Il nucleare italiano prova a ripartire

“Rinascita nucleare”, è questo lo slogan che i nuclearisti italiani hanno preso a prestito dall’Economist. Il tentativo è quello di dare l’idea di un trend mondiale e di una scelta positiva, presentata come un tassello decisivo della tanto decantata Green economy.
Il trucco, infatti, è quello di ridurre gli enormi problemi ambientali della nostra epoca alla sola percentuale di anidride carbonica presente nell’atmosfera terrestre. Dopo di che, oplà, cosa c’è di meglio del nucleare per sostituire i combustibili fossili nella produzione dell’energia elettrica?
E’ su queste basi che l’imbroglio nucleare prova a ripartire anche in Italia, dove lo scorso 9 luglio il Senato ha approvato la legge che avvia le procedure per la costruzione di 4 centrali atomiche.

Sei mesi per partorire i siti

Ci siamo già occupati della questione (vedi Colonia francese?) al momento dello scandaloso accordo tra Berlusconi e Sarkozy del febbraio scorso, che ha coinvolto anche le principali aziende elettriche dei due paesi (Edf ed Enel). Per i dati fondamentali, utili ad inquadrare il tentativo di rilancio del nucleare italiano, rimandiamo dunque a quell’articolo.
Ora il governo ha sei mesi per arrivare alla localizzazione dei siti, un’operazione che non si presenta affatto semplice. Una cosa è l’ideologia sviluppista (nella quale il nucleare è un dogma indiscusso), altra cosa è la concretizzazione di questo mito, anche perché il consenso sociale ai nuovi reattori sembra tutt’altro che certo.
Molte Regioni si sono già espresse negativamente sulla possibilità di accogliere sul proprio territorio un impianto nucleare. Ed il primo a dire no è stato il governatore della Sardegna, Cappellacci. Un no che vale doppio, sia perché Cappellacci fa parte del Pdl, sia perché la Sardegna dovrebbe essere senz’altro una delle regioni prescelte. Più possibilista il siciliano Lombardo, forse proprio perché è ben consapevole di quanto sia improbabile che la scelta cada sulla propria regione. Resta invece il sì del governatore del Veneto, Galan, ma si profila l’opposizione di altri enti locali, tra i quali la Provincia di Venezia, benché presieduta dopo le elezioni di giugno da una presidentessa leghista. E rimane il piccolo dettaglio che si fa presto a dire Veneto, ma nessuno si azzarda a dire quale località del Veneto dovrebbe ospitare uno dei siti nucleari…

Insomma, non si può dire che all’entusiasmo del governo e dei suoi parlamentari corrisponda la convinzione dei colleghi di partito chiamati a gestire la patata bollente in sede locale.
E’ naturale che sia così, anche perché non è affatto vero, come ci viene continuamente ripetuto, che “gli italiani hanno cambiato opinione sul nucleare”. O meglio, un cambiamento ideologico c’è indubbiamente stato, ma quando dalle parole si prova a passare ai fatti ne vengono fuori delle belle.
Secondo un sondaggio della Fondazione Nord Est, giusto per rimanere al Veneto, il 52,2% degli intervistati si oppone ad una centrale nucleare nella propria regione in ogni caso, l’8,3% non l’accetterebbe perché non si fida delle informazioni date, il 32,4% l’accetterebbe solo a patto di avere certezze sulla salute e solo il 7,1% l’accetterebbe in ogni caso. Come consenso degli “italiani che hanno cambiato opinione” non c’è male…

Il crollo dei consumi

Ma le ragioni per battersi contro il nucleare vanno ben al di là della cosiddetta “sindrome Nimby”, e la crisi ne ha aggiunta una di primaria importanza: il crollo dei consumi di energia elettrica in Italia e nel mondo.
Nei primi sei mesi del 2009 i consumi di energia elettrica sono calati in Italia dell’8,2%, in un quadro mondiale nel quale si prevede una diminuzione a fine anno del 3,5%.
Naturalmente, i sostenitori del nucleare argomenteranno che siamo di fronte ad una contrazione congiunturale e che si tratta di prepararsi alla mitica “ripresa”. Lasciando qui da parte ogni considerazione sulla crisi economica, resta il fatto che la riduzione dei consumi di elettricità è stata maggiore del calo del Pil. Questo è avvenuto per due motivi. Il primo è che la crisi colpisce maggiormente il settore industriale, che è anche il principale consumatore di energia; il secondo è che la componente energetica per unità di Pil è in costante diminuzione da diverso tempo, e questo è dovuto alle misure di risparmio realizzate negli ultimi anni.
Sulla base di queste banali considerazioni, siamo proprio sicuri che la corsa dei consumi sia destinata a riprendere nel prossimo futuro?

