Il “pensiero unico” della stampa occidentale incrinato dal Washington Post

In queste ore, mentre le vie di Tehran sono percorse dal corteo degli sconfitti, la grande stampa occidentale prende e rilancia per buona ed indiscutibile la tesi dei brogli elettorali.
Il voto del 12 giugno, che abbiamo definito uno schiaffo all’imperialismo, ha fatto male a molti: alla grande borghesia iraniana che si era raccolta attorno a Moussavi, ad Obama ed ai leaders europei, al governo israeliano.
La sconfitta è stata netta e c’è chi vorrebbe ribaltare il risultato delle elezioni. Oggi lo stesso Ban Ki Moon, giusto per ricordarci da chi prende ordini l’Onu, è sceso in campo per mettere in dubbio la regolarità del voto.
Non ci riusciranno, il popolo iraniano non consentirà una replica delle “rivoluzioni arancioni” promosse e sostenute dall’imperialismo.

Ora, quando si parla di brogli si dovrebbero portare anche elementi concreti a sostegno. Cosa che invece non sta avvenendo. Non solo: lo scarto di voti tra Ahmadinejead e Moussavi è stato talmente ampio (oltre 10 milioni di voti) che discutere di ipotetici brogli appare francamente ridicolo.
In realtà la stampa occidentale, che evidentemente aveva finito per credere alle proprie stesse menzogne, non sa capacitarsi del rovescio subito: “come si sono permessi gli iraniani di contraddire le nostre analisi? Chi credono di essere?”

C’era però chi la verità la conosceva molto bene. Non che i sondaggi siano il Vangelo. Non che debbano essere presi per oro colato, ma qualcosa in genere sanno dire, perlomeno sulle grandi tendenze.
Il sondaggio di cui parla l’articolo odierno del Washington Post che pubblichiamo di seguito, evidentemente riservato oltre che finanziato da un’istituzione non propriamente dedita alla beneficienza, ma neppure al sostegno dei nemici della Casa Bianca (la Rockefeller Brothers Fund) dava tre settimane fa numeri corrispondenti all’esito ufficiale uscito dalle urne iraniane.
Il sondaggio conferma anche altri dati emersi dal voto di venerdì scorso: non solo il voto massiccio ad Ahmadinejead delle classi popolari, ma anche la sua netta vittoria nella forte minoranza azera ed il grande sostegno avuto dai giovani. Dati questi che smentiscono clamorosamente i luoghi comuni diffusi in occidente.
L’articolo offre poi una chiave di lettura del voto ad Ahmadinejead del tutto discutibile. Ma non è questo che conta, dato che i due autori ragionano dal punto di vista degli interessi americani. Contano invece i numeri nudi e crudi del loro sondaggio elettorale, numeri che coincidono con i dati ufficiali e smentiscono nella sostanza tutti i discorsi della stragrande maggioranza dei media occidentali.
Anche questo sondaggio, alla faccia della famiglia Rockefeller, sarà stato viziato dai demoniaci brogli di Ahmadinejead?

la redazione

Iran, parla il popolo iraniano

di Ken Ballen e Patrick Doherty
The Washington Post, 15 giugno 2009

I risultati elettorali in Iran potrebbero riflettere la volontà del popolo iraniano. Molti esperti stanno sostenendo che il margine di vittoria del presidente in carica, Mahmoud Ahmadinejad, è stato il risultato di frodi o manipolazioni, tuttavia il nostro sondaggio dell’opinione pubblica iraniana a livello nazionale tre settimane prima del voto mostrava Ahmadinejad in testa con un margine di oltre 2 a 1 – superiore a quello con cui apparentemente ha vinto nelle elezioni di tre giorni fa.

Mentre i servizi giornalistici da Tehran nei giorni che hanno preceduto il voto rappresentavano una opinione pubblica iraniana entusiasta del principale avversario di Ahmadinejad, Mir Hossein Mussavi, il nostro campionamento scientifico in tutte e 30 le province dell’Iran mostrava Ahmadinejad in testa di parecchio.

I sondaggi nazionali indipendenti e non censurati dell’Iran sono rari. Di solito, i sondaggi pre-elettorali vengono condotti o monitorati dal governo, e sono notoriamente inaffidabili. Invece, il sondaggio realizzato dalla nostra organizzazione no-profit dall’11 al 20 maggio era il terzo di una serie negli ultimi due anni. Condotto per telefono da un Paese confinante, le rilevazioni sul campo sono state eseguite in Farsi da una società di sondaggi il cui lavoro nella regione per conto di ABC News e della BBC ha ricevuto un Emmy Award. Il nostro sondaggio è stato finanziato dal Rockefeller Brothers Fund.

