Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo di Enrico Vigna, che parlandoci del tentativo (ancora in corso) di destabilizzazione dell’Iran, ricostruisce il ruolo di Otpor e dei suoi dirigenti negli ultimi dieci anni. Certamente l’attuale situazione iraniana è diversa da quella jugoslava del 2000, così come è diversa da quella dei paesi investiti negli anni successivi dalle cosiddette “rivoluzioni colorate” pilotate dagli Usa. Molte sono però le similitudini, a partire dal continuo ripresentarsi sulla scena delle stesse organizzazioni e degli stessi personaggi di cui Vigna ci parla in questo articolo.
Le “ombre” di Otpor e della CIA in Iran
di Enrico Vigna
Ieri in Jugoslavia (2000), oggi nella “rivoluzione verde” in Iran, passando attraverso le “colorate” rivoluzioni destabilizzatrici, tentate in Bielorussia, Ucraina, Georgia, Kirghizistan, Russia… puntualmente ricompaiono alcuni noti esponenti del movimento giovanile serbo, che fu finanziato e addestrato dalla CIA per rovesciare il governo di unità nazionale della RFJ.
Nel tentato colpo di stato di queste settimane in Iran, sponsorizzato e sostenuto dalla “intelligence” USA, conscia della non convenienza di un’aggressione armata aperta, per molteplici motivi, sia militari che geopolitici nell’area mediorientale, stanno pian piano venendo alla luce i “lati oscuri” della “spontanea” protesta popolare a Teheran. Per esempio che il “ Centro di documentazione dei diritti umani in Iran”, situato presso l’Università di Yale, è finanziato con milioni di dollari fin dal 2004, soldi stanziati dal governo USA e giustificati come: “…un piccolo programma di aiuto del governo americano destinato all’opposizione iraniana all’interno del paese…”.
Nell’aprile 2005 a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, Washington ha patrocinato e organizzato dei corsi segreti nei quali “attivisti” iraniani pagati, venivano istruiti sul come fare per rendere vacillante la posizione di Ahmadinejad. Ed ecco che si scopre che uno degli “istruttori” che Washington portò a Dubai per insegnare ai giovani iraniani come destabilizzare il loro paese ed offrirlo all’occidente per “democratizzarlo”, non era altri che il venditore delle rivoluzioni colorate nel mondo, pianificate dal Dipartimento di Stato degli USA, l’attivista serbo e fondatore di Otpor, Ivan Marovic.
In una intervista pubblica lo stesso Marovic ha dichiarato: «…Il programma dei lavori è consistito nello spiegare le tecniche di mobilitazione della popolazione nella situazione in cui la paura fosse alta e ci fossero tensioni nella società, il che significa che si è nel bel mezzo di una crisi politica… Si è discusso su come superare quel tipo di crisi senza distruzioni di proprietà e perdita di vite umane. Queste sono strategie non violente di mobilitazione civica. Questo è un lavoro standard basato sugli esempi di Otpor, ossia la nostra lotta contro Slobodan Milosevic…»
Nel 2006 l’amministrazione Bush aveva chiesto 75 milioni di dollari al Congresso degli Stati Uniti per sostenere l’opposizione al governo iraniano.
Lo schema “contestatario” preordinato e predefinito
Con lo stesso schema operativo, usato da Otpor e ritentato nelle cosiddette “rivoluzioni colorate” seguenti, i contestatori iraniani hanno usato le elezioni come scusa, seguendo un copione infallibile preordinato, che prevede l’inizio delle denunce di probabili brogli prima del voto e poi, anche immediatamente prima della chiusura dei seggi, iniziando a manifestare massicciamente e tumultuosamente, reclamando che le elezioni non sono valide e che il popolo è stato ingannato; “Dove è il mio voto?” lo slogan ad uso mass mediatico, usato a Teheran.
