“La guerra di Libia prima e quella europea poi hanno strappato ai giornali della borghesia una maschera che formava l’ammirazione delle moltitudini: la maschera della correttezza, della equanimità, della serenità.”(1) Così scriveva Antonio Gramsci nel dicembre del 1916. Possiamo e dobbiamo estendere lo smascheramento dai mass media dei dominati: la visita in Italia del leader libico Gheddafi è una delle possibili cartine tornasole che ha consentito di osservare i caratteri delle forze politiche referenti dei (sub)dominanti italiani, incluse quelle che pretenderebbero di rappresentare i dominati.
1. Una prima osservazione riguarda i modi d’azione verso l’esterno della potenza dominante. In contrasto con la completa incomprensione dimostrata dall’esaltazione per il Buono (Obama) di contro all’esecrazione del Cattivo (Bush), le azioni intraprese verso la Libia negli anni ’80 del novecento, mostrano chiaramente all’opera due diverse modalità tattiche, cioè varianti di una stessa politica egemonica degli Usa in un epoca ancora monocentrica. “Anche se l’amministrazione [democratica] Carter non intraprese alcun attacco militare palese contro la Libia, probabilmente fu coinvolta in un’azione segreta molto grave. Il 27 giugno 1980, un aereo passeggeri italiano venne distrutto, mentre sorvolava il Mediterraneo, da un missile che fece 81 vittime. Contemporaneamente, nelle vicinanze volava un aereo libico che forse trasportava Gheddafi.[…] un rapporto del Ministero della Difesa italiana rivelava che probabilmente era stato usato un missile aria-aria Sidewinder, un’arma impiegata dalla Nato.”(2) Invece l’amministrazione repubblicana guidata da Reagan definì il leader libico “cane idrofobo del Medio Oriente” ed il 14 aprile del 1986 lo bombardò: “Le bombe fatte cadere sulla Libia causarono dalle 40 alle 100 vittime, tutte civili tranne uno e ne ferirono circa un altro centinaio. L’ambasciata francese, situata in un quartiere residenziale, fu distrutta. Tra i morti c’erano la figlia adottiva di Gheddafi e una ragazzina adolescente in visita da Londra; tutti gli altri sette figli di Gheddafi, e anche la moglie, furono ricoverati in ospedale per lo shock e le molteplici ferite. […] Nel frattempo la Marina statunitense consegnava 158 medaglie ai piloti che, nel buio della notte, avevano fatto cadere bombe da due quintali e da una tonnellata sulla popolazione addormentata. […] Per essere sicuri che il popolo libico capisse il messaggio, dopo il bombardamento, Voice of America ripetè più volte frasi del tipo: ‘Il colonnello Gheddafi è il vostro tragico fardello’. E finchè obbedivano ai suoi ordini, dovevano ‘subirne le conseguenze’.”(3) Questo tra l’altro avrebbe già potuto chiarire in che cosa consistevano le differenze tra le due fronti politici – democratici e repubblicani – varianti Usa della dicotomia europea destra-sinistra. Va rilevato inoltre che l’esportazione selettiva di un modello politico era e d è funzionale al mantenimento della (pre)dominanza degli Usa. Questo perché “non potendo colpire indiscriminatamente tutti i luoghi dove, a giudizio dell’amministrazione americana, la ‘libertà’ andrebbe esportata e installata, bisogna concentrarsi sugli ‘Stati canaglia’ […] Come il Minosse dantesco ‘giudica secondo ch’avvinghia’, così è discrezione dell’amministrazione americana decidere chi è terrorista e chi non lo è, chi è già pronto per essere aggredito e disarmato e chi deve invece aspettarsi prima o poi un tale trattamento.”