiamo leggere il discorso del Cairo.

Il discorso del Cairo, ovvero la Menzogna Infinita
“Sono venuto qui per gettare le basi di un nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i musulmani di tutto il mondo, un nuovo rapporto fondato sul reciproco rispetto e su interessi comuni”.
Questa frase truffaldina e menzognera, un insulto ai musulmani che continuano a morire sotto le bombe americane oggi come ieri, è stata pronunciata da un presidente che continua a mantenere le truppe di occupazione in Iraq, che ne sta inviando altre in Afghanistan, che bombarda e fa bombardare il nord ovest del Pakistan, che trama per condizionare il responso delle urne in Libano, che intensifica le minacce al Sudan ed all’Iran e chi più ne ha più ne metta.
Che questa gigantesca presa in giro riscuota gli applausi scroscianti della sinistra occidentale conferma soltanto il degrado morale, politico ed intellettuale di quest’ultima.

“Non siamo andati in Afghanistan per nostra scelta, ma per necessità”.
L’aggressione ad un paese sovrano, poverissimo, a parecchie migliaia di chilometri dalle coste americane ci viene presentato da Obama come un atto necessario di autodifesa. Il tutto per poter continuare, ed intensificare, la guerra in corso. Ma dal 2001 non ci risultano azioni sul territorio degli Stati Uniti di forze in qualche modo riconducibili all’Afghanistan, mentre ci risultano invece parecchie decine di migliaia di morti sia in Afghanistan che in Pakistan.
Dov’è dunque lo “stato di necessità”, al di fuori della strategia geopolitica dell’impero a stelle e strisce?

“Non abbiamo alcuna intenzione di mantenere le nostre truppe in Afghanistan. Non vogliamo insediare basi militari”.
Dopo otto anni di guerra, dopo che le basi sono state insediate da tempo, nel momento in cui le truppe vengono quasi raddoppiate, questa affermazione appare davvero fuori luogo, come se il mondo potesse accettare questa verità rovesciata solo perché pronunciata da “Obama il buono”.

“L’America non volterà le spalle davanti alle legittime aspirazioni dei palestinesi di vivere dignitosamente in uno Stato proprio”.
Già, ma quale Stato? A parte il fatto che nello stesso discorso Obama ha speso molte parole per ribadire il legame di ferro con Israele, che quel diritto lo nega, di quale stato stiamo parlando? Del vero stato di Palestina, o di un insieme di bantustan scollegati tra loro, dipendenti da Israele e dunque privi di una effettiva sovranità?
A giudicare dalle posizioni ribadite recentemente dall’amministrazione americana – no al diritto al ritorno dei profughi, sostegno alla totale ebraicizzazione di Israele, nessuna parola sulle colonie esistenti ma solo su quelle future, ecc. – la risposta è senz’altro la seconda.
Dov’è dunque la novità? La novità sarebbe stata una visita a Gaza, dato che l’inquilino della Casa Bianca si trovava da quelle parti, ma invece via di corsa verso Buchenwald giusto per ricominciare con i discorsi contro l’Iran…

“Tutti i Paesi – anche l’Iran – hanno il diritto di accedere all’energia nucleare a scopo pacifico, se accettano le proprie responsabilità sotto il Trattato di Non proliferazione nucleare”.
Quanta ipocrisia! Intanto il presidente degli Stati Uniti dovrebbe dirci in primo luogo, lui così pacifista, quando il suo paese inizierà il disarmo nucleare. La non proliferazione vale solo per gli altri? O meglio, vale solo per i potenziali nemici, visto che sulle centinaia di atomiche israeliane non si proferisce parola?

E’ così difficile vedere la vera natura del discorso del Cairo? Un discorso infarcito di menzogne, un grande imbroglio teso a rilanciare le prospettive egemoniche della superpotenza americana nel mondo.
Non è difficile, non dovrebbe essere difficile, ma le capacità critiche sono assai in disarmo nella sinistra occidentale.