Tutto questo appoggiato e sostenuto dal pronto e roboante martellamento mediatico delle zelanti agenzie di stampa occidentali, con una copertura mediatica 24 ore su 24, che fanno vedere o ripetono le stesse scene in continuazione in ogni angolo del mondo. I contestatori iraniani sono istruiti affinché continuino ad insistere che il “loro” presidente non è quello che ha vinto le elezioni (Ahmadinejad), ma invece sarebbe l’uomo che Washington e l’occidente sostengono (Mousavi, che è salutato dai media filo-occidentali come un candidato per le riforme), chiedendo, come fece Otpor in Serbia nel 2000, il riconteggio dei voti o nuove elezioni. In entrambi i casi, deve essere un centro “indipendente” (finanziato da Washington o dall’occidente) ad avere il compito di dichiarare il vero vincitore.
I contestatori iraniani, come Otpor, Kmara, Pora e gli altri prima di loro, sebbene pubblicizzino le loro proteste come un “movimento non violento”, attaccano e provocano le forze di sicurezza con atti di violenza usando pietre e molotov, attaccando poliziotti isolati, insultando o provocando, cercando di provocare reazioni violente, con altri elementi pronti a riprendere con macchine fotografiche o videocamere, che in pochi minuti fanno il giro del mondo e dimostrano la repressione violenta dei “regimi antidemocratici”… E, se lo stato od il governo attaccato, non usano la forza contro la piazza manovrata, può essere rovesciato. Nel caso contrario il rischio è che qualcuno ci lasci la vita, solitamente qualche giovane inconsapevole di essere una pedina in un gioco geostrategico, molto distante dalla ricerca di maggiori diritti o progresso nella vita delle masse popolari.
Cos’è stato OTPOR in Jugoslavia e Serbia
Otpor, i “ragazzi maleducati” (come loro stessi si definivano), movimento studentesco giovanile formatosi nel 1998 a Belgrado, che ha avuto un ruolo determinante nella caduta del governo jugoslavo nel 2000, artefice delle manifestazioni di piazza contro il governo Milosevic, è stato l’asse portante dell’opposizione filo-occidentale della RFJ. Ha raggiunto il suo apice di popolarità nell’autunno del 2000 per poi dissolversi inesorabilmente e aderire al Partito Democratico di Djindic, dopo aver tentato, nell’autunno 2001, di trasformarsi in partito, che alle elezioni avrà un fallimento clamoroso ottenendo solo l’1,65%. A questa confluenza non aderirono alcuni capi storici come Lazendic, Maric e Marovic, che fondarono l’ONG “Centro per la resistenza non violenta”, con finanziamenti esteri cospicui, che in seguito operò alacremente in tutte le cosiddette “rivoluzioni colorate” nell’Europa dell’est. Ufficialmente ha cessato di esistere nel settembre 2004.
Affiancati dalla notissima, al tempo, Radio B92, una emittente giovanilista e sinistrorsa nei linguaggi, finanziata, guarda caso, dal saccheggiatore di popoli, il finanziere George Soros (mediante la sua Open Society), ed interna al circuito internazionale di Radio Liberty-Radio Free Europe, con sede legale per l’Europa ad Amsterdam. Una vera e propria cassa di risonanza per tutta l’opinione pubblica occidentale.
“E’ finito” (Gotov je) ed “E’ ora” (Vreme je), su queste due parole d’ordine fu fondata in modo assillante e quasi ossessionante, l’intera operazione mediatica di massa per la destabilizzazione del governo jugoslavo..
L’innovazione mediatica fu l’adozione di un moderno marketing grazie alle grandi disponibilità economiche (centinaia di milioni di dollari, come risulta dalle delibere di quegli anni, stanziati dal Congresso USA a favore di questo gruppo, utilizzato per il processo di disintegrazione della Repubblica Federale Jugoslava; fu persino aperto un conto bancario a New York per le “donazioni” al movimento…). Ma divennero poi di dominio pubblico anche il ruolo e le “donazioni” ricevute da numerosi altri “enti” statunitensi e non solo. Dalla Banca Mondiale alle Fondazioni Adenauer ed Ebert, dall’ International Renaissance Foundation all’ Istituto Democratico e Repubblicano degli USA, dal National Democratic Institute di M. Albright alla NED (National Endowment for Democracy, sotto il Dipartimento di Stato USA e ramo ufficioso della CIA) e così via. Dalla sola NED, come indicato sul loro sito ufficiale, Otpor ha ricevuto: 189.600 + 47.790 dollari per l’anno 2000.
