Il ginepraio

Scheda sul sistema elettorale libanese

Tutti i maggiori organi di comunicazione hanno dato ampio risalto alle elezioni svoltesi in Libano lo scorso 7 giugno. Tutti quanti hanno parlato di una “grande vittoria” della coalizione filo-occidentale del “14 marzo” capeggiata da Rafic Hariri e della sconfitta del blocco capeggiato da Hezbollah. Vero o falso? Vero e falso. Torneremo domani con un’analisi politica di queste elezioni. Per il momento proponiamo ai nostri lettori una scheda sul farraginoso e ben poco democratico sistema elettorale libanese, senza comprendere il quale nessun giudizio sui risultati avrebbe alcuna solidità.

 

 

(1) In base alla Costituzione (promulgata nel 1926 quando il paese era colonia francese) le istituzioni libanesi sono ripartire in base ad un criterio confessionale: il presidente della Repubblica cristiano maronita, il primo ministro musulmano sunnita, il presidente del parlamento musulmano sciita, mentre alcuni alti funzionari spettano ai greco-ortodossi o ai drusi. Rispettando il criterio delle quote confessionali, gli accordi di Taif (siglati nell’ottobre 1989, quando la guerra civile stava scemando), stabilirono che il Parlamento (monocamerale) avrebbe avuto 128 deputati: la metà di essi spettanti ai cristiani, e l’altra metà ai musulmani. Quali che siano i risultati delle urne avremo quindi che il Parlamento sarà composto da 64 cristiani e da 64 musulmani. Essendo queste due comunità religiose differenziate al loro interno, la legge elettorale assegna ad ogni setta religiosa una quota di seggi. I 64 seggi cristiani sono così ripartiti: 34 maroniti, 14 greco-ortodossi, 8 greco-cattolici, 5 armeno-ortodossi, 1 armeno-cattolici, 1 evangelisti, 1 altre minoranze cristiane. Per la comunità musulmana avremo: 27 seggi ai sunniti, 27 agli shiiti, 8 ai drusi (che questi siano musulmani sono essi i primi a contestarlo), 2 agli alawiti.

 

(2) A questa ripartizione confessionale e certo poco democratica delle istituzioni va aggiunta un’altra gigantesca anomalia: l’assegnazione delle quote alle comunità religiose avviene in base all’ultimo censimento ufficiale, risalente al 1932. A quel tempo in effetti i cristiani erano poco più della metà della popolazione, mentre gli shiiti erano pari ai sunniti. Tutti sanno in Libano che oggi le cose non stanno in questa maniera. Per le cause più diverse (guerre, diverso tasso di natalità tra le comunità, emigrazione – la gran parte dei libanesi vive all’estero, solo in Brasile ce ne sono più che in Libano) si ritiene che oggi i cristiani siano circa il 30% e i musulmani il 70%, e tra questi gli shiiti in netta  maggioranza. Si spiega dunque facilmente come mai non si faccia un nuovo censimento della popolazione: sarebbe come aprire un vaso di Pandora perché esso, ferme restando le quote confessionali, non solo darebbe più peso alla comunità musulmana, ma entro questa l’egemonia agli shiiti, ovvero ad Hezbollah e Amal.

 

(3) Vediamo ora come sono ripartiti i seggi. Grazie agli Accordi di Doha (21 maggio 2008), sottoscritti da tutte le parti dopo i gravi incidenti di Beirut dei giorni precedenti che rischiavano di precipitare il paese nella guerra civile, è stata concordata una modifica della legge elettorale che ha praticamente reintrodotto le circoscrizioni elettorali (Kazas – vedi cartina) previste dalla legge del 1960. Per l’esattezza 26 Kazas. Quelle più popolose, ad esempio Beirut-3 e Baalbeck-Hermel eleggono dieci deputati ciascuna. Le più piccole, come ad esempio Sidone, solo due. La ripartizione confessionale dei seggi è stabilita in anticipo per ciascuna Kazas. Siccome diverse Kazas sono pluriconfessionali la legge stabilisce anche quanti seggi spettino ad ogni comunità. Prendiamo ad esempio la composita Kazas di Beirut -3: gli elettori che si presentano ai seggi debbono scegliere 5 sunniti, 1 shiita, 1 druso, 1 greco-ortodosso, 1 evangelista e 1 rappresentante delle altre minoranze cristiane.

 

(4) I deputati sono eletti col meccanismo dello scrutinio uninominale a turno unico, per cui vengono eletti i candidati che pigliano più voti di preferenza. Questo ovviamente tenendo conto delle quote confessionali di cui sopra. Per cui, ad esempio, sempre restando al caso di Beirut-3, se due candidati della lista shiita risultassero i più votati in assoluto, uno e uno solo sarebbe eletto. Di converso, sempre a Beirut-3 saranno comunque presi 5 deputati sunniti, anche ove, per assurdo, la lista sunnita non ottenesse alcun voto. Oppure, ove il sesto candidato della lista sunnita prendesse più preferenze del primo piazzato nella lista drusa, quest’ultimo diventerebbe comunque deputato.

 

(5) Va ora sottolineato un primo dettaglio (che risulterà decisivo per spiegare il recente successo della coalizione di Hariri). Ogni elettore, quale che sia la sua appartenenza confessionale, non vota solo i candidati della sua setta, ma può esprimere la preferenza per i candidati delle altre liste confessionali. Prendiamo sempre l’esempio di Beirut-3, a grande maggioranza sunnita. Ove nella lista greco-ortodossa vi fossero un candidato vicino al blocco Hezbollah-Aoun e un altro, all’opposto, simpatizzante per Hariri, gli elettori sunniti pro-Hariri potrebbero facilmente determinare la sconfitta del primo a vantaggio dl secondo. Questo è esattamente ciò che è successo in quasi tutte le Kazas a maggioranza sunnita o drusa, dove sunniti e drusi, alleati di Hariri, hanno votato in massa per i candidati delle liste cristiane di Genayel e Gegea, determinando la sconfitta dei cristiani alleati ad Hezbollah (anzitutto il Libero Movimento Patriottico di Aoun). Come è vero del resto che nelle Kazas a maggioranza shiita gli elettori shiiti hanno votato in massa per le liste e i candidati di Aoun contro le destre cristiane alleate ad Hariri.

 

(6) Secondo dettaglio. Gli elettori esprimono le preferenze di lista in due modi. Possono scrivere il nome dei candidati nella scheda in bianco consegnata al seggio oppure, come in effetti avviene, possono depositare nell’urna schede prestampate consegnate loro davanti ai seggi dai sostenitori di questa o quella lista. A causa del complicato e mutevole gioco di alleanze politiche e interconfessionali, ognuno può immaginare le difficoltà di un semplice elettore, che dovrebbe ricordarsi e distinguere non solo le molteplici liste ma pure il nome di questo o quel candidato della sua comunità, come quelli delle altre. Per questo di norma il cittadino non ritira la scheda in bianco ma quella prestampata distribuita davanti ai seggi. Un sistema di questo tipo è ovviamente oggetto di fondate critiche, non solo perché ingessa la competizione, ma anche perché consente agli scrutatori di rintracciare l’origine delle schede elettorali e quindi di capire l’intenzione di voto di ogni elettore.

 

(7) Terzo dettaglio. Gli elettori non votano in base al loro luogo di residenza ma in base al loro luogo d’origine. Questo spiega l’esodo biblico (ma pure l’alta astensione dal voto) in occasione delle elezioni libanesi. La metà dei cittadini di Beirut non vota nella capitale, ma deve recarsi al suo villaggio d’origine.