Malalai Joya è stata la prima donna politica afghana eletta al nuovo Parlamento di Kabul nel 2005. Il 25 luglio scorso, il quotidiano londinese The Guardian ha pubblicato un suo articolo («The big lie of Afghanistan») che il ministro della Difesa italiano farebbe bene a leggere attentamente e che qui riportiamo.
«Donne come me, che concorrevano per una carica pubblica, sono state portate ad esempio di come la guerra in Afghanistan abbia liberato le donne. Ma questa democrazia era una finzione, e la cosiddetta liberazione una grande menzogna. A nome del popolo del mio paese, che soffre da tanto tempo, io porgo le mie più sentite condoglianze a tutti coloro i quali nel Regno Unito hanno perso i loro cari in terrra afghana.
Noi condividiamo il cordoglio delle madri, dei padri, delle vedove, dei figli e delle figlie dei caduti. Io penso che questi caduti britannici, come le tante migliaia di civili afghani morti, siano vittima di politiche ingiuste che i Paesi della Nato hanno condotto sotto la guida del governo USA. Quasi 8 anni dopo la caduta del regime talebano, le nostre speranze di una democrazia autentica e di un Afghanistan indipendente sono state tradite dalla perdurante dominazione dei fondamentalisti e dalla brutale occupazione che in ultima analisi serve soltanto gli interessi strategici degli USA nella regione. Voi dovete capire che il governo guidato da Hamid Karzai pullula di signori della guerra e di estremisti che sono fratelli di fede dei talebani. Molti di questi uomini hanno commesso dei crimini terribili contro il popolo afghano durante la guerra civile degli anni ’90. Per aver espresso le mie opinioni, io sono stata espulsa dal mio seggio parlamentare e sono sopravvissuta a numerosi tentativi di assassinarmi. Il fatto che io sia stata cacciata dalla mia carica, mentre i brutali signori della guerra godevano dell’immunità per i loro crimini, basta a dirvi tutto ciò che dovete sapere della “democrazia” sostenuta dalle truppe della Nato. La nostra Costituzione proibisce ai colpevoli di crimini di guerra di concorrere per le cariche più alte. Eppure Karzai ha nominato due noti signori della guerra – Fahim e Khalili – suoi collaboratori nella corsa alle imminenti elezioni. All’ombra del sistema fondato sui signori della guerra, sulla corruzione e sull’occupazione militare, questo voto non avrà alcuna legittimità, e ancora una volta sembra che la scelta vera sarà effettuata a porte chiuse all’interno della Casa Bianca. Come si dice in Afghanistan, è lo stesso asino con una sella diversa. Finora, infatti, Obama ha proseguito la stessa politica di Bush. Inviare più truppe ed estendere la guerra in Pakistan aggiungerà soltanto benzina sul fuoco. Come molti altri afghani, negli anni bui del governo talebano io ho rischiato la vita per insegnare alle ragazze nelle scuole clandestine. Oggi la situazione delle donne non potrebbe essere peggiore. Le vittime di abusi e di stupri non trovano giustizia perché il sistema giudiziario [la cui ricostruzione era stata affidata proprio a noi italiani, n.d.r.] è dominato dai fondamentalisti. Un numero crescente di donne, non vedendo via d’uscita alla sofferenza nelle loro vite, ha scelto il suicidio per auto-immolazione. Questa settimana, il vicepresidente USA Joe Biden ha affermato che in Afghanistan “è inevitabile la perdita di altre vite” e che l’attuale occupazione è “nell’interesse nazionale” sia degli USA che del Regno Unito. Io ho un messaggio diverso per il popolo britannico. Non credo sia nel vostro interesse veder partire in guerra altri giovani e impiegare altro denaro delle vostre tasse per sostenere un’occupazione che mantiene al potere a Kabul una banda di signori della guerra corrotti e di trafficanti di droga. Ma soprattutto non credo sia inevitabile che questo bagno di sangue prosegua per sempre. Alcuni sostengono che se le truppe straniere lasciassero l’Afghanistan, il Paese sprofonderebbe nella guerra civile: ma che dire della guerra civile e della catastrofe attuali? Più si protrae questa occupazione, peggiore sarà la guerra civile. Il popolo afghano vuole la pace, e la storia insegna che noi respingiamo sempre l’occupazione e la dominazione straniere. Noi vogliamo una mano che ci aiuti mediante la solidarietà internazionale, ma sappiamo che valori come i diritti umani devono essere oggetto di lotta e di conquista da parte degli afghani stessi. So che ci sono milioni di britannici che vogliono vedere la fine di questo conflitto il più presto possibile. Insieme possiamo far sentire le nostre voci per la pace e la giustizia».
Basterebbe sostituire “italiani” a “britannici”, e il messaggio di questa coraggiosa donna afghana calzerebbe a pennello anche per noi. Ma è bastato che Bossi, in uno sprazzo di lucido realismo, dichiarasse che lui le nostre truppe le farebbe rientrare oggi stesso, che quel monumento di retorica patriottarda che risponde al nome di Ignazio La Russa liquidasse la cosa come “il pensiero di un padre di famiglia”, inconciliabile con quello di un ministro della guerra. Già, perché di guerra si tratta, nonostante l’oscena menzogna che da 8 anni tutti i governi – di centrosinistra e di centrodestra – hanno ammannito agl’italiani. E allora ci si risparmino perlomeno le lacrime di coccodrillo ad ogni notizia di morti o feriti. Perché in guerra si uccide e si viene uccisi, e se si decide di andarci, si abbia il pudore di non chiamarla “missione di pace”. Quanto a La Russa e alle preoccupazioni paterne, è ovvio che fra “i nostri ragazzi” al fronte non ci sia suo figlio Geronimo. Un nome evidentemente datogli quando il padre si dichiarava ancora orgogliosamente fascista e gli americani li amava poco, visto che il guerriero Apache combatté fino alla morte contro l’esercito occupante dei berretti blu. Ma tu guarda com’è strana la vita…