P.Q.M. “La Commissione Nazionale di Garanzia”, delibera all’unanimità dei presenti l’espulsione dal Partito di Marco Rizzo stante l’art. 26 comma II punto e) dello Statuto”.
Questa sentenza, firmata dal presidente della commissione Silvio Crapolicchio, è la conferma dello stato confusionale che vivono i cosiddetti “comunisti italiani”, non però il solo Pdci.

Spostiamoci brevemente nel campo del Prc. “Sinistra. Ferrero: il futuro è nella riunificazione”, questo è il titolo di testa del sito ufficiale del Prc che sintetizza una confusa intervista all’attuale segretario. Il quale (vedi relazione al Comitato politico nazionale del 13 giugno) avanza apertamente questa proposta a Vendola come a Ferrando…

In che cosa si differenzia dalla riedizione dell’Arcobaleno voluta dai vendoliani? Mistero della fede. Forse vorrebbe distinguersi sulla base di una maggiore autonomia dal Pd. Ma questo andrebbe dimostrato nei fatti. L’Arcobaleno 2008 era formalmente del tutto autonomo dal Pd, peccato che avessero governato insieme per due anni. La lista “comunista” 2009 era anch’essa formalmente autonoma (alle europee, del resto, non può essere altrimenti), ma era così alle amministrative? No, nella metà delle province in cui si è votato Prc e Pdci (qualche volta divisi tra loro) erano alleati del Pd, alla faccia della chiarezza.

Ora, l’arcobalenicchio di Vendola, allargato ai socialisti, c’è già. Strizza l’occhio ai radicali (dimmi con chi vai e….) e naviga verso il Pd. Quello di Ferrero che cos’é? Non si sa, e probabilmente non lo sapremo mai. Ma intanto sembra che possa servire a far entrare in segreteria i vendoliani rimasti nel Prc…
Confusione allo stato puro, ripetizione di formule stantie, recriminazioni contro gli scissionisti, soddisfazione per aver recuperato qualcosa sul 2008, ed alla fine il solito refrain sull’ennesimo contenitore della “sinistra d’alternativa”: questo e nient’altro ci offre il repertorio ferreriano dopo l’insuccesso delle europee.
Perché di un insuccesso pieno si è trattato, e per certi aspetti perfino più grave di quello di un anno fa.  
Le europee erano infatti per l’accoppiata Prc-Pdci la prova d’appello, l’occasione per rifarsi e ripartire. L’hanno fallita a causa della loro incapacità di rompere veramente con il bipolarismo e con il Pd, ma anche con la cultura politica che li ha condotti nel cul de sac in cui si trovano.

Non si può costruire un partito sulle istituzioni e poi pensare di vivere fuori da esse. E’ per questo che lo slogan “in basso a sinistra” non funziona e non può funzionare.
L’istituzionalismo più sfrenato ha caratterizzato in questi anni – ben al di là delle divergenze politiche – tanto il Prc quanto il Pdci. E’ un istituzionalismo profondo, che coinvolge il quadro intermedio e a cui non sfugge quel poco che rimane della base militante. Ed infatti il fuggi fuggi è già iniziato e continuerà, anche se la coppia Ferrero-Diliberto farà di tutto per tornare ad allearsi con il Pd alle regionali del 2010.
Questo è senza dubbio il modo migliore per procedere all’ulteriore dissoluzione, ma la logica che muove questi gruppi dirigenti non è modificabile. La modifica chiederebbe una vera rottura e questa è semplicemente impensabile per gli epigoni del cossuttismo (espulsione, espulsione, espulsione!) e del bertinottismo (movimento, movimento, movimento!).
Epigoni in realtà tenuti insieme dal triplice grido: “galleggiamo, galleggiamo, galleggiamo!”

Se la cultura politica su cui si è sviluppato il Pdci è riassumibile nel motto “falce, martello e assessorati”, quella del Prc era invece sintetizzabile in “aria fritta e presidenza della camera”. Un po’ poco anche in tempi di miseria culturale come questi, e perso Montecitorio è rimasta soltanto l’aria fritta.
Giudizio esagerato? Vediamo a quali approdi è giunto il pavoncello spennato registrato all’anagrafe come Bertinotti Fausto: “Bisogna far nascere un Partito nuovo della sinistra italiana, di tutta la sinistra italiana. Un Partito creato da tutti quelli che oggi sono all’opposizione e che si sentono più o meno di sinistra, da Rifondazione all’Italia dei valori, dal Partito democratico (sottolineatura nostra) al movimento di Vendola, dai socialisti ai Verdi, dai Comunisti italiani ai radicali”.
Con questa affermazione si apre l’intervista di Bertinotti alla Stampa, realizzata dall’ex direttore del Manifesto, Barenghi, lo scorso 10 giugno.
Si è così passati, in un brevissimo lasso di tempo, dalla rifondazione comunista al cartello della sinistra radicale e da questo al partito unico a sinistra del Pdl, escluso soltanto l’Udc.

Che oggi il discrimine passi dalle parti della Dc bonsai di Casini? Agli occhi di ogni persona razionale sembrerebbe impossibile, ma forse sarà proprio così. Nei giorni scorsi tanto Ferrero che Di Pietro hanno tuonato: “o con noi o con l’Udc!
E che sarà mai l’Udc dopo aver digerito il democristiano Franceschini, il privatizzatore Bersani, il tecnocrate Letta, la teodem Binetti, il bombardatore D’Alema, l’americano Veltroni, l’odioso Rutelli?
Insomma, pur di non fare i conti con la natura, la politica, la cultura, gli interessi del Partito Democratico, meglio ripararsi dietro lo schermo dell’eventuale alleanza con l’Udc. Meglio evitare la questione vera per discutere a lungo l’aspetto secondario. Si può essere più opportunisti?

Siamo partiti dall’espulsione di Rizzo, un fatto minore in un’epoca di “basso impero” dov’è rimasto il basso pur essendo scomparso l’impero. Un fatto però illuminante se si guardano le argomentazioni dei PM e della corte dilibertiana, ma anche se si considerano gli argomenti difensivi dell’imputato.
Marco Rizzo, promotore un anno fa dell’appello per l’unità dei comunisti, si ritrova accusato di aver fatto campagna elettorale per i dipietristi, ed in particolare per il suo vecchio nemico Gianni Vattimo, un altro firmatario di quell’appello. Strana sorte è toccata agli unificatori: uno si candida con Di Pietro, l’altro viene espulso dal Pdci. Uno torna a Strasburgo quando esce l’altro che gli era subentrato cinque anni prima: non hanno unificato i comunisti, ma tra insulti e querele miliardarie poi ritirate hanno fatto una singolare staffetta. Ci sarà una prossima puntata? Vedremo.

Intanto, però, è interessante vedere qual è stata la difesa di Rizzo: “Diliberto mi ha espulso perché ho osato chiedere conto di incontri con massoni ex P2”. Ed ancora: “Diliberto è l’unico segretario di partito che non si dimette mai (difficile dargli torto, ndr) e ora strizza anche l’occhiolino ai poteri forti”.
Da ex ministro della Giustizia la replica di Diliberto non poteva che essere una querela, che è stata  infatti annunciata. Controreplica di Rizzo: “Devolverò i soldi che incasserò dalla querela all’Abruzzo”. In Abruzzo attendono, ma con scarsa convinzione.

Va bene che saranno saltati i nervi ad entrambi – uno a Strasburgo voleva tornare, mentre l’altro intendeva andarci per la prima volta – ma dov’è finita la politica, o perlomeno un minimo di stile?
Lasciassero perdere il comunismo e le sue “riunificazioni”, lasciassero perdere le loro inutili riflessioni post-elettorali. Lasciassero perdere. Il loro partituncolo è alla frutta. Non solo per il suo gruppo dirigente, ma certamente anche per quello.