Afghanistan – Verso il crollo del regime fantoccio

Dopo la farsa elettorale nuovi guai per gli occupanti
 
Dopo l’invasione è nato un nuovo modo di dire in Afghanistan: ci sono tre tipi di persone oggi, quelli di “Al-qaida” (i combattenti), quelli di Al-faida (gli arricchiti) e quelli di Al-gaida (i turlupinati). La stragrande maggioranza degli afghani appartengono a questa terza categoria. Si può capire quindi quanto profonda e ampia sia l’impopolarità di Karzai, e la relativa popolarità di Abdullah Abdullah, che si è appunto presentato come fustigatore del governo e moralizzatore.

 

Mentre scriviamo le autorità di Kabul avrebbero dovuto già rendere noti i primi risultati elettorali. Tutto tace invece, poiché sui numeri è in corso a Kabul una lotta sordida e senza quartiere. I commentatori occidentali più accorti (tra i quali, non ci stancheremo mai di segnalarlo, non si annoverano i pennivendoli italiani), danno per scontato che queste elezioni sono state una truffa di proporzioni colossali, superiore a quella delle già truccate presidenziali del 2004. La prima menzogna è proprio sulla percentuale dei votanti. Di sicuro la diserzione degli afghani dalle urne è stata di massa, e questo ha due ragioni. La prima è che la guerriglia pashtun è decisamente più forte di anni addietro, per cui le sue minacce hanno sortito l’effetto sperato; la seconda è l’impopolarità di Karzai, giunta ai massimi livelli da quando gli americani l’hanno messo al suo posto. Se venisse fuori che egli avrebbe vinto già al primo turno, i brogli sarebbero talmente sfacciati e grossolani che potrebbe aprirsi un nuovo fronte di crisi: lo scontro tra le stesse forze che spalleggiano l’occupazione USA-NATO.

La Santa Alleanza raccolta attorno al nuovo vate Obama, che tanto baccano ha sollevato sui presunti brogli in Iran, ha già dato la linea ai mass media mondiali. Il messaggio che deve passare non è quello del carattere tragicomico delle elezioni, piuttosto quello secondo cui “l’alta affluenza” ha mostrato il coraggio degli afghani e la sconfitta dei Taliban. Per questo hanno mandato avanti l’ONU, che attraverso il suo ufficio di Kabul avrebbe assicurato “… Che non vi sarebbero state grosse irregolarità”.
Non sarà facile turlupinare in maniera tanto cinica l’opinione pubblica. Fonti indipendenti informano intanto che su 17 milioni di elettori non avrebbe votato nemmeno la metà (nel 2004 la percentuale dichiarata fu del 70%). Altri sostengono che i dati sull’affluenza sono gonfiati, dato che la Resistenza controlla più del 60% del territorio. Alcuni osservatori afghani hanno già denunciato che in decine di seggi si sarebbero recati a votare quattro gatti, ma allo scrutinio le urne erano piene di schede (evidentemente già compilate). Altri osservatori neanche tanto indipendenti (ad esempio La Rete asiatica per libere elezioni – Anfrel, finanziata da americani ed europei) non ha potuto fare a meno di denunciare che in alcune province sono stati notati certificati elettorali multipli, in altre il voto è stato oggetto di un vero e proprio commercio (un tanto di dollari per ogni voto), che in molti casi hanno votato minorenni non aventi diritto. Inoltre, ha detto la stessa Anfrel: «abbiamo constatato la cattiva qualità dell’inchiostro indelebile, il pessimo funzionamento delle macchinette per annullare i certificati elettorali, nonché l’utilizzazione di risorse pubbliche a favore di questo o quel candidato». Ma lo scandalo più eclatante è un altro, ed è stata l’autorizzazione concessa agli anziani appartenenti ai consigli tribali di villaggio (nel codice pashtunwali, ma valido anche nelle altre comunità afghane, l’ultima parola spetta infatti agli anziani della shura o consiglio della comunità locale) di presidiare i seggi, obbligando così i compaesani a votare come stabilito dagli anziani stessi in base al principio dello scambio, del do ut des, con qualche notabile vicino a Karzai).

Gli architetti della democrazia afghana possono dire ciò che vogliono, ma anche i sassi in Afghanistan sanno che essi sono stati sconfitti e che il primo vincitore indiscusso è proprio la Resistenza popolare dei Pashtun. Ma il fallimento della farsa elettorale è destinato non solo a ringalluzzire il variegato fronte guerrigliero che combatte gli occupanti. E’ destinato ad accentuare la crisi già palese del governo Karzai, quella delle istituzioni posticce e corrotte su cui si basa e ad esacerbare lo scontro latente con l’Alleanza del Nord capeggiata dall’ex ministro degli interni Abdullah Abdullah. Il rischio che il dissidio in fieri diventi palese sta crescendo in queste ore, visto che proprio Abdullah Abdullah, ovvero il candidato dato per favorito, sta lanciando accuse al vetriolo contro i “massicci brogli” elettorali “compiuti da Karzai”. I luogotenenti di Abdullah Abdullah rincarano la dose: “Della commissione elettorale non ci fidiamo. Sono tutti uomini di Karzai”, “Scenderemo in piazza se ci rubano il voto”.

