Dal nuovo 41 bis all’attacco alla libertà di associazione – Le norme del “Pacchetto sicurezza” di cui non si parla.

E’ senz’altro comprensibile, perché si tratta di questione importantissima, che i commenti e le proteste relative all’approvazione del disegno di legge sulla sicurezza (o ennesimo “pacchetto sicurezza”) si siano incentrate sul tema dell’immigrazione (reato di immigrazione clandestina, prolungatissima permanenza nei campi di detenzione amministrativa, ecc), o anche sul tema delle c.d. “ronde”.

 

Ma vi sono, inserite in questa legge, altre disposizioni che pur meritano una elevata attenzione, e sulle quali, invece, vi è assoluto silenzio, probabilmente non a caso.
Ed è di alcune di queste norme che voglio, ora, rapidamente occuparmi, pur nella consapevolezza che sarà indispensabile un pieno e completo approfondimento del contenuto, e del significato, di questa legge.

 

1) L’art. 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario è stato ulteriormente modificato con un pesantissimo aumento delle restrizioni. La stessa agenzia ANSA, alla data del 18 maggio scorso, scriveva che il ministro Alfano aveva dichiarato: “Le nuove norme del 41 bis… sono fortissime, ed è stato fatto il massimo che è proprio al limite della Costituzione” (e se lo dichiara lui…).
Orbene, è ora previsto che “i detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari… custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria”.
I colloqui sono ridotti da due a uno al mese. Il (possibile, solo possibile) colloquio telefonico mensile è ora alternativo al colloquio “di persona”. L’ascolto e la registrazione audio, da soltanto possibili diventano ora obbligatori nella forma della “videoregistrazione”. E’ posto un limite ai colloqui con il difensore (non più di tre alla settimana e di durata, ciascuno, non superiore a quella  del colloquio con i famigliari).  All’aria sarà possibile essere in un massimo di quattro persone, e per un massimo di due ore al giorno, con “assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità”  e perfino di “scambiare oggetti e cuocere cibi”.
Chiunque, poi, consentirà a un detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41 bis di “comunicare con altri” (quindi anche soltanto scrivere una lettera a un giornale) sarà punito con la reclusione da uno a quattro anni e, se avvocato, da due a cinque anni.
E’ poi clamorosa la istituzione di un tribunale speciale per i reclami contro l’applicazione del 41 bis: a decidere non sarà più il tribunale di sorveglianza competente sul carcere ove il detenuto si trova, ma solo il tribunale di sorveglianza di Roma.
L’estensione temporale del regime del 41 bis è stata, inoltre, estremamente allargata: se prima era pari ad un periodo iniziale da 1 a 2 anni, prorogabile più volte per un anno, ora il provvedimento applicativo ha durata iniziale pari a quattro anni, prorogabile poi di due anni in due anni.

 

A questo punto è necessario anche un richiamo al contestuale rimodellamento del circuito Carcerario di Alta Sicurezza (AS), effettuato con circolare del 21 aprile 2009 del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (DAP), che ha accorpato nell’AS il circuito EIV (elevato indice di vigilanza, in precedenza applicato ai politici) perché “costantemente percepito come maggiormente afflittivo” tanto che “gli organismi giudiziari europei… hanno già avuto modo di accoglierne le doglianze (dei detenuti inseriti in quel circuito, n.d.r.) dichiarando la violazione dell’art. 6 par. 1 della Convenzione” (così si esprime la circolare!). Per cui, oplà, si cambia nome, e l’Alta Sicurezza viene articolata in AS1 – AS2 (ex EIV) e AS3, con aumento della differenziazione dei prigionieri a seconda dell’identità (“tenendo distinte le diverse appartenenze a organizzazioni terroristiche”).

 

2) Il grosso lavoro (normativo, organizzativo e “strutturale”), in corso sul carcere, ne aumenta la “centralità”.
Ed è allora opportuno ricordare come in vari recenti provvedimenti legislativi, qua e là siano state inserite norme che – appunto – lo riguardano: ad esempio nel cosiddetto decreto “antistupri”, convertito nella Legge 23 aprile 2009 n. 38, è stata estesa l’obbligatorietà del carcere, quale unica misura cautelare possibile, anche agli imputati di reati politici (ovvero di c.d. terrorismo), che peraltro nulla avevano a che fare con l’oggetto della legge (“contrasto alla violenza sessuale”).
Insomma, nonostante la regola generale sia che “la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando ogni altra misura risulti inadeguata” (art. 275, n. 3, cpp), in un primo tempo per gli accusati di associazione mafiosa, e ora, oltre che per gli accusati di violenza sessuale e connessi, anche per gli accusati di reati politici, se vi sono esigenze cautelari, l’unica risposta è il carcere (nessuna possibilità di obbligo di presentazione alla polizia, di obbligo di dimora, o di arresti domiciliari).