Attraverso campagne di massa nelle città e soprattutto tra i giovani, venivano distribuiti adesivi, impermeabili e altre forme di merchandising con le scritte “Gotov je e Vreme je”, sostenute da gruppi studenteschi e finanziate da paesi occidentali, che si sono trasformate in una simbologia di massa. Si è sempre connotato come un movimento estremamente variegato (c’era dentro di tutto) ma la componente più politicizzata e dirigente, era una elite ristretta e chiusa di giovani rampanti figli della borghesia serba, che guardava allo stile di vita occidentale ed all’economia di mercato, per un inglobamento geopolitico e culturale all’occidente come modelli e obiettivi.
Questo era l’unico collante “ideologico” che dava al movimento una parvenza di programma. Il resto era attivismo di piazza, ribellismo e spontaneismo di strati giovanili, stanchi, sfiduciati e sfiancati da oltre dodici anni di sanzioni ed embarghi a cui era sottoposto il popolo serbo, all’interno del processo di distruzione della Jugoslavia, iniziato nel 1991. Ma la testa del movimento, al contrario, si era messa segretamente al servizio dei piani occidentali di destabilizzazione e distruzione della RFJ, usando ed utilizzando cinicamente per i propri fini personali, questa massa giovanile scontenta. La struttura del movimento era formata da quattro gruppi con compiti distinti. Un gruppo si occupava dei rapporti con la stampa, uno di marketing e propaganda, il terzo dei rapporti con l’estero e finanziamenti, l’ultimo del reclutamento di ragazzi nelle università e nelle scuole. I capi dei vari gruppi decidevano il da farsi e come farlo, formando il nucleo centrale ristrettissimo, che di fatto decideva e determinava tutto.
Un grande esempio di collettivismo e democraticità per dei paladini della libertà e dei diritti umani, e soprattutto come “formatori professionali di democrazia per i popoli”!
Come da essi stessi dichiarato in interviste pubbliche in questi anni, la repressione fu solo simbolica, ci furono circa duemila fermi in tutto, ma solo qualche decina di arresti, senza veri e propri maltrattamenti, nonostante l’operato del gruppo fosse distruttore all’interno del paese con conseguenze strategiche devastanti, favorendo e consegnando di fatto il paese ad un ceto di affaristi e saccheggiatori dell’economia nazionale, che hanno fatto delle speculazioni, della corruzione e della rapina delle risorse nazionali, la realtà quotidiana.
Hanno rivendicato come giusta e necessaria la consegna di Milosevic al Tribunale Internazionale dell’Aja.
Nel contesto internazionale si sono presentati ai movimenti “no global” come paladini della lotta contro regimi, globalizzazione e liberismi, riuscendo così ad infiltrarsi e a farne parte, senza grande fatica, anche in Italia.
Numerosi giornali internazionali hanno documentato che Otpor ha goduto dei finanziamenti della CIA, e che alcuni suoi leaders sono stati addestrati dagli americani in funzione di progetti di sedizione in campi di addestramento e seminari nei vari paesi. Il movimento è stato finanziato con diversi milioni di dollari; oltre a moderne e sofisticate attrezzature elettroniche, telefoni cellulari, computer, cancelleria, stampa di volantini e manifesti, in carta patinata.
Il loro tutore fu il colonnello americano della CIA in pensione Robert Helvey, che dall’inizio del 2000, presso l’hotel Hilton di Budapest in Ungheria, tenne loro dei corsi intensivi sui metodi di combattimento nonviolento nei disordini di piazza. Helvey stesso ha ammesso in una intervista postuma ai media serbi, di essere stato convocato da rappresentanti dell’Istituto Internazionale Repubblicano (IRI) a Washington, che gli spiegarono che lavoravano con un gruppo di giovani in Serbia, e che lui avrebbe avuto il compito di formarli nelle tecniche di resistenza nonviolenta. Era un lavoro molto importante, stante la situazione di forte instabilità nella Repubblica Jugoslava. Egli avrebbe dovuto addestrare i giovani di Otpor al grande scontro sociale e politico che si prefigurava nel paese. Come rivelò il Washington Post, la polizia di frontiera serba dell’epoca, notò che un notevole numero di giovani serbi si recava a visitare il monastero serbo di Sant Andrej, in Ungheria. In realtà la loro effettiva destinazione era l’Hotel Hilton sulle rive del Danubio a Budapest, dove promosso da US Aid (l’agenzia di aiuti allo sviluppo internazionale, di fatto una branca delle strategie di infiltrazione nei paesi in via di sviluppo), si svolgeva il seminario. Oltre a corsi di tecniche insurrezionali a Sofia in Bulgaria.