(4) Il che significa che gli Stati uniti sarebbero rimasti l’unico Stato a mantenere una capacità politica, di prendere le decisioni rilevanti se fossero riusciti ad impedire l’emergere di nuove potenze. Come nella sfera economica occorre in date contingenze scegliere politicamente il protezionismo per consentire, formare e sostenere una propria autonomia e indipendenza nazionale, analoga scelta va fatta nella sfera politica. A maggiore ragione nel caso di prodotti (forme politico-istituzionali) che sanciscano e contribuiscano alla conferma della propria subalternità rispetto all’egemonia della potenza dominante (oggi gli Usa). Scegliere il rifiuto del modello politico americano è legittimato anche dal fatto che “Non esiste ‘un modello predefinito di democrazia’,….ciascuna delle varianti democratiche oggi ravvisabili sul pianeta è legata a differenti percorsi storici e contesti socio-culturali e, perciò, non è suscettibile di essere esportata né tanto meno imposta con la forza. …[ma] nella cultura politica americana la pretesa universalistica del proprio modello democratico, segnala quanto profonde siano le radici storiche della dottrina del Manifest Destiny della nazione americana, che si trova investita dalla sua stessa classe dirigente di una missione civilizzatrice su scala globale.”(5)
2. Una seconda osservazione riguarda le modalità con cui le diverse versioni della scienza politica trattano le democrazie quale oggi si presentano. Gheddafi nella sua lezione all’università di Roma ha proposto una definizione ed un’origine del termine democrazia: « Prima di tutto la democrazia è una parola araba che è stata letta in latino. Democrazia: demos vuol dire popolo. Crazi in arabo vuol dire sedia. Cioè il popolo si vuole sedere sulle sedie. Questa è l’ origine etimologica della parola». Al di là dell’improbabile attendibilità filologica e della definizione, egli ha però efficacemente spiegato che «Se noi ci troviamo in questa sala siamo il popolo, seduti su delle sedie, questa andrebbe chiamata democrazia, cioè il popolo si siede su delle sedie. Invece se noi prendessimo questo popolo e lo facessimo uscire fuori, se avessimo invece preso dieci persone e le avessimo fatte sedere qua, scelte dalla gente che stava fuori, e loro invece sono seduti qua, quei dieci, questa non sarebbe da chiamarsi democrazia. Questa si chiamerebbe diecicrazia. Cioè dieci su delle sedie. Non è il popolo a sedersi sulle sedie, questa è la democrazia. Finché tutto il popolo non avrà la possibilità di sedersi tutto quanto sulle sedie, non ci sarà ancora democrazia». Ne ha quindi concluso che «Finché ci sono le elezioni c’ è la “rappresentanza” del popolo».(6) La diecicrazia italiana composta da un intreccio tra la lagrassiana GF&ID ed i suoi referenti politici che vogliono mantenere un ruolo subalterno per la nostra formazione sociale ed al contempo il loro ruolo di (sub)dominanti rispetto agli Usa, in contrasto con i nostri interessi nazionali (vedi caso Fiat-Chrysler e Fiat –Opel) si è levata come un solo uomo contro il reato di vilipendio del rito elettorale. Proprio coloro che stanno tramando (le scosse d’alemiane) per sostituire con referenti più consoni agli Usa l’attuale premier, facendosene un baffetto delle elezioni, si stracciano le vesti contro chi afferma l’inutilità delle elezioni proprio mentre stanno tentando di stracciare, capovolgendolo o stravolgendolo, l’esito elettorale. Qui si tocca un punto più generale. Dapprima si ha la smodata esaltazione del formalismo delle procedure e del rispetto delle regole (fissate e manipolate a piacere dai dominanti), ma se accade che il vincitore non sia quello (pre)scelto dai dominati Usa (Mousavi in Iran), allora prende il sopravvento il sostanzialismo, secondo cui l’unica cosa rilevante è chi vince (Hariri in Libano). Infatti se il vincitore è il (pre)scelto dai dominanti Usa, allora il come vince diventa irrilevante (in questo sono un vero modello, che va dall’interruzione del riconteggio nella Florida (7) al colpo di Stato in Cile contro Allende passando per le cosiddette ‘rivoluzioni arancioni’). La categorizzazione degli schieramenti politico-sociali della politologia dominante segue lo stesso criterio per cui il rieletto presidente iraniano Ahmadinejad è (s)qualificato come pericoloso conservatore mentre il quisling imposto dagli Usa in Afghanistan sarebbe un moderato.
