Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo di Cesare Allara.

Il Festival dell’Unità
     
Più rapidamente della febbre suina, dopo le elezioni del 6-7 giugno scorso è dilagata in Italia un’altra pandemia che ha colpito praticamente quasi tutti i soggetti che si riconoscono ancora nella famiglia della “sinistra”: la febbre unitaria. Leggendo le dichiarazioni post-elettorali sembra di essere in un grande supermercato del pret-à porter dove ognuno può trovare la taglia adatta alle sue pulsioni unitarie. 

     
Ha iniziato Paolo Ferrero che, non appena si profila dalle urne il non raggiungimento del quorum, dichiara: “Come è noto avevamo chiesto di fare una lista unitaria. Speriamo che per il futuro Sinistra e Libertà cambi orientamento” (Corriere della Sera, 8 giugno). Insomma, la colpa del mancato raggiungimento del quorum è di Vendola che ha provocato la scissione e ha scelto “di fare un cartello con le sinistre non alternative, come il partito socialista” (Relazione alla Direzione Nazionale, 9 giugno).
Nella stessa pagina del Corriere della Sera, il professor Alberto Asor Rosa, già sponsor dell’Arcobaleno, parla di suicidio annunciato, e accusa sia Ferrero che Vendola di aver rotto l’unità: “Insieme sarebbero riusciti a ottenere un quorum sicuro, garantendo a ogni componente la sopravvivenza”. Poi se la prende con “la Lista Comunista” che guarda “decisamente al passato, ipotizzando parole d’ordine e prospettive di lotta che non hanno più alcuna rispondenza con la realtà”, per finire con un appello ad una più larga unità, ad un nuovo centrosinistra: “Occorre che la sinistra e soprattutto il PD … rinuncino a ragionare in termini di pura autosufficienza e autosopravvivenza. Atteggiamento che ci ha portato in questo vicolo cieco”. 
     
Su Liberazione del 9 giugno, il direttore Dino Greco se la prende con “un giornale di nuovo conio” (L’altro di Sansonetti che però non viene mai nominato) dove, in un articolo apparso nei giorni immediatamente precedenti le elezioni, si affermava che “bisognerà dedicarsi – a consultazione conclusa – alla ricostruzione della sinistra, mai più divisi si leggeva. Ma poi, proseguendo nella lettura, si scopriva che alla nuova sinistra unitaria immaginata ed evocata era già imposto un preciso confine, un perimetro politicamente ben delimitato: una parte rilevante del PD, Sinistra e Libertà e i Radicali: punto e basta. Gli altri, semplicemente, non entravano nel conto, non esistevano”. Chi l’avrebbe mai pensato che Vendola, Sansonetti & C. fossero così perfidi?
A volte ritornano. Bertinotti, rappresentante della sinistra che piace tanto ai padroni, si fa intervistare su La Stampa dell’11 giugno dal fido Barenghi. Non soddisfatto appieno dalla disfatta dell’Arcobaleno-1, ripropone “un partito creato da tutti quelli che oggi sono all’opposizione e che si sentono più o meno di sinistra, da Rifondazione all’Italia dei Valori, dal PD al movimento di Vendola, dai socialisti ai Verdi, dai Comunisti italiani ai radicali”. Insomma, come si dice in politichese, cani e porci.
     
Il 22 luglio, Bertinotti rilascia a Liberazione un’altra intervista che occupa ben due pagine del giornale e che fa capire l’aria che tira all’interno del quotidiano fu comunista(?): basta ricordare che mai Paolo Ferrero, attuale segretario del partito, ha usufruito di eguale trattamento. In sostanza, Bertinotti conferma le dichiarazioni fatte a Barenghi sull’auspicata nuova aggregazione a sinistra, e ribadisce  la bontà della linea politica che ha portato alla disfatta della sinistra: la non violenza, lo smantellamento dell’identità comunista, la scelta dell’Arcobaleno. Delle scelte governiste non v’è traccia in tutta l’intervista. Gli errori? Solo due: non aver affrettato lo smantellamento del PRC subito dopo Genova 2001 e non aver “detto con durezza che malgrado la sconfitta dell’Arcobaleno bisognava andare avanti su quella strada”. Cioè l’Arcobaleno-2, per gli appassionati dell’hard bondage.
Queste le dichiarazioni dei principali maitre à penser della sinistra, ma come già detto il mercato offre una vasta gamma di proposte unitarie, non solo elettorali: l’unità dei comunisti, la costituente anticapitalista, l’aggregazione delle forze della sinistra alternativa, la ricostruzione di un nuovo centro sinistra con o senza trattino a piacere, un parlamento della sinistra, una sinistra unica compreso il PD per tornare a governare, ecc. all’interno delle quali ciascun dirigente apporta la sua sfumatura personale.
     
