La stampa si è occupata in questi giorni di un incidente diplomatico fra Svezia e Israele, dovuto al fatto che un giornalista, Donald Boström, ha dato ampio spazio sul principale quotidiano svedese, Aftonbladet, all’arresto di un rabbino americano, Levy Izhak Rosenbaum, con l’accusa di riciclaggio e traffico di organi. Il giornalista non si è limitato a riportare la notizia, ma ha ricordato come le accuse di traffico di organi abbiano più volte investito l’esercito israeliano. Apriti cielo! Le autorità sioniste hanno subito imposto restrizioni agli inviati svedesi presenti in Terra di Palestina e minacciato il boicottaggio dei prodotti delle aziende svedesi. Non solo! L’ “unica democrazia del Medio Oriente” pretende addirittura un intervento del governo svedese sul giornalista e sul quotidiano.
A seguire il commento di Gilad Atzmon e la traduzione dell’articolo “Saccheggiati gli organi dei nostri figli” di Donald Boström.
L’IDF: il trita organi di Israele
di Gilad Atzmon – 24/08/2009
Nella foto il rabbino comandante dell’IDF, generale Avichai Ronsky e il comandante del corpo sanitario dell’esercito, generale Nachman Ash firmano entrambi per la tessera di donatore di organi durante una cerimonia nel quartier generale di Kirya, a Tel Aviv. Chissà se sono a conoscenza che, se le accuse corrispondono a verità, proprio il loro stesso esercito sarebbe stato coinvolto almeno in svariate occasioni nell’espianto degli organi dei Palestinesi che avevano ucciso, che sono stati restituiti alle famiglie dopo cinque giorni, e che avevano sepolto in un regime di blackout notturno sotto coprifuoco palestinese imposto dagli Israeliani.
C’è una vecchia barzelletta ebraica di un mercante ebreo in fin di vita, che sul letto di morte chiama a sé il figlio poco prima di morire. Gli dice “Ascoltami Moisha’le, nella vita non ci sono soltanto i soldi … ci sono anche l’oro e i diamanti”.
Seguendo le notizie israeliane ed ebraiche ci viene rivelato un fatto devastante, che non ci sono ‘soltanto’ i soldi. Ci potrebbero essere anche gli organi umani. Qualche settimana fa siamo venuti a conoscenza di un gruppo di rabbini americani che erano stati arrestati nel New Jersey con il sospetto di traffico di organi umani (oltre a molti altri crimini). Il rabbino Levy Izhak Rosenbaum, si legge, adescava “persone vulnerabili per convincerli a vendere un rene a 10,000 dollari, che lui avrebbe poi facilmente rivenduto a 160,000 dollari”. Niente male, avevo pensato allora tra me e me. Sono tempi duri, c’è il crollo finanziario, la crisi del credito, Wall Street che si lecca le ferite, e l’industria automobilistica che sta andando in fumo. A quanto pare però, c’è ancora il boom del traffico di reni.
In effetti, il giro di trafficanti rabbini del New Jersey non mi ha colto del tutto di sorpresa. Per anni abbiamo sentito le accuse dei Palestinesi che Israele era “coinvolto nel traffico di organi”. Abbiamo inoltre appreso che la famiglia di Alastair Sinclair, un turista scozzese che si è impiccato in una prigione israeliana, “è stata costretta ad intentare causa perché ritornasse a casa. Con alcune parti del corpo mancanti”.
Nel 2002 il Teheran Times ha riportato: “lo stato sionista ha tacitamente ammesso che i medici dell’istituto di medicina legale israeliano di Abu Kabir avevano espiantato gli organi vitali di tre ragazzini palestinesi uccisi dall’esercito israeliano dieci giorni fa. Il ministro della sanità sionista Nessim Dahhan ha detto in risposta alla domanda di martedì scorso di Ahmed Teibi, un membro arabo del parlamento sionista ‘Knesset’, che non poteva negare che gli organi dei giovani e dei bambini palestinesi uccisi dalle forze israeliane venissero espiantati per i trapianti o per la ricerca scientifica”.
Ma adesso la notizia del traffico di organi umani israeliano si sta diffondendo attraverso i principali media occidentali. Il più grande quotidiano online israeliano, Ynet, ha riportato oggi che “il maggiore quotidiano svedese Aftonbladet affermava in uno dei suoi articoli che i soldati dell’IDF uccidono i Palestinesi per commerciarne gli organi”.
Alcune settimane fa abbiamo avuto un dibattito qui sul PTT [Palestine Think Tank] sulla questione se il Sionismo è o meno un apparato coloniale. Una delle argomentazioni materialistiche contro la percezione del Sionismo come una pratica coloniale era che la Palestina non è mai stata economicamente molto allettante; non ha il petrolio, l’oro né i minerali. Ma adesso potrebbe cambiare tutto. Le persone che si specializzano nel furto di organi potrebbero trovare il loro paradiso in Palestina. Alla luce delle più recenti e dilaganti accuse, il progetto nazionale ebraico forse dopotutto, è coloniale.