Anche la dizione del ruolo politico-istituzionale varia a seconda del grado di vicinanza e sudditanza o distanza dal Washington consensus politico. Ad esempio il colonnello Gheddafi è definito come dittatore mentre Mubarak, salito al potere per successione nel 1981 e riconfermato da referendum elettorali farsa per quattro volte, è definito presidente dell’Egitto. Addirittura si giunge a stravolgere il concetto di Stato formulato da un pensatore del calibro di Weber, e poi passato nella manualistica di ogni ordine e grado scolastico, secondo cui “dal punto di vista sociologico, si può definire lo Stato moderno solo a partire da uno specifico mezzo che gli è proprio allo stesso modo di ogni associazione politica, cioè l’ uso della forza fisica. […] L’uso della forza, naturalmente, non è il mezzo normale o l’unico a disposizione dello Stato … ma è il suo mezzo specifico.” (8) Infatti Benjamin Netanyahu ha annunciato che sosterrà la costituzione di uno Stato palestinese demilitarizzato (9): cioè uno Stato che non si fondi sulla possibilità di uso della forza, ossia una contraddizione in essere, ribattezzata dai mezzi di distrazione ed inganno di massa come svolta tesa a riconoscere uno Stato(sic!) ai palestinesi (quelli Buoni—ossia che si riconoscono nel quisling Abu Mazen). In conclusione non posso che ribadire il disvelamento leniniano circa la funzione della democrazia come conflitto tra gruppi di pressione, che è quella di: «Decidere una volta ogni qualche anno qual membro della classe dominante debba opprimere, schiacciare il popolo nel parlamento: ecco la vera essenza del parlamentarismo borghese, non solo nelle monarchie parlamentari costituzionali, ma anche nelle repubbliche le più democratiche».10 D’altra parte la definizione leniniana è stata fattualmente confermata tanto che oggi se ne è potuto concludere che “Le urne sono divenute… lo strumento di legittimazione di equilibri, di ceti, di personale politico quasi immutabile, non importa quanto diversificato e come diviso al suo interno.” (11)
3. Una terza osservazione, riguarda la dignità e l’indipendenza nazionale. A quei parlamentari indignati per aver Gheddafi rammentato la resistenza anticoloniale va almeno ricordato il lavoro del principale storico italiano del nostro colonialismo in Africa il quale ricostruendo una delle figure significative della resistenza libica ha scritto: “ ‘Alcuni amici mi hanno chiesto , più volte, di scrivere la cronaca degli anni della colonizzazione italiana. Mi sono deciso a farlo quando ho visto il colonialista italiano distruggere il mio paese e il suo popolo.’ […] Con questo incipit solenne, il capo arabo Mohamed Fekini el Tarabusi el Rogebani cominciava a narrare la storia dell’occupazione italiana della Libia…Venti anni di guerra, dunque, di attacchi e di ripiegamenti con rare pause. Venti anni di sofferenze per un popolo che cercava, con ogni mezzo, di salvare la propria identità, la propria cultura, la propria religione da un processo di assimilazione sempre più dispotico e devastante.” (12) Analogo atteggiamento occorrerebbe da parte di una forza politica che volesse oggi evitare la distruzione delle residue possibilità di autonomia ed indipendenza nazionale italiana, contro l’aspirante schieramento alla continuazione del rapporto (neo)coloniale con gli Usa.