Giova ricordare che il PEN (Piano Energetico Nazionale) del 1975 ipotizzava la costruzione di 20 centrali nucleari proprio a partire da una valutazione sulla crescita dei consumi, dei quali si stimava il raddoppio ogni 10 anni, che si è rivelata assolutamente infondata. A quasi 35 anni da quella bufala il governo è oggi più prudente sulle previsioni, ma la premessa è sempre quella: una domanda crescente da soddisfare. Allora il bau-bau era rappresentato dai black out – qualcuno li ha visti? – oggi l’obiettivo sarebbe invece quello di uscire dalla dipendenza dai combustibili fossili.
E qui, evidentemente, gli aspetti geopolitici intrecciati con quelli affaristici prevalgono nettamente su quelli ambientali. “Nucleare al posto del petrolio”, è quello che si vorrebbe far credere. Peccato che in Italia la quota di energia elettrica prodotta con il petrolio sia ormai tendente allo zero. “Nucleare al posto del gas” dovrebbero piuttosto dire, per la gioia del partito anti-russo. Quel che non possono proprio dire è “Nucleare al posto del carbone”, visto che è proprio questo il combustibile fossile di cui si vuole in tutti i modi (vedi riconversioni in corso in diverse centrali) incrementare l’utilizzo.
Quando Scajola dice che l’Italia dovrà far scendere la quota dei combustibili fossili dall’attuale 83% al 50%, non dice che il taglio riguarda soltanto il gas, non certo il ben più inquinante carbone, la cui quota si vuole far crescere ancora. E qui la cattiva coscienza di questi imbroglioni che vorrebbero parlarci di ambiente, inquinamento, clima e quant’altro è messa in luce al pari del loro affarismo interessato.

La grande crescita delle rinnovabili

Trenta anni fa il refrain dei nuclearisti (compresi quelli di sinistra) era più o meno il seguente: “il petrolio si esaurirà nel 2000, le energie alternative non sono in grado di sostituirlo, solo il nucleare potrà salvarci”.
Abbiamo già visto che il petrolio, che peraltro non si è affatto esaurito ma che indubbiamente rimane una risorsa limitata, ormai si usa sempre meno per produrre elettricità. Abbiamo già visto che i temuti black out non ci sono proprio stati, e se ce n’è stato qualcuno dobbiamo ringraziare soltanto la liberalizzazione di Bersani non certo l’assenza di energia atomica.
Resta la questione delle energie alternative (o rinnovabili): possiamo liquidarla oggi così come venne fatto negli anni ’70 del secolo scorso? Sarebbe pura follia, questi decenni non sono passati invano ed il ruolo delle fonti rinnovabili sarà nei prossimi anni centrale.
Lasciando perdere la retorica della Green economy obamiana, concetto dietro al quale si celano scelte assolutamente negative per l’ambiente e funzionali unicamente alla disperata ricerca di una via d’uscita dalla crisi (ma su questo torneremo prossimamente), è sufficiente limitarsi ad alcuni dati per capire come la situazione stia cambiando.

Prendiamo ad esempio l’eolico. In Italia, la produzione di energia elettrica da questa fonte è passata da 1,1 miliardi di Kwh del 2001 ai 4,8 miliardi del 2008. E nei primi sei mesi del 2009 si è registrata un crescita sullo stesso periodo dell’anno precedente del 42,4%. E’ evidente che il ruolo dell’eolico, come del resto ci dicono i dati di molti altri paesi, non può più essere considerato marginale.
Vediamo il solare. La sua capacità produttiva è ancora bassa, ma in un anno siamo passati dai 39 milioni di Kwh prodotti nel 2007 ai 193 del 2008. Il trend è chiaro. Nel 2008 siamo arrivati a 500 Mw di potenza installata, ed in questo caso possiamo dire che siamo veramente all’inizio di uno sviluppo di cui è difficile vedere i limiti, considerata la possibilità di diffusione dei piccoli impianti fotovoltaici. Inoltre, c’è da registrare un avanzamento nella ricerca di nuovi materiali che promette una crescita del rendimento di circa il 25% nei prossimi anni. Passa da qui la via per rendere il solare competitivo rispetto ai prezzi di mercato, un obiettivo un tempo inimmaginabile e che oggi sembra invece assai vicino.

