La crisi del capitalismo mondiale comincia a dare i suoi primi frutti. Amari.

1. Le elezioni svoltesi nei 27 paesi che compongono l’Unione Europea sono state anzitutto caratterizzate da un consistente aumento dell’astensione. Più della metà dei cittadini hanno preferito non recarsi alle urne. Questa astensione crescente testimonia l’inarrestabile  distacco popolare in relazione alle istituzioni sovranazionali europee, le quali escono ulteriormente delegittimate e indebolite.
L’astensione conferma infine un dissenso, per quanto non univoco né pienamente cosciente, rispetto al progetto stesso di unificazione europea, già clamorosamente manifestatosi in occasione dei referendum svoltesi in Francia, Irlanda e Olanda. Quello delle elezioni per il Parlamento di Strasburgo è infatti uno specchietto per le allodole, utilizzato per dare una parvenza di democraticità ad un edificio per sua natura imperialistico, oligarchico e tecnocratico.

Il Parlamento ha infatti poteri fittizi: può decidere come ripartire la produzione di burro o indicare gli ingredienti per cucinare una pizza, ma non può respingere le scelte della Banca centrale o quelle della Commissione, né mettere bocca su decisioni come l’invio di truppe d’occupazione in Iraq o Afghanistan, né tantomeno contestare la decisione della NATO di sfondare verso Est.
I luoghi effettivi dove vengono prese le decisioni politiche strategiche e macro-economiche non risiedono infatti nel Parlamento, né dipendono da quest’ultimo, ma risiedono in organismi come la Commissione, il Consiglio o la Banca centrale, i quali sono del tutto sottratti alla sovranità popolare e ubbidiscono a loro volta ai “poteri forti” come la Casa Bianca e la Federal Reserve, il Pentagono e la NATO, i governi nazionali europei più potenti, il FMI e la World Bank, i grandi gruppi finanziari e industriali transnazionali.
In estrema sintesi l’Unione Europea non è altro che una coalizione di paesi imperialistici, tenuti assieme da comuni interessi predatori, legati agli U.S.A. da un patto di sudditanza e cooperazione strategica. Incubata ai tempi della “Guerra Fredda” come protesi della NATO (tutti e cinque i paesi fondatori dell’Unione erano membri della NATO) essa ha infatti mantenuto questa caratteristica genetica. Basti guardare all’allargamento dell’Unione dopo il crollo dell’URSS e del Patto di Varsavia: l’adesione alla NATO era ed è  l’anticamera dell’ingresso nell’Unione.

2. Per queste fondamentali ragioni, a causa del suo essere un’alleanza imperialistica e del carattere oligarchico e antidemocratico delle sue istituzioni, gli antimperialisti ed i rivoluzionari hanno sempre assunto una posizione oppositiva e di contrasto al rafforzamento, all’allargamento e al funzionamento dell’Unione Europea.
Oggi come ieri l’astensione elettorale è la maniera più coerente per non fornire legittimità alle sue istituzioni e per denunciare la sua natura di coalizione imperialista. Non c’erano e non ci sono ragioni per modificare questa posizione di fondo. Riteniamo quindi un grave errore che forze europee a vario titolo anticapitaliste abbiano deciso di partecipare alla kermesse elettorale.
La débâcle di queste forze, nessuna delle quali nemmeno questa volta è riuscita ad ottenere dei seggi, non si spiega tuttavia solo per questo errore. Se la loro disfatta testimonia del distacco di queste forze dalla loro stessa base sociale (fondamentalmente astensionista), essa si spiega a causa della generale svolta reazionaria in corso.
La caduta e in certi casi il crollo dei partiti socialdemocratici (che solo in Germania, Portogallo e Grecia è stato compensato dalla tenuta di liste alla loro sinistra), fa infatti il paio con l’affermazione delle destre conservatrici e rigidamente atlantiste, a vario titolo democristiane e liberali. A questo si deve aggiungere l’affermazione, in numerosi paesi, di liste populiste razziste, xenofobe, antislamiche e neo-fasciste. Per la prima volta in questo Parlamento entrano il BNP inglese, il PRM rumeno, il Jobbik ungherese, l’Ataka bulgaro, il PVV olandese.
Altri partiti xenofobi come il FPOE austriaco, la Lega Nord italiana hanno confermato la loro forza ottenendo consensi anche nei tradizionali distretti operai, socialisti e comunisti (se il Fronte Nazionale francese ha subito una battuta d’arresto è solo perché le sue pulsioni xenofobe e sicuritarie sono state assorbite dal sarkozysmo). A questa spinta reazionaria, se si fa una parziale eccezione per la Francia, la Grecia e l’Austria (vedi l’inatteso  successo del populista di sinistra  Hans Peter Martin), non corrisponde, né sul piano elettorale né su quello sociale, una contro-spinta, una mobilitazione, una polarizzazione antagonistica. E’ alto il rischio che questa spinta reazionaria faccia da battistrada ad una vera e propria “fascistizzazione” delle masse, che certo prenderà forme diverse rispetto a quella che dilagò in Europa negli anni ‘20 e ‘30.