Al presidente della Camera ed allo stesso frastagliato schieramento (Pd,Idv,Udc,exAN ecc.) – che ben si è guardato dal mostrare indignazione per le stragi Nato in Afghanistan ed in Iraq – e che si è profondamente alterato per la mancata presenza ad una conferenza del leader libico (il quotidiano Libero ha definito il gesto di Fini ‘Lezione al beduino.’ 13/06/09) ,andrebbe a titolo esemplificativo ricordato, a proposito della gravità degli atti compiuti, che durante la nostra occupazione coloniale del territorio libico: “Nel 1926 la popolazione di Magarba era dislocata lungo il uadi Faregh (i Sciamanach) e nella Choscia (i Reedat). ‘Ribelli’ erano gli armati e l’intera popolazione ‘civile’, donne e bambini. Si trattava di un popolo che resisteva all’esercito italiano e non un nucleo di guerriglieri isolato e privo del supporto popolare. Le operazioni militari italiane, e soprattutto , quelle eseguite dall’Aereonautica assumevano proprio per questo fattore i contorni di un genocidio programmato. L’uso sistematico dei gas è dimostrato dai documenti in cui viene sottolineata l’efficacia dei bombardamenti.[…] Nella maggior parte delle relazioni e dei telegrammi inviati dalla colonia al ministero si tende ad utilizzare la parola generica ‘ribelli’ per indicare le vittime delle azioni militari. …la distinzione fra armati e popolazione civile sembra passare inosservata…” (13) D’altronde a chi dimostra ogni giorno il razzistico disprezzo per vite che non siano dei ‘nostri’ (al massimo occidentali) non si può osare chiedere neanche il minimo della sagacia e del coraggio che dimostrò il ‘leone del deserto’ nel perseguire la resistenza all’occupante per riconquistare l’indipendenza nazionale. Racconta Del Boca: “Tradotto a Bengasi con il cacciatorpediniere “Orsini”, il 15 settembre lo processano nel salone del Palazzo Littorio. Il processo è soltanto una tragica farsa destinata a rendere legale un assassinio. Mussolini ha già deciso per la pena capitale. Alla lettura della sentenza, che lo condanna all’impiccagione, Omar al Mukhtar non si scompone, dice: «Da Dio siamo venuti e a Dio dobbiamo tornare». L’indomani, carico di catene, il settantenne Omar sale sul patibolo.” (14)
Purtroppo oggi nell’arena (ma sarebbe più appropriato definirla pollaio data la statura politica degli attori) politica italiana vi è il deserto dei leoni, mentre abbondano i ruggiti dei conigli…
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Note
1 Gramsci ‘Cronache torinesi.’ Dicembre 1916 Einaudi
2 Blum ‘Il libro nero degli Stati Uniti.’ Fazi editore pag 419
3 Blum cit pag 416 A proposito del casus belli impiegato in quella circostanza l’autore in questione così proseguiva: “ ‘Le nostre prove sono dirette, precise, irrefutabili.’, annunciò il presidente degli Stati Uniti. Stava spiegando che il bombardamento americano sulla Libia del 14 aprile 1986 era una rappresaglia per la bomba libica esplosa nove giorni prima in un night-club di Berlino Ovest frequentato da militari americani, che aveva ucciso due soldati e un civile, ferendone molti altri. In realtà, la prova della colpevolezza libica riguardo all’esplosione non fu mai presentata al mondo in modo preciso e diretto, ma a questo particolare si prestò poca attenzione.”
4 Canfora ‘Esportare la libertà. Il mito che ha fallito’ Mondatori paq 75-76
5 AAVV ‘Quale democrazia americana ?’ Jaca Book pag 13
6 Gian Antonio Stella ‘La «lectio» antielezioni del Colonnello’ Corriere della Sera 13 giugno 2009. Gustosa ed allo stesso tempo indicativa del livello di marcescenza dell’università italiana la considerazione finale dell’articolista: “Né si poteva pretendere che Luigi Frati, il ruspante rettore della Sapienza celebre per aver allestito nell’ aula magna di medicina la festa di nozze della figlia Paola (docente della sua stessa facoltà come anche la moglie Luciana e il figlio Giacomo) sapesse l’ arabo e chiedesse perciò lumi al Rais sul fatto che in arabo «popolo» si dica «shàb».”
7 “Nelle elezioni del 2000 Bush jr. “vinse” la presidenza grazie all’intervento della Corte Suprema, a maggioranza repubblicana. La Corte bloccò il riconteggio delle schede perforate della Florida perché il governatore e fratello di George W., Jeb Bush, non aveva stabilito un metodo uniforme su come contare le schede per tutte le contee.” Manisco USA 2004″: la grande frode.’ www.socialpress.it/article.php3?id_article=664
8 Weber ‘Scritti politici.’ Donzelli editore Pag. 178
9 http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=121296 Tel Aviv, 14-06-2009
10 Lenin, ‘Stato e Rivoluzione’ Editori riuniti
11 Canfora ‘La natura potere.’ Laterza pag 9
12 Del Boca ‘A un passo dalla forca. Atrocità e infamie dell’occupazione italiana della Libia nelle memorie del patriota Mohamed Fekini.’ Aldini Castaldi pag 15
13 Salerno ‘Genocidio in Libia. Le atrocità nascoste dell’avventura coloniale italiana (1911-1931).’ Manifestolibri pag 65-66
14 Del Boca ‘Omar al Mukhtar, credente e stratega.’ Dossier di Nigrizia Aprile 1998