Netanyahu aveva recentemente messo le carte in tavola, dichiarando esplicitamente la sua contrarietà ad uno stato palestinese. Nel suo discorso di domenica scorsa al Be – Sa Center (Centro Begin – Sadat) di Tel Aviv sembra aver fatto retromarcia, accettando l’idea di uno stato palestinese accanto a quello israeliano.

Ma la svolta è solo apparente, perché Netanyahu ha in mente il solito stato dei bantustan: piccole isole palestinesi assolutamente smilitarizzate e confinanti esclusivamente con Israele, e quindi accerchiate da un paese armato fino ai denti, nucleare compreso; assetto costituzionale e istituzionale predeterminato dai sedicenti mediatori (Stati Uniti in testa e paesi arabi compiacenti) in combutta con l’occupazione sionista; nessuna sovranità sullo spazio aereo sovrastante.

Fuori discussione il rientro dei profughi, che per Netanyahu sono un problema che va risolto all’interno dei paesi che li ospitano; il fatto che Gerusalemme tutta deve essere la capitale di Israele; le colonie esistenti, che hanno il diritto di ingrandirsi perché i “fratelli coloni” hanno diritto ad avere una vita normale, che implica la possibilità di ingrandire gli insediamenti esistenti anche per costruire piscine e campi da golf togliendo acqua e terra ai palestinesi.

Il tutto alla precondizione che i palestinesi recitino la “professione di fede”: riconoscano Israele come stato ebraico, convertendosi in massa al sionismo.

Richiesta quest’ultima manifestamente razzista, visto anche che in Israele il 20% circa della popolazione residente è palestinese, che ha fatto alterare la compiacente Autorità Nazionale Palestinese, che pure non mette in discussione la formula “due popoli, due stati”, e perfino l’Egitto, che da trenta anni a questa parte non ha mai fatto mancare la sua collaborazione all’occupazione sionista della Palestina, distinguendosi particolarmente negli ultimi due anni per il suo fondamentale contributo all’assedio di Gaza.
Ma anche richiesta paradossale, visto che non pochi ebrei sia in Israele che all’estero sono dichiaratamente antisionisti e sostengono la soluzione più giusta per tutti, profughi e coloni compresi: quella di un unico stato democratico su tutta la Palestina storica.