A onor del vero una sola voce s’è levata per tentare di porre un freno alla pandemia unitaria. In uno sprazzo di lucidità il direttore de il Manifesto Valentino Parlato ha affermato: “Pensare di uscire dalla crisi dicendo ‘adesso mettiamoci insieme’, è inutile! La prima cosa che proporrei, prima di presentare ricette, è di cercare il perché, le ragioni di una sconfitta che, se sono Vendola non posso appiccicare a Ferrero. E se sono Ferrero non posso scaricare su Vendola” (Liberazione, 13 giugno).
Valentino Parlato una volta tanto ha colto nel segno. Ma le ragioni della sconfitta occorrerebbe ricercarle e discuterle seriamente, e non darsi delle risposte di comodo com’è stato fatto dall’aprile 2008 ad oggi. I ragionamenti da fare sarebbero tanti: sul significato e sui contenuti della parola sinistra in un sistema ormai bipolare modello USA o sull’attualità del comunismo nella presente fase capitalistica, sulla creazione di un terzo polo completamente antagonista a centrodestra e centrosinistra, ecc. Il tutto ovviamente finalizzato a produrre delle proposte di lotta per tentare di riportare alla luce gli interessi e le esigenze di coloro che questa fase critica del capitalismo la stanno pagando duramente sulla loro pelle.
     
Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che non è più sufficiente fare finta di rappresentare nelle istituzioni  lotte che oltretutto sono di mera resistenza: benvenute ma perdenti, come la vicenda della spazzatura di Napoli insegna. Se, per fare un esempio, non si va ad una vertenza per la casa che coinvolga anche i sempre più numerosi proletari italiani che la crisi economica sta buttando in mezzo alla strada per morosità, si rischia di generare ulteriore razzismo e regalare altri operai e pensionati alla Lega Nord. Se quindi questa cosiddetta “sinistra” volesse ritagliarsi un ruolo, ritrovando una sua utilità per quei ceti popolari che gli hanno voltato le spalle,  dovrebbe pensare, promuovere e organizzare delle lotte che rompano con le compatibilità sindacali, che sono poi quelle del sistema capitalistico. Ne consegue che non è realistico pensare ad una ripresa della “sinistra” o del movimento comunista in Italia se si resta perfettamente allineati dietro il sindacato concertativo. E con gli esempi si potrebbe continuare.
Allora perché anziché discutere prioritariamente di queste questioni, tutti, salvo poche eccezioni,  sparano esclusivamente proposte organizzative unitarie? E’ molto semplice: un articolo di Francesca Schianchi su La Stampa del 20 luglio dal titolo “E ORA ANCHE RIFONDAZIONE LICENZIA Tagli per più di metà organico” ci informa che il PRC ha un buco di bilancio di 1,9 milioni di euro, avendo già speso nelle campagne elettorali del 2008-2009 le prossime tranches di rimborsi elettorali ancora spettanti per le elezioni politiche del 2006. Il tesoriere Boccadutri spiega che la riduzione del personale è l’unica possibilità per arrivare ad aprile 2010 e sperare nei rimborsi elettorali delle elezioni regionali.
     