L’ampiezza del sostegno per Ahmadinejad era evidente nel nostro sondaggio pre-elettorale. Nel corso della campagna elettorale, ad esempio, Mussavi ha sottolineato la sua identità di azero, il secondo gruppo etnico in Iran dopo quello dei persiani, per cercare di accattivarsi gli elettori azeri. Il nostro sondaggio indica, tuttavia, che gli azeri preferivano Ahmadinejad a Mussavi nel rapporto di due contro uno.

Gran parte dei commenti hanno rappresentato i giovani iraniani e Internet come precursori del cambiamento in queste elezioni. Ma il nostro sondaggio ha scoperto che solo un terzo degli iraniani hanno accesso a Internet, mentre, di tutti i gruppi di età, quello dei giovani fra i 18 e i 24 anni comprendeva il blocco di voti più forte a favore di Ahmadinejad.

Gli unici gruppi demografici nei quali Mussavi era in testa o competitivo rispetto ad Ahmadinejad, secondo i risultati del nostro sondaggio, erano gli studenti universitari e i laureati, e gli iraniani con la fascia di reddito più alta. Quando è stato realizzato il nostro sondaggio, inoltre quasi un terzo degli iraniani erano ancora indecisi. Tuttavia, le distribuzioni di riferimento che abbiamo trovato allora rispecchiano i risultati riferiti dalle autorità iraniane, il che indica la possibilità che il voto non sia il prodotto di frodi diffuse.

Alcuni potrebbero argomentare che il sostegno dichiarato per Ahmadinejad da noi rilevato riflettesse semplicemente la riluttanza degli intervistati impauriti a fornire risposte oneste ai rilevatori. Tuttavia, l’integrità dei nostri risultati è confermata dalle risposte politicamente rischiose che gli iraniani erano risposti a dare a un sacco di domande. Ad esempio, quasi quattro iraniani su cinque – compresa la maggioranza dei sostenitori di Ahmadinejad – hanno detto di voler cambiare il sistema politico per avere il diritto di eleggere la Guida Suprema, che attualmente non è soggetta al voto popolare. Analogamente, gli iraniani hanno definito libere elezioni e una libera stampa come le loro priorità più importanti per il governo, praticamente alla pari con il miglioramento dell’economia nazionale. Non propriamente risposte “politically correct” da esprimere pubblicamente in una società generalmente autoritaria.

Anzi, e coerentemente in tutti e tre i nostri sondaggi nel corso degli ultimi due anni, più del 70 % degli iraniani si sono detti favorevoli a dare pieno accesso agli ispettori sugli armamenti, e a garantire che l’Iran non sviluppi o possieda armi nucleari, in cambio di aiuti e investimenti esterni.
E il 77 % degli iraniani era favorevole a rapporti normali e commercio con gli Stati Uniti, un altro dato in accordo con i nostri risultati precedenti.

Gli iraniani considerano il loro sostegno a un sistema più democratico, con rapporti normali con gli Stati Uniti, in armonia con il loro appoggio ad Ahmadinejad. Non vogliono che lui continui con le sue politiche intransigenti. Invece, gli iraniani apparentemente considerano Ahmadinejad il loro negoziatore più tosto, la persona meglio posizionata per portare a casa un accordo favorevole – una sorta di Nixon persiano che va in Cina.

Le accuse di frodi e manipolazioni elettorali serviranno a isolare ulteriormente l’Iran, e probabilmente ne aumenteranno la belligeranza e l’intransigenza nei confronti del mondo esterno. Prima che altri Paesi, compresi gli Stati Uniti, saltino alla conclusione che le elezioni presidenziali iraniane sono state fraudolente, con le conseguenze serie che accuse di questo tipo potrebbero portare, essi dovrebbero valutare tutte le informazioni indipendenti. Potrebbe darsi semplicemente che la rielezione del presidente Ahmadinejad sia quello che voleva il popolo iraniano.

Ken Ballen è presidente di Terror Free Tomorrow: The Center for Public Opinion, un istituto senza fini di lucro che si occupa di ricerche sugli atteggiamenti nei confronti dell’estremismo. Patrick Doherty è vice direttore dell’American Strategy Program presso la New America Foundation. Il sondaggio condotto dai due gruppi dall’11 al 20 maggio si basa su 1.001 interviste in tutto l’Iran, e ha un margine di errore di 3,1 punti percentuali.

(Traduzione di Ornella Sangiovanni – Osservatorio Iraq))