Il dilemma di Prachanda

I maoisti di nuovo al governo?

 

Il 22 maggio scorso, si commentavano la dimissioni di Prachanda e la formazione del nuovo esecutivo, affermando che la crisi non era affatto risolta e che il Nepal stava entrando in un nuovo periodo di gravi turbolenze, sociali politiche e istituzionali. Il nuovo governo, presieduto da Madhav Kumar Nepal, dirigente dell’altro partito comunista nepalese (il PCN-mlu), fortemente sponsorizzato dall’India ha solo un mese di vita, e una nuova crisi è già in atto.

Il mese di giugno è stato caratterizzato da una serie di possenti agitazioni popolari promosse dai maoisti di Prachanda.

 

Un mese fa le agenzie di stampa asiatiche informavano che la crisi di governo in Nepal, determinata dalle improvvise dimisssioni del primo ministro Prachanda, era risolta. Il presidente della Repubblica infatti conferì l’incarico di formare il nuovo esecutivo a Madhav Kumar Nepal, grande vecchio del Partito Comunista (UML), ovvero proprio al partito che solo un mese fa, con gesto ostile, aveva causato le dimissioni di Prachanda. Ora questo governo traballa, a causa delle proteste culminate in uno sciopero generale, affiancato da combattive manifestazioni  che hanno praticamente paralizzato il paese, giungendo addirittura a bloccare i lavori del parlamento e svariati municipi locali. Malgrado le minacce del ministro degli interni di usare il pugno di ferro e i diversi incidenti, non c’è stato il temuto bagno di sangue. La ragione è presto detta: la prova di forza voluta dai maoisti ha ottenuto il risultato desiderato, cioè mostrare all’India e ai suoi referenti locali che non è possibile governare il paese contro di loro, ovvero contro la metà più determinata della popolazione.

 

La mossa, prescindendo ora dalle dinamiche più propriamente sociali della mobilitazione, ha sortito immediatamente il suo effetto. Prima il segretario dell’UML, J.N. Khanal, poi il suo compagno di partito nonché primo ministro, hanno affermato che non è possibile governare il paese contro il potente partito maoista, proponendo ufficialmente un nuovo esecutivo con la diretta partecipazione dei maoisti.

 

L’India, che – repetita juvant – considera il Nepal un suo satellite e teme che i maoisti possano strapparlo alla sua sfera d’influenza per consegnarla a quella cinese, ha fatto immediatamente sapere che questa è una soluzione non gradita. I commentatori nepalesi più accorti segnalano che lo iato tra la richiesta dell’UML di riassociare Prachanda al governo e il niet indiano è il vero fatto nuovo della crisi nepalese. Ricordiamo che l’UML, con astuto pretesto, è stato il vero responsabile delle dimissioni di Prachanda da primo ministro e che quel gesto fu senza alcun dubbio dettato dalle pressioni indiane. Cos’è successo quindi nell’UML? E’ accaduto un vero cambio di linea? O la recentissima apertura è solo una manovra tattica per isolare e indebolire i maoisti?

 

È presto per dirlo. Ce lo diranno le prossime settimane. Nonostante il malumore tra la base dell’UML, che non ha molto gradito l’appiattimento sulle posizioni indiane, noi propendiamo per la seconda ipotesi. Ovvero che l’apertura di credito verso Prachanda è solo una mossa tattica per prendere fiato, nell’ottica di far deviare le proprie contraddizioni e rigettare la palla nel campo dei maoisti, un passaggio di una lunga partita di scacchi la cui posta in palio è la salvezza o la rovina delle giovani istituzioni democratico-borghesi e con esse dell’Assemblea costituente (che ancora non ha sfornato la nuova costituzione).
Di qui il dilemma, non solo di Prachanda ma di tutto il partito maoista: rientrare nel governo, col rischio di restare col cerino acceso, ovvero essere compartecipi del fallimento dell’Assemblea costituente, o alzare la posta mobilitando le masse per passare attraverso una profonda rottura rivoluzionaria ad una “democrazia popolare”?