Lo stesso Stanko Lazendic, uno dei capi e fondatore di Otpor, in un intervista ammise che il colonnello Helvy partecipava a quei seminari, ma che:
«… Noi non pensavamo che lavorasse per la CIA. Quello che lui ci ha insegnato, noi ora lo insegniamo ad altri. Come creare un movimento d’opinione contro il regime attraverso il materiale di propaganda o le manifestazioni di piazza…tutto qui… Noi non siamo della CIA, né lavoriamo per la CIA. Se così fosse, guadagneremmo molto, molto di più dei pochi soldi che riceviamo. Una miseria per i rischi che corriamo…».
In una intervista al Manifesto nel dicembre 2004 dichiara:
«… La generosità democratica in Serbia, Ucraina, Georgia eccetera, esce dai conti correnti di Us Aid, l’organizzazione governativa statunitense, o dall’Iri, l’Istituto Internazionale Repubblicano (il partito di Bush), o dal suo gemello Democratico (Ndi), o dalla fondazione Soros, o dalla Freedom House, o dalle tedesche Friedrich Ebert e Konrad Adenauer, o dalla britannica Westminster… Le trasferte in Ucraina, da agosto a settembre, per esempio, sono state pagata prima dalla Westminster britannica e poi dall’American Freedom House. In Georgia, contro Shevarndnadze, pagava Soros…».
Ma sul settimanale “Il Diario” si lasciano scappare:
«…Siamo comunque orgogliosi di essere aiutati da un servizio di intelligence di un grande paese democratico…».
Chi è Robert Helvey. Direttore della Albert Einstein Institution, un ufficio di copertura, in un intervista a Belgrado del 29 gennaio 2001, Helvey spiega:
«… La mia carriera era quella di un soldato professionista. E uno dei miei ultimi compiti fu quello di addetto militare all’Ambasciata di Rangoon (Myanmar). E ho avuto l’opportunità – nei due anni vissuti a Rangoon e viaggiando per il paese – di vedere in prima persona cosa succede quando la popolazione è oppressa al punto da vivere in un clima di completo terrore. E, come sapete, non c’era la prospettiva di un vero futuro per la gente ed era in corso una lotta per la democrazia, ma si trattava di una lotta armata, condotta nelle zone periferiche del paese e nelle regioni di confine. Era molto chiaro che quella lotta armata non avrebbe mai avuto successo. Così, quando tornai (negli USA), continuai a pensare alla Birmania. Lì c’era un popolo che desiderava realmente la democrazia, aspirava veramente a riforme politiche, ma l’unico modo che avevano per lottare era con le armi. E questo non sarebbe certo stato l’inizio di qualcosa, o un primo passo, per questo c’era una sensazione di impotenza, di incapacità. Una volta negli Stati Uniti, mentre ero ancora incaricato ufficiale, fui selezionato come ricercatore senior all’Harvard Center for International Affairs – dove presi parte a riunioni sul “Program for Nonviolent Sanctions” (Programma per sanzioni nonviolente)… Partecipava anche il dott. Gene Sharp, che ha introdotto il seminario dicendo “Lo sforzo della lotta strategica nonviolenta si concentra sul potere politico. Come impossessarsene e come tenerlo fuori dalle mani degli altri.” E io pensai, “Caspita, questo sta parlando la mia lingua”. E sapete, è questo a cui mira anche la lotta armata. Mi sono quindi subito interessato a questo approccio perché mi sono reso conto che avrebbe potuto offrire qualche opportunità per i Birmani.