Qualcuno potrebbe pensare che si sia di fronte ad una crescita così forte delle energie rinnovabili solo perché la base di partenza era estremamente bassa.
Non è così. C’è un dato (vedi Corriere Economia del 20 luglio) che non ha bisogno di commenti: nel 2008 gli investimenti mondiali nel campo delle rinnovabili (140 miliardi di dollari) hanno superato per la prima volta quelli per le fonti tradizionali (110 miliardi di dollari). Altro dato: gli investimenti sulle fonti rinnovabili sono quadruplicati in 4 anni. Ed ancora, sui 140 miliardi investiti, 51 sono andati all’eolico, 33 e mezzo al solare. La tendenza appare piuttosto chiara.
  

Chi paga l’atomo?

C’è infine la questione dei costi. Chi pagherà la scelta nucleare?
Il governo è partito ipotizzando un costo di 4 miliardi di euro a reattore. Ma, come insegna l’esperienza finlandese (centrale in costruzione di Olkiluoto), i costi alla fine potrebbero anche raddoppiare. I primi reattori previsti sono 4, ma quale sarà la spesa totale? Mantenendoci su una stima prudenziale di 6 miliardi ad impianto arriviamo comunque alla cifretta di 24 miliardi di euro, poco meno dell’intera capitalizzazione borsistica dell’Enel, tanto per dare un’idea.
La quale Enel ha in compenso qualcosa come 60 miliardi di euro di debiti: qualcuno pensa davvero che vorrà sobbarcarsi oneri finanziari e rischi connessi alla scelta nucleare? Pura fantasia. Naturalmente ci sono altre aziende, ma dal punto di vista finanziario non sono messe particolarmente meglio. Chi pagherà dunque? La gradita risposta alle future bollette degli italiani, molti dei quali credono davvero di poter risparmiare con il ritorno al nucleare…

La vittoria è possibile

Nonostante il voto del Senato, peraltro del tutto scontato, i giochi non sono per niente fatti.
Oggi pochi sembrano ricordarsi delle decine di migliaia di morti frutto dell’incidente di Chernobyl (1986), meno ancora si ricordano di quello di Three Mile Island (Usa, 1979) con il picco di tumori registrato negli anni successivi nella zona più vicina alla centrale. Pochissimi tengono a mente i frequenti incidenti che avvengono nelle centrali francesi ed in quelle inglesi. C’è molta censura, e solo di tanto in tanto escono studi assai attendibili sull’incremento di tumori e leucemie nelle zone interessate.
Ma quando il momento delle decisioni concrete – le localizzazioni in primo luogo –  si avvicinerà, possiamo essere sicuri di un certo ritorno di quella memoria che la propaganda dominante vorrebbe cancellare per sempre.

Quando verrà il momento di combattere quella battaglia sarà necessario utilizzare tutte le armi, ma riducendo al minimo le ragioni localistiche. Di argomenti ne abbiamo già anche troppi senza doverci ridurre a tematiche locali, magari giuste ma appunto riduttive, un po’ com’é riduttivo (ci concediamo un gentile eufemismo) battersi contro la base americana di Vicenza per mere ragioni urbanistiche.
Di argomenti per dire di no al nucleare ce ne sono a bizzeffe. Senza mai dimenticarci che i veri obiettivi dei fautori di quella scelta sono gli stessi che vengono ricercati con le “grandi opere”: un po’ di droga al Pil in affanno, un fiume di soldi nelle mani di ristrettissimi centri di potere. Nel nostro caso specifico, lo scopo è anche quello di rafforzare l’asse politico italo-francese, o se volete Berlusconi-Sarkozy, con la volontà di dare un po’ d’ossigeno alla boccheggiante Areva, il colosso francese che produrrà i reattori.

Rifiutare il nucleare è innanzitutto una scelta di civiltà. Si tratta di difendere la salute e le condizioni di vita delle future generazioni, ma si tratta anche di respingere un modello che implica una politica del territorio autoritaria ed antidemocratica.
Sarà una sfida vera. Il ministro Scajola ha ribadito di voler posare la “prima pietra” entro questa legislatura, noi ribadiamo la convinzione che la “prima pietra” più che posarla potrebbe riceverla in fronte.