Sebbene il governo israeliano neghi le accuse, e io personalmente sono lungi dall’essere qualificato per sapere quale sia la verità, non può essere negato che siamo di fronte ad un cambiamento di coscienza all’interno del discorso occidentale. In fin dei conti, dopo che abbiamo visto l’esercito israeliano scaricare enormi quantità di fosforo bianco sulla popolazione civile in pieno giorno, dopo che abbiamo visto gli Israeliani radunarsi in massa allegramente sulle colline intorno a Gaza solo per vedere come i loro militari spargono la morte e la sofferenza fisica alla maniera di un genocidio, e dopo che abbiamo letto che il 94% degli Israeliani hanno sostenuto la campagna militare dell’IDF contro gli anziani, le donne e i bambini, la gran parte dei quali erano rifugiati senza nessun posto dove scappare e cercare altro rifugio, il furto di organi sembra un “crimine leggero”.
Se le accuse del quotidiano svedese sono veritiere o meno deve ancora esserci rivelato. Tuttavia, almeno un fatto è stato già appurato: dopo così tanti anni dell’inclinazione occidentale di danzare sulle note dell’incessante violino piangente la serenata della vittima malinconica ebrea, i media occidentali stanno cambiando i loro gusti adesso, e sono intenzionati a confrontare la criminalità istituzionale ebraica.
Piuttosto che parlare dell’aumento dell’antisemitismo, faremmo meglio a parlare della crescita del criminalità istituzionale ebraica.
Fonte: http://palestinethinktank.com
Link: http://palestinethinktank.com/2009/08/19/gilad-atzmon-the-idf-israels-organ-grinder/
19.08.2009
“SACCHEGGIATI GLI ORGANI DEI NOSTRI FIGLI“
Mi potreste chiamare un “mediatore”, ha detto Levy Izhak Rosenbaum, di Brooklyn, negli USA, in una registrazione segreta con un agente dell’FBI, che credeva fosse un cliente. Dieci giorni dopo, verso la fine del luglio scorso, Rosenbaum è stato arrestato ed è stato rivelato un grosso affare di riciclaggio e di traffico illegale di organi, stile “I Soprano”. L’attività di intermediazione di Rosenbaum non aveva niente a che fare con il romanticismo. Consisteva solo nell’acquisto e nella vendita di reni da Israele sul mercato nero. Rosenbaum dice che compra i reni a 10 000 dollari dalle persone indigenti. Poi procede a vendere gli organi ai pazienti disperati negli Stati Uniti a 160 000 dollari. Le accuse hanno scosso l’attività dei trapianti in America. Se corrispondono a verità, vuol dire che il traffico di organi è stato documentato per la prima volta negli USA, dicono gli esperti al New Jersey Real-Time News.
Alla domanda sul numero di organi che ha venduto, Rosenbaum risponde: “Davvero molti. E non ho mai fatto fiasco”, dice vantandosi. L’attività va avanti da parecchio tempo. Francis Delmonici, professore di chirurgia dei trapianti a Harvard e membro del consiglio di amministrazione della National Kidney Foundation, dice allo stesso quotidiano che il traffico di organi, simile a quello riportato da Israele, esiste anche in altre parti del mondo. Secondo Delmonici da 5000 a 6000 operazioni all’anno, il dieci per cento circa dei trapianti di reni nel mondo, vengono effettuate illegalmente.
I paesi sospettati di queste attività sono il Pakistan, le Filippine e la Cina, dove gli organi verrebbero espiantati dai corpi dei prigionieri giustiziati. Ma i Palestinesi nutrono anche forti sospetti che Israele catturi i giovani per impinguire le riserve di organi del paese – un’accusa molto grave, con tanti punti interrogativi da indurre la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ad avviare un’inchiesta sui possibili crimini di guerra.
Israele è stato più volte nel mirino per i suoi modi non etici di gestione degli organi e dei trapianti. La Francia è stata uno dei paesi che ha cessato la collaborazione di organi con Israele negli anni novanta. Il Jerusalem Post ha scritto che “ci si aspetta che gli altri paesi europei seguano presto l’esempio della Francia”.
La metà dei reni trapiantati sugli Israeliani dall’inizio del 2000 sono stati acquistati illegalmente dalla Turchia, dall’est europeo o dall’America latina. Le autorità sanitarie israeliane hanno la piena consapevolezza di questa attività ma non fanno niente per fermarla. Durante una conferenza nel 2003 è stato dimostrato che Israele è l’unico paese occidentale con una professione medica che non condanni il traffico illegale di organi. Il paese non prende provvedimenti legali contro i medici che partecipano a questo business illegale – al contrario, secondo il [quotidiano svedese] Dagens Nyheter i funzionari sanitari delle grandi strutture ospedaliere di Israele sarebbero coinvolti nella maggior parte dei trapianti illegali (5 dicembre 2003).