3. Le oligarchie dominanti, i “poteri forti” europei, sono allarmati, interpretano a giusto titolo questi segnali come le prime avvisaglie della fine della pace sociale e dell’incipienza di colossali conflitti che pur riguardando singoli stati nazionali, potrebbero debordare e travolgere lo stesso fragile edificio dell’Unione Europea.
Questa spinta reazionaria non si limita a dare demagogicamente voce ai sempre più larghi strati di ceto-medio impoveriti prima dalle devastanti politiche neoliberiste e infine dalla recessione, essa contiene, oltre a pulsioni xenofobe, un acceso anti-europeismo e rinascenti nazionalismi revanchisti.
Se queste forze hanno preso piede è anche perché la sinistra storica, quasi dappertutto al governo e per lunghi periodi, ha avuto responsabilità dirette e colossali nella costruzione dell’Unione, e si è fatta portatrice delle sue politiche super-capitaliste. Ma hanno preso piede anche a causa del fallimento della sinistra anticapitalista, che dietro al paravento dell’internazionalismo e della multiculturalità, è apparsa come forza ausiliaria della globalizzazione capitalista, intrappolata nei suoi  miti progressisti, modernisti e integrazionisti.
Sentendosi minacciati i “poteri forti” e  le oligarchie dominanti europei, cercheranno anzitutto di sfruttare pro domo loro questa spinta reazionaria, al contempo tenteranno di fermarla ricorrendo ai melensi richiami alle tradizioni democratiche, al quieto vivere e alla pace sociale. Invocheranno il soccorso delle sinistre, e l’otterranno, come sempre è accaduto. Ma non sarà questa Santa alleanza simil-democratica a sventare la possibilità che questa spinta si trasformi in una valanga fascistoide.
Non ci riuscirono i “fronti popolari” ieri, figurarsi se potranno riuscirci oggi sgangherate e opportunistiche alleanze sinistra-centro-destra. La crisi della coalizione governativa in Germania, sfasciatasi ai primi colpi della recessione, è sintomatica.

4. Quanto diciamo dipende da una analisi della crisi economica globale, che a nostro modo di vedere non è una delle cicliche e brevi recessioni conosciute dal capitalismo dal dopoguerra ad oggi.
Quanto diciamo dipende dal fatto che l’attuale recessione europea non è solo l’inizio di una lunga depressione, bensì la manifestazione di una crisi sistemica, epocale, destinata a scombussolare equilibri politici, assetti istituzionali, modelli sociali e modi di vita della gran parte dei cittadini. Siamo appena entrati in un periodo di grandi turbolenze sociali e politiche che necessariamente, date le tradizioni europee, porteranno all’esplosione di caotici conflitti sociali, che necessariamente produrranno nuove polarizzazioni e un diverso paesaggio politico.
Le masse, soprattutto gli strati già impoveriti, avvertono, seppur confusamente, che siamo dentro a questo vortice, e se si affidano a “salvatori della patria”, stregoni populisti, formazioni xenofobe estremistiche e/o neofasciste, è perché cercano disperatamente di aggrapparsi a ciò che possiedono, ai loro attuali standard di vita. Di qui la parossistica domanda di “sicurezza”, la richiesta di uno Stato di polizia, l’espulsione degli immigrati, considerati responsabili (più loro che i pescecani della banche o le grandi transnazionali capitaliste) della loro pauperizzazione.
Che i penultimi se la prendano con gli ultimi, non è solo un inquietante segno dei tempi, è l’indice infallibile della possibilità che la spinta reazionaria di oggi possa trasmutarsi in una peculiare fascistizzazione domani.

5. Ci sono oggi, in Europa, le forze e le idee per fermare questa possibile minaccia? No, non ci sono. Le forze rivoluzionarie erano già da tempo sulla difensiva strategica. Adesso entriamo in una nuova fase, in un decennio di “Resistenza raddoppiata”, in cui esse dovranno difendere le loro residue e fragili trincee.
Esse dovranno anzitutto difenderle, sapendo che è alta la probabilità che l’Europa precipiti nel lungo periodo in una guerra civile, che quindi non entriamo in una lenta e snervante “guerra di posizione”, bensì in una “guerra di movimento” irregolare e di nuovo tipo, dove la difesa potrà coniugarsi col contrattacco, dove accaniti scontri potranno verificarsi qua e la, senza che essi abbiano la capacità di trasformarsi in conflitto generale, con sfide che non potranno essere evitate e che dovranno quindi essere vinte.
Il ruolo anche di piccoli reparti d’avanguardia sarà dunque più decisivo che mai, ma sempre evitando avanguardismi votati alla sconfitta certa o estremismi d’antan. In questa prospettiva l’Europa potrebbe passare, da fronte arretrato della lotta rivoluzionaria, ad uno dei luoghi decisivi dove si decidono le sorti dell’umanità, a laboratorio dove si sperimenta nel fuoco della lotta la possibilità storica della fuoriuscita dal capitalismo.
Il legame con le Resistenze antimperialiste diventa in questo contesto non solo necessario ma indispensabile. Di qui la nostra funzione precipua e non sostituibile. Ma c’è un altro compito a cui non possiamo sottrarci, quello di contribuire a ripensare radicalmente il socialismo, visto che la rivoluzione non potrà accumulare domani forze e indirizzare le future spinte anticapitaliste, se oggi non sorgesse un pensiero rivoluzionario nuovo di zecca.