«Come fui coinvolto invece nelle operazioni in Serbia? Avevo svolto dei lavori presso il confine Thailandese-Birmano con l’International Republican Institute. Pertanto, quando si sono messi alla ricerca di una persona per presentare informazioni sulla lotta strategica nonviolenta ad un gruppo serbo, hanno chiamato me…».
Molti esponenti di spicco del movimento serbo di Otpor, in sostanza la “cupola dirigente”, tra i protagonisti del colpo di stato del 2000 e della caduta del governo di unità nazionale jugoslavo di Slobodan Milosevic, sono poi diventati esperti internazionali in rivoluzioni. I casi di Bielorussia, Georgia, Ucraina, Kirghizistan, Russia sono ormai documentati e pubblici. Il loro curriculum vitae professionale si presenta con delle strane specializzazioni: addestramento al colpo di stato, gestione delle rivoluzioni, formazione di democrazia.
Stanko Lazendic e Aleksandar Maric nel 2004 sono stati espulsi da Ucraina e Bielorussia come “istigatori di un colpo di stato”, “pericoli pubblici per la sicurezza dello stato” e “ agenti stranieri”. Nel frattempo Maric si trovava in Ucraina come funzionario dell’ONG americana Freedom House.
L’Agenzia France Presse nell’ottobre 2004 scrive:
«… membri del movimento serbo Otpor soggiornano da qualche mese in Ucraina, assicurando la formazione di giovani militanti per l’azione non violenta, nel caso si verificassero brogli durante le elezioni presidenziali, convocate per il 31 ottobre…».
In una intervista al giornale Politika di Belgrado nel 2004, Stanko Lazendic, che operava in Ucraina insieme ad Aleksandar Maric, così spiegava le loro attività:
«… allorché Otpor ha rovesciato Milosevic ed è divenuto celebre nel mondo intero, ci hanno contattato organizzazioni di tutti i paesi dell’Europa dell’est. Come formatori di Otpor, noi abbiamo partecipato a numerosissimi seminari. A titolo individuale. Io sono andato in Bosnia e in Ucraina, Maric è stato in Georgia e in Bielorussia. Per quanto concerne l’Ucraina, noi siamo coinvolti da un anno, e giriamo con alcune organizzazioni non governative il cui scopo è quello di mostrare agli Ucraini cosa significa il regime… Noi gli abbiamo insegnato a condurre delle campagne, senza raccomandazioni precise su cosa essi dovessero fare…».
Questi “professionisti” della democrazia hanno “lavorato” anche in Georgia a Tbilisi con il movimento Kmara, uno dei principali protagonisti della caduta di Shevarnadze e dell’arrivo al potere di Sakashvili. La loro missione era quella di formare i giovani georgiani all’azione nonviolenta ed alla gestione pianificata delle manifestazioni di piazza.
Nel frattempo l’ONG americana Freedom House guidata dall’ex capo della CIA James Woolsey, ha ufficialmente assunto Lazendic e Maric, con tanto di stipendio e rimborsi spese, oltre alla gestione di un budget monetario per le attività, come consiglieri speciali per i movimenti giovanili in Ucraina. Lo scopo ufficiale? Lo sviluppo della società civile e dei diritti umani…
Come riportato da Siniša Šikman, altra figura di rilievo di Otpor ed oggi attivista e trainer del Centro per la resistenza non violenta, in una intervista a Belgrado:
«… noi non distruggiamo i regimi e non ci immischiano alle faccende interne degli altri paesi, ma insegniamo l’esperienza di Otpor e le conoscenze nell’ambito della organizzazione delle campagne civili politiche e non politiche, realizzate durante la lunga lotta contro il regime di Miloševi?. I nostri training sono universali e possono essere adottati in qualsiasi Paese… identici o simili training sono già stati realizzati in Bosnia ed Erzegovina, in Kosovo, ma anche in altri Paesi…»
Ed ora l’Iran…
Luglio 2009
Enrico Vigna, portavoce del Forum Belgrado Italia per un mondo di eguali