Nell’estate del 1992 Ehud Olmert, allora ministro della sanità, ha cercato di affrontare la questione dell’insufficienza di organi lanciando una grande campagna finalizzata all’inserimento del pubblico israeliano nel registro dei donatori di organi. Sono stati distribuiti mezzo milione di volantini nei quotidiani locali. Lo stesso Ehud Olmert è stato il primo a firmare. Un paio di settimane dopo, il Jerusalem Post ha riferito che la campagna era stata un successo. Non meno di 35 000 persone avevano firmato. Prima della campagna ce ne sarebbero state di norma 500 al mese. Tuttavia nello stesso articolo, il cronista Judy Siegel ha scritto che il divario tra la domanda e l’offerta era ancora grande. C’erano 500 persone in lista per il trapianto del rene, ma sono stati possibili solo 124 trapianti. Delle 45 persone in attesa di un fegato, solo tre sono potute essere operate in Israele.
Mentre la campagna era in corso, sono iniziati a scomparire dei giovani palestinesi dai villaggi della Cisgiordania e di Gaza. I soldati israeliani li riportavano morti dopo cinque giorni, con i corpi squarciati.
Le notizie dei corpi terrorizzavano la popolazione dei territori occupati. C’erano voci di un notevole aumento delle scomparse di ragazzi giovani, e dei conseguenti funerali notturni dei corpi sottoposti ad autopsia.
Ero in quella zona in quel momento, stavo preparando un libro. In svariate occasioni sono stato interpellato dai membri del personale dell’ONU preoccupati per gli sviluppi. Le persone che mi contattavano dicevano che il furto di organi avveniva sicuramente, ma che gli era impedito di intervenire in alcun modo. In occasione di un incarico da parte di una rete di emittenti televisive mi sono poi spostato per intervistare un grande numero di famiglie palestinesi in Cisgiordania e a Gaza – incontrando genitori che mi hanno raccontato come erano stati espiantati gli organi dei loro figli prima che fossero stati uccisi. Un esempio [delle persone] che ho incontrato in questo macabro viaggio è il giovane lanciatore di sassi Bilal Achmed Ghanan.
Era quasi mezzanotte quando è risuonato il rombo dei motori da una colonna militare israeliana dalla periferia di Imatin, un piccolo villaggio nelle parti settentrionali della Cisgiordania. I duemila abitanti erano svegli. Stavano immobili, aspettavano, come ombre silenziose nella notte, alcuni stavano stesi sui tetti, altri erano nascosti dietro le tende, i muri, o gli alberi, che fornivano protezione durante il coprifuoco pur offrendo una visuale completa di quella che sarebbe diventata la tomba del primo martire del villaggio. I militari avevano interrotto la corrente elettrica e l’area era ora una zona militarizzata isolata – neanche un gatto avrebbe potuto muoversi all’esterno senza rischiare la pelle. L’opprimente silenzio nel buio della notte era interrotto solo da qualche pianto sommesso. Non ricordo se tremavamo per il freddo o per la tensione. Cinque giorni prima, il 13 maggio 1992 un reparto speciale dell’esercito israeliano aveva usato la falegnameria del villaggio per un’imboscata. La persona che erano stati incaricati di fare fuori era Bilal Achmed Ghanan, uno dei giovani palestinesi che lanciano sassi e che rendevano difficile la vita dei soldati israeliani.
Come uno dei principali lanciatori di sassi, Bilal Ghanan era stato ricercato dai militari per un paio d’anni. Insieme ad altri ragazzi lanciatori di sassi si era nascosto sulle montagne intorno alla città Nablus, senza un tetto sopra la testa. Per questi ragazzi essere presi voleva dire tortura e morte – dovevano rimanere sulle montagne a tutti i costi.
Il 13 maggio Bilal ha fatto un’eccezione quando, per qualsivoglia ragione camminava non protetto vicino alla falegnameria. Neanche il suo fratello maggiore Talal sa perché ha corso questo rischio. Forse i ragazzi erano rimasti senza cibo e avevano bisogno di fare rifornimento.
Per il reparto speciale israeliano è andato tutto secondo i piani. I soldati hanno spento le sigarette, hanno messo da parte le loro lattine di Coca-Cola e hanno mirato con calma attraverso la finestra rotta. Quando Bilal era abbastanza vicino hanno dovuto solo premere il grilletto. Il primo colpo l’ha colpito al petto. Secondo gli abitanti del villaggio che sono stati testimoni dell’incidente gli avrebbero successivamente sparato un colpo a ciascuna gamba. Allora due soldati sono corsi fuori dalla falegnameria e hanno sparato a Bilal allo stomaco. Infine l’hanno afferrato per i piedi e l’hanno trascinato su per i venti gradini di pietra della scalinata della falegnameria. Gli abitanti del villaggio dicono che c’erano persone sia dell’ONU che della Red Crescent (Mezzaluna Rossa) nelle vicinanze che hanno sentito i colpi e che sono accorsi in cerca di feriti da soccorrere. Ci sarebbero state delle divergenze su chi avrebbe dovuto prendersi cura della vittima. Le discussioni si sono concluse quando i soldati israeliani hanno caricato Bilal gravemente ferito, su una Jeep portandolo alla periferia del villaggio, dove l’attendeva un elicottero militare. Il ragazzo è stato portato in una destinazione sconosciuta alla sua famiglia. È ritornato cinque giorni dