È di almeno 20 morti e oltre 120 feriti il tragico bilancio, ancora provvisorio, dei violentissimi scontri scoppiati ieri pomeriggio a Rafah, e prolungatisi fino a notte fonda, tra la polizia palestinese appoggiata dai miliziani delle Brigate al-Kassam e quelli del gruppo Jund Ansar Allah.
Questo gruppo non è l’unico movimento salafita attivo nella striscia di Gaza e nemmeno il più consistente.  Certamente il più temibile, grazie non solo alla sua piccola ma agguerrita milizia, ma al consenso di cui gode presso la popolazione della città di Rafah, dovuto anche alla figura carismatica del loro principale dirigente, il medico Abdel Latif Moussa, a suo tempo appartenente al movimento dei Fratelli Musulmani. Una figura quindi ben nota ai dirigenti di Hamas.

Non è una scoperta, per chi abbia frequentato negli ultimi vent’anni il mondo della Resistenza palestinese, l’esistenza al suo interno di gruppi salafiti intransigenti, animati non solo dalla sete di riscatto contro l’oppressione sionista e imperialista, ma dalla subordinazione della lotta antisionista all’obbiettivo che essi ritengono primario: il ritorno all’Islam “autentico”, ovvero all’emirato islamico e quindi alla applicazione più letterale e puritana della sharia e dei dettami coranici.
Gruppi salafiti e takfiriti sono sorti un po’ dappertutto, soprattutto nei campi profughi palestinesi della diaspora, hanno cioè attecchito nei luoghi di massima concentrazione dell’oppressione e dell’emarginazione. I media occidentali, ogni qualvolta si imbattono in questi gruppi parlano di “network fondamentalista”, di “stretti legami con al-Qaida”. In verità, per quanto molti principi accomunino i vari gruppi, non c’è alcuna cupola, né stabili legami organizzativi tra essi, tantomeno un vincolo effettivo con la direzione di al-Qaida. Siamo in presenza, piuttosto, di una piccola galassia formata da diverse organizzazioni, ognuna indipendente dall’altra, con propri leader carismatici, di vere e proprie sette chiuse su se stesse e con regimi interni ispirati alle più severe regole della clandestinizzazione.

Caratteristiche queste che valgono anche per Jund Ansar Allah, che negli anni si è blindata su se stessa anche a Gaza, suscitando così i sospetti e la crescente ostilità delle forze di sicurezza facenti capo ad Hamas. La resa dei conti tra Jund Ansar Allah e Hamas era nell’aria. La goccia che ha fatto traboccare il vaso pochi giorni or sono, quando le legittime autorità di Hamas hanno intercettato e sequestrato un carico d’armi destinato appunto al gruppo Jund Ansar Allah. La direzione di questo gruppo ha letto questo sequestro, il primo che si sappia, come un affronto, come una svolta che segnalava la fine della tolleranza sin qui mostrata da Hamas verso il salafismo combattente.

Dopo questo sequestro i toni dei sermoni di Abdel Latif Moussa si sono fatti infiammati e, quel che è peggio, sempre più ispirati ad una critica feroce della “mollezza” di Hamas. Che Jund Ansar Allah criticasse Hamas per il suo rifiuto di instaurare la sharia e l’imamato nella Striscia era cosa nota, come noti erano i suoi attacchi per la “inaccettabile subordinazione all’Iran” (per i salafiti takfiriti nessuna collaborazione con gli “eretici” shiiti è ammissibile), ma la questione davvero dirimente è stata la condanna di Jund Ansar Allah della tregua raggiunta con Israele e che ha portato alla fine dell’aggressione e dell’operazione “piombo fuso”.
Anche altre formazioni della Resistenza (che come Jund Ansar Allah avevano partecipato ai combattimenti contro l’invasione dell’inverno scorso) avevano respinto la tregua, ma tutte queste avevano accettato di rispettarla. Jund Ansar Allah no, proclamava che l’avrebbe violata, ispirandosi ad una concezione tutta offensiva ed avventuristica della lotta ai sionisti. E per questo il gruppo si stava riarmando aggirando il controllo di Hamas.

E’ in questa cornice che si spiega la violentissima azione delle forze di Hamas contro Jund Ansar Allah. Si è trattato di un’operazione preventiva, tesa a impedire a questo gruppo di provocare un altro devastante conflitto. Nelle condizioni date e a causa del rifiuto di Jund Ansar Allah di assicurare il rispetto della tregua e degli accordi sottoscritti da tutte le formazioni attive nella Resistenza, nessuna azione preventiva parziale avrebbe dato alcun risultato. Sventare la minaccia che il fragile equilibrio ottenuto dopo l’invasione saltasse per aria implicava annientare e debellare l’intera organizzazione Jund Ansar Allah, a partire dal vertice, per finire con la spina dorsale della sua milizia.