Miserie sinistre
Da una parte abbiamo un discorso, dall’altra i fatti. La politica, ovviamente, è fatta anche di discorsi, ma qualsiasi analista dovrebbe in primo luogo misurare la distanza tra parole e fatti.
Così non è per Obama. Perlomeno così non è per la sinistra occidentale ed italiana in particolare.
Qui la miseria intellettuale ormai straborda da ogni lato.

Ci fu un tempo in cui a sinistra, e tra i comunisti in particolare, si imparava fin da piccoli a basare sempre l’analisi in primo luogo (non esclusivamente) sugli elementi strutturali. Ne conseguiva che il capitalismo aveva le sue leggi di funzionamento indipendentemente dal presidente della Confindustria italiana, così ce l’aveva l’imperialismo indipendentemente dai capi di governo che ne mettevano in atto le politiche.
Pretendere oggi un simile rigore dalle sinistre italiane sarebbe come immaginare la verginità delle veline berlusconiane. Perciò lasciamo perdere.
Si potrebbe però pretendere quanto meno una maggiore attenzione ai fatti. I fatti nudi e crudi, invece niente. O meglio, il niente sarebbe grasso che cola, dato che il grido berlusconiano che viene da sinistra è addirittura un “Forza Obama!”

Il presidente degli Usa è quella persona che comanda mezzo milione di soldati in giro per il mondo, intenti ad occupare paesi ed a gestire l’incredibile rete di basi a stelle e strisce che avvolge l’intero pianeta. E’ anche il presidente del paese che copre da solo il 50% delle spese militari mondiali.
E’ il presidente che nei suoi primi atti ha confermato truppe, basi e soldi al servizio della missione imperiale americana, in perfetta continuità con il suo predecessore. E’ anche il presidente che, forte di questa supremazia militare, ha messo in atto un piano economico teso a scaricare i costi della crisi verso l’esterno.
Questi sarebbero i fatti da cui partire, per poi poter valutare più realisticamente discorsi come quello del Cairo.

Ma a sinistra si è persa la bussola. Da tempo, ma non ci sono segni di ravvedimento. Molto più di quanto si pensi anche se si pensa sempre il peggio. In altre parole, la realtà dell’istupidimento supera sempre ogni immaginazione.
Vogliamo averne la riprova? Vediamo cosa ha scritto il Manifesto sul discorso del Cairo.

Titolone della prima pagina di venerdì 5 giugno: “Il profeta Hussein”. Un semplice gioco di parole? Per capire che non è così basta leggere a fianco l’editoriale di Valentino Parlato “Miracolo al Cairo”, un’autentica esaltazione del discorso di Obama.
Giriamo a pagina 2 e troviamo il titolone “L’impero del bene”. Altro gioco di parole? Altra smentita dall’articolo che segue di Roberto Zanini che apre con il We love you degli studenti universitari del Cairo.
Ci spingiamo a pagina 3 ed incontriamo un commento di Stefano Allevi per il quale non c’è dubbio: siamo davvero di fronte ad un “nuovo inizio”.
Solo un po’ più prudente Liberazione, il cui titolo di prima pagina è comunque “Provaci sul serio, Obama”.

Non ci sono parole per commentare adeguatamente la miseria di costoro, i loro inni al nuovo imperatore, addirittura l’assenza di ogni cautela, la cancellazione preventiva di ogni critica.
Eppure, a proposito di parole e fatti, ed in particolare di quelli compiuti dai presidenti “illuminati”, basterebbe ricordargli il caso di John Kennedy, mitizzato dalla sinistra “americana” di ogni dove, ma giustamente ricordato come aggressore da vietnamiti e cubani. Eppure quel presidente che portò più di ogni altro il mondo sulla soglia della catastrofe nucleare, con la crisi dei missili dell’ottobre 1962, ci viene ancora oggi rammentato come un “progressista” dalla sinistra occidentale.

E’ chiaro che mentre le forze antimperialiste e rivoluzionarie di tutto il mondo dovranno affrontare ora un nuovo nemico infido e pericoloso, in occidente dovremo fare i conti con questa sinistra melensa e servile. Una sinistra che affida le sue speranze non più ai popoli, né ai lavoratori, né agli sfruttati in genere, bensì all’imperatore di Washington non è solo una sinistra da criticare, è una sinistra da combattere.