Dopo essere scomparsi dal parlamento italiano e da quello europeo, dopo aver perso moltissimi rappresentanti nelle province, le regionali del 2010 diventano l’ultima spiaggia per i dirigenti della “sinistra radicale”. E’ già partita perciò la campagna elettorale per la prossima primavera impostata su due assiomi.
Il primo è che da parte del cosiddetto e mai ben definito “popolo della sinistra”  c’è una richiesta pressante di unificazione delle sinistre a cui occorre dare un’immediata risposta. Non basta perciò “l’unità dei comunisti”, che restringerebbe troppo il campo unitario non garantendo eventuali quorum; meglio una Federazione della Sinistra Alternativa, cioè un Arcobaleno bonsai che punta sempre allo smantellamento delle residualità comuniste, ma ne mantiene la simbologia che elettoralmente vale ancora qualche punto percentuale.
     
In realtà questa irrefrenabile richiesta unitaria giunge solo da dirigenti, impiegati, burocrati, fans, tifosi, ultras e clientele varie preoccupate di perdere posti di lavoro o commesse. In Piemonte ad esempio, dove sulla scorta dei risultati europei la coalizione di centrodestra toglierebbe il governo regionale alla sinistra SI-TAV Mercedes Bresso, “le pressioni per un processo di unificazione sono forti e devono essere ascoltate” assicura il segretario regionale del PRC Armando Petrini dalle pagine torinesi di Repubblica del 25 giugno. Più esplicito invece il valsusino SIpuòfarepureilTAV Antonio Ferrentino di Sinistra & Libertà: “Uniamoci, altrimenti saremo spazzati via”.    
In Piemonte, il centrosinistra, per avere qualche speranza di mantenere il governo regionale, deve giocoforza imbarcare l’UDC. Mentre il consigliere regionale libero-sinistro ex PDCI Luca Robotti non vede l’ora di allearsi con gli uomini di Casini sull’esempio di quanto avvenuto in Puglia ad opera di don Niki Vendola, all’interno della Federazione della Sinistra Alternativa di nuovo conio è iniziata la solita, vecchia, abusata manfrina per giustificare qualsiasi alleanza, in questo caso quella con l’UDC. Spiega Petrini dalle pagine torinesi di Repubblica del 16 luglio, confortato peraltro da identiche precedenti dichiarazioni di Ferrero & Grassi, che il problema non è “UDC sì, UDC no. Bisogna invece parlare di programmi e misurarci su questi. Si discuta di contenuti prima che di alleanze”. Questa prassi del “parliamo di programmi, poi vengono le alleanze con chi è d’accordo” è come il gioco delle tre carte: certo qualcuno poco avvertito ci può ancora cadere, ma la stragrande maggioranza degli elettori il trucco l’ha ormai capito e i risultati elettorali l’hanno dimostrato.
     
In secondo luogo, com’è noto, la Lega Nord dopo il successo delle elezioni europee ha rivendicato la presidenza di tre grandi regioni del nord: Piemonte, Lombardia, Veneto, e sembra che il candidato del centrodestra alla regione Piemonte sarà il leghista Roberto Cota. Ecco perciò che le “forze di sinistra” hanno già intonato il leitmotiv che guiderà la campagna elettorale regionale. L’ha introdotto, sulle pagine torinesi de La Stampa del 13 luglio, Giorgio Airaudo, segretario della locale FIOM e sponsor di Sinistra & Libertà, che invoca addirittura  “un CLN per battere il centro-destra e conservare il Piemonte – estremo ridotto del Nord – al centro-sinistra”.
Se le cose andranno nel senso voluto dal guru piemontese di Sinistra & Libertà, è facile prevedere  che chi non aderirà alla santa alleanza antifascista(?) e chi non voterà per essa sarà accusato di essere connivente col nemico, il novello Gengis Kota Khan che minaccia i verdi pascoli piemontesi del centrosinistra. Non avendo altri argomenti, le “forze di sinistra” si appelleranno ancora una volta al menopeggismo e faranno uso del solito vecchio armamentario terroristico del tipo “Chi non va a votare, vota Berlusconi” (Dario Franceschini, La Stampa, 6 giugno).
     
Spero che almeno una forza comunista e che tanti onesti compagni abbiano il coraggio di rifiutare i ricatti e rispondano: “Centrodestra, centrosinistra? No grazie, abbiamo già dato”.
  

     
Torino, 30 luglio 2009

Cesare Allara