 

3) Tornando al c.d. “pacchetto sicurezza”, con la sua approvazione viene pesantemente limitata la libertà di associazione:  è infatti previsto che “quando si procede per un delitto consumato o tentato con finalità di terrorismo anche internazionale e sussistono concreti e specifici elementi che consentono di ritenere che l’attività di organizzazioni, di associazioni, movimenti o gruppi favorisca la commissione dei medesimi reati, può essere disposta… la sospensione di ogni attività associativa”. E quando vi sia sentenza irrevocabile che accerti che l’attività di organizzazioni, ecc. “abbia favorito…”, il Ministero dell’Interno ordina con decreto lo scioglimento e dispone la confisca dei beni.
Ora tutti sappiamo che quando vi è il sospetto che venga favorita la commissione di un delitto con finalità di terrorismo, l’Autorità Giudiziaria incrimina per concorso nel reato stesso. Quanto labili potranno, perciò, essere i “concreti e specifici elementi” è facilissimo immaginare. Del resto questi “specifici elementi” debbono solo “che l’attività di gruppi o associazioni favorisca…”. Insomma siamo pressoché nel “consentire di ritenere” campo di una piena discrezionalità. Ma quello che è più importante sottolineare è che una simile norma può costituire il mezzo per colpire associazioni assolutamente legali, pur nella loro assoluta contrarietà agli attuali ordinamenti economico-sociali, interni e internazionali. Basti pensare alle associazioni di solidarietà internazionale che sostengono i gruppi che sono inseriti, come pretesamente terroristi, nelle “Liste Nere”, o, anche, a quei gruppi che sostengono i prigionieri politici. Del resto, cardine anche di questa norma, è la nozione assolutamente generica di terrorismo, inserita nel nostro ordinamento con il ben noto decreto Pisanu del luglio 2005 (art. 270 sexies c.p.: “Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia”.
E proprio tale nozione, in astratta prospettiva, consente di allargare a dismisura il panorama delle associazioni o gruppi che potranno essere oggetto dei procedimenti di scioglimento.

 

4) Se quanto fin qui esposto mi sembra da porre al centro dell’attenzione, si può anche “spigolare”qua e là nella legge, e vedere come vi siano spunti repressivi un po’ per tutti.
Per i movimenti nelle piazze sono aumentate, in modo assai consistente, le pene (in presenza di determinate circostanze, quali il travisamento, le più persone riunite, il luogo dove avviene il fatto) per il porto delle armi da guerra, cui – come noto – sono equiparate le bottiglie molotov, e per il porto delle armi improprie (i semplici oggetti “atti ad offendere”).
E’ poi reintrodotto il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, abrogato nel 1999, con previsioni di una pena (fino a tre anni invece che fino a due) addirittura superiore a quella precedente ed abrogata.
Ma il legislatore “legge e ordine” ha un occhio di riguardo per tutti – e qui il tono non può che diventare grottesco, anche per stemperare la cupaggine del discorso, giungendo ad aumentare le pene anche per l’”imbrattamento”, prevedendo sanzioni per chi vende bombolette spray con vernici non biodegradabili ai minorenni e per chi “insozza le pubbliche strade gettando rifiuti od oggetti dai veicoli in movimento o in sosta” (da 500 a 1.000 Euro).

 

5) Ora, e tornando al cuore della questione, un’ultima, rapida, considerazione, che si ricollega alla iniziale notazione sul silenzio che ha circondato l’approvazione di queste norme (e non mi riferisco più all’”imbrattamento”).
Questo silenzio io lo spiego con l’accordo di tutte le forze politiche, accordo che si era già verificato, ad esempio, nella rapidissima approvazione del decreto Pisanu, e che trae origine dalla connaturata propensione alla repressione di quello che viene definito centro sinistra (già propugnatore, a suo tempo, dell’inserimento permanente del 41 bis nell’Ordinamento Penitenziario, già contrario a che l’Italia ottemperi alle ripetute richieste del Consiglio d’Europa – Convenzione di Strasburgo di introdurre una norma che preveda la revisione dei processi giudicati “non giusti” dalla Corte di Strasburgo).

 

Spero che a questo primo, rapido, intervento, ne seguano altri, più completi e approfonditi.