Il businness della guerra e degli “aiuti umanitari”

Il fallimento dell’occupazione non si manifesta soltanto sul piano militare. Dal punto di vista sociale esso assume proporzioni ancor più drammatiche. L’Afghanistan resta tra i paesi più poveri del mondo, è anzi, secondo le stesse fonti occidentali, più povero che al tempo dei Taliban. Lo standard di vita della maggioranza dei cittadini, sia rurali che urbani, è peggiorato.
Ma dove finiscono le montagne di danaro che affluiscono in Afghanistan sotto forma di “aiuti umanitari” e che in teoria avrebbero dovuto aiutare lo “sviluppo” del paese? Ma è semplice! Essi sono appannaggio di ristrette cricche di notabili, speculatori e affaristi, sia afghani che occidentali, e che proprio grazie al conflitto hanno accumulato ingenti ricchezze a costruito un sistema corruttivo senza precedenti.
Il meccanismo con cui viene compiuta ai danni del popolo la colossale rapina dei fondi destinati alla povera gente o ai servizi sociali è ben noto agli afghani. Esso fa perno sulle ONG, le quali gestiscono l’80% degli ”aiuti”. Tutti quelli che si sono prestati a fare da guide indiane degli occupanti hanno costituito delle ONG e quindi possono amministrare e disporre di ingenti fondi i quali sono finiti e finiscono nelle tasche dei parenti o del clan di chi amministra le stesse ONG. A loro volta il personale occidentale occupante, sia civile che militare, stacca un congruo pizzo alle ONG medesime, cosicché buona parte dei quattrini destinati allo “sviluppo” ritornano in occidente, finiscono nei conti correnti del personale ONU, NATO, ISAF, UE, e compagnia cantando.
Tra ONG e truppe d’occupazione esiste una vera e propria relazione osmotica. L’ONG piglia i soldi per realizzare un progetto, sia esso scavare un pozzo o costruire un ponte. Quindi vengono assunti dei dipendenti e corrotti tutti i passacarte, per finire coi capivillaggio. Infine, col pretesto di realizzare il progetto benefico di questa o quella ONG, le truppe occupanti intervengono in assetto di guerra, e riescono a penetrare nei luoghi meno accessibili, e ingaggiano battaglia contro una Resistenza che giustamente non può fare alcuna differenza tra occupanti civili e in divisa.
Accanto alla soldataglia occupante, con modalità non dissimili da quelle sperimentate in Iraq, anche in Afghanistan sono sorti gruppi paramilitari ben pagati, composti da contractors stranieri e scagnozzi locali. Uomini armati fino ai denti, addestrati dalle truppe NATO e USA, ben equipaggiati, chiamati  appunto a scortare e proteggere i cosiddetti  “problem-solvers”, ovvero gli oennegisti professionisti.
Dopo l’invasione è nato un nuovo modo di dire in Afghanistan: ci sono tre tipi di persone oggi, quelli di “Al-qaida” (i combattenti), quelli di Al-faida (gli arricchiti) e quelli di Al-gaida (i turlupinati). La stragrande maggioranza degli afghani appartengono a questa terza categoria. Si può capire quindi quanto profonda e ampia sia l’impopolarità di Karzai, e la relativa popolarita di Abdullah Abdullah, che si è appunto presentato come fustigatore del governo e moralizzatore.

Nuovi sconquassi

Gli uomini dell’Alleanza del Nord hanno già lasciato intendere che non accetteranno supini un risultato che consegnasse la vittoria all’attuale presidente. La situazione è talmente tesa e delicata a Kabul (in coda ad un partecipato comizio di Abdullah Abdullah la polizia fedele a Karzai ha attaccato i manifestanti compiendo 14 arresti), che da Washington è dovuto intervenire lo stesso Obama, il quale ha assicurato che la Casa Bianca accetterà il risultato qualsiasi esso sia. Menzogna! Holdbrooke non avrà solo informato Obama che la vittoria di Karzai è già decisa e che essa è assicurata proprio grazie ai trucchi massicci operati, ma che l’eventuale elezione di Abdullah Abdullah sarebbe un colpo pesante per gli Stati Uniti e tutti gli occupanti. La ragione è presto detta: l’Alleanza del Nord, per quanto avesse funzionato nel 2001 come soldataglia ascara degli invasori, non solo mantiene una propria temibile milizia (15-20mila uomini), ma ha infittito recentemente i propri legami con paesi nient’affatto amici degli USA e della NATO, quali la Russia e, tramite quest’ultima, con l’Iran. Se l’Alleanza del Nord rifiutasse la vittoria programmata di Karzai, ove essa dissotterrasse l’ascia di guerra, ciò rappresenterebbe un gigantesco disastro per gli occupanti. Questi non potrebbero certo accettare di combattere su due fronti, al Sud i Pashtun e a Nord i Tagiki (di cui gli Azarà, shiiti, e altre minoranze sono da sempre alleati). In un simile scenario avremmo l’Afghanistan spezzato nuovamente in due, con Kabul al centro della contesa. La scelta inattesa del signore della guerra uzbeko Abdul Rashid  Dostum (quello che nel novembre 2001 massacrò più di 1500 prigionieri talibani) di schierarsi con Karzai è forse il segnale che la sgangherata alleanza anti-pashtun e anti-taliban sta giungendo al capolinea e che i guai per le truppe imperialiste sono destinati a crescere nei prossimi mesi. In questo contesto si spiegano anche le avances che Karzai, su consiglio degli americani, ha fatto a varie tribù pashtun, compresa la guerriglia talibana che fa capo al Mullah Omar.

L’Afghanistan resta l’epicentro del “grande gioco” centrasiatico, che chiama in gioco potenze regionali  e superpotenze. In questa luce andava letta l’invasione americana, spalleggiata dagli europei, e va interpretato lo scollamento della coalizione tra Karzai e l’Alleanza del Nord capeggiata da Abdullah Abdullah e il probabile rimescolamento se non capovolgimento dei fronti di guerra.