La girandola dei vertici nel vortice della crisi
Il G8 de L’Aquila si è dunque concluso. L’oscena passerella di governanti e signore, di potenti e di servi dei potenti, di giornalisti ridotti a portavoce, di attori, comici e cantanti è finalmente terminata.
Ma l’edizione 2009 di questo festival della vanità sarà probabilmente anche l’ultima, e questa è in ogni caso una buona notizia. Non perché quel che seguirà debba essere necessariamente migliore, ma perché l’esaurimento di questa formula è la conferma di quanto sia profonda la crisi. Una crisi che non è soltanto economica e che investe il quadro complessivo degli assetti geopolitici.
Da 34 anni il gruppo dei “Paesi G” ha la funzione di coordinare le politiche delle più importanti nazioni occidentali all’interno di un blocco imperialista a guida rigidamente americana.
Lo stesso passaggio da G7 a G8 venne concepito, un po’ ingenuamente, come tassello di un processo di integrazione della Russia che allora sembrava in qualche modo plausibile.
Oggi gli Stati Uniti avvertono da un lato lo scricchiolio dei vecchi equilibri e, dall’altro, sanno di non poter continuare a dominare il mondo con gli stessi strumenti del periodo precedente.
Da qui la girandola dei vertici di questi ultimi mesi (ed altri se ne annunciano), la serie infinita dei vari “G”, che se ancora non definiscono un nuovo assetto, hanno però già decretato la fine di quello vecchio.
Nella provincialissima Italia il vertice ha fatto discutere per ben altri motivi. C’era, oppure no, il gradimento degli altri “grandi” al lavoro preparatorio svolto dal governo di Roma? E – ancora più importante – c’erano oppure no i complimenti di Obama al Cialtrone di Arcore?
In maniera veramente ridicola i dirigenti ed i giornalisti berlusconiani cantano vittoria per l’ “organizzazione che ha funzionato”: e perché mai non avrebbe dovuto funzionare, mica si trattava di fronteggiare una calamità naturale!
Ancora più ridicola la speranza, apertamente coltivata nel centrosinistra, di una delegittimazione di Berlusconi da parte di Obama.
In realtà non c’è stata né la vittoria berlusconiana, né tanto meno quella dei centrosinistrati. C’è stato un vertice più insulso del solito, con risultati politici pressoché nulli, condito con una retorica ormai fuori controllo. Un vertice che non ha negato un posto a nessuno, ma dove l’incertezza più grande era quella sulla lotta tra le macerie aquilane tra la first lady americana e la premiére dame francese, pare con la vittoria di quest’ultima… Ecco a cosa è servito il G8…
I giottini, e Berlusconi in primo luogo, hanno naturalmente parlato di grandi risultati: finalmente si è dettato un dodecalogo in materia economica! Finalmente si sono indicati degli obiettivi precisi per ridurre gli inquinanti che modificano il clima!! Finalmente daremo 20 miliardi all’Africa per la crisi alimentare!!! Finalmente, finalmente, finalmente!!!!
Finalmente, e questa sembra davvero l’unica certezza, il G8 va in pensione.
Che i responsabili della crisi economica, i governanti di un sistema che ha prodotto il massimo storico della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza, si propongano oggi come i fautori di una “regolazione etica” dell’economia è solo un insulto all’intelligenza di chi ha avuto la pazienza di leggere i resoconti aquilani.
Che sulla crisi sappiano solo dire che “il peggio è passato” e che occorre “fiducia” è più che sufficiente per far capire che la realtà è esattamente opposta.
Che sul clima si continuino a dare numeri sempre più improbabili per date sempre più lontane è il segno di una confusione che regna sovrana.
In quanto ai 20 miliardi per l’Africa, ovviamente diluiti in più anni, sono gli stessi miliardi annunciati fin dal 2000 e mai giunti a destinazione…
Se questi sono i successi, figuriamoci gli insuccessi.
In questo clima un po’ surreale da fine stagione, c’è da registrare il fallimento della manifestazione anti-G8. Un fallimento che non ci stupisce, ma che dovrebbe far riflettere chi continua a ritenere che sia utile contrapporre alla liturgia dei vertici quella dei controvertici.
Se il movimentismo non ci convince, ancora meno ci convince il manifestazionismo, tanto più se impoverito nei contenuti. La conseguenza è stata in questo caso disastrosa: mai come in questa occasione la manifestazione è apparsa come un dettaglio del paesaggio mediatico predisposto da lorsignori.
Non possiamo che dispiacercene, ma non era certo difficile prevedere che questo sarebbe stato l’esito.
Questo significa che a L’Aquila non si sarebbe comunque dovuto manifestare?
No. Significa che ogni manifestazione va calata nella situazione concreta in cui si svolge. Nel 2001, a Genova, anche i sordi compresero che c’era un’opposizione combattiva alla globalizzazione capitalistica. A L’Aquila questa opposizione è apparsa sbiadita, confusa, debole. Non ne facciamo una colpa agli organizzatori, ma l’analisi concreta della situazione concreta non andrebbe mai dimenticata.
A L’Aquila c’era una possibilità di uscire dalla ritualità e di riconquistare incisività, ed era quella di denunciare le minacce (che anche al G8 hanno trovato una sponda) nei confronti dell’Iran.
“Giù le mani dall’Iran!”, avrebbe dovuto essere lo slogan. E sarebbe stato uno slogan chiaro, di opposizione alla guerra e all’imperialismo.
Ma evidentemente non è tempo di chiarezza e si è preferito suonare la solita musica, evitando temi “scomodi” e rischiosi. Con il piccolo dettaglio che non ha funzionato, per il semplice motivo che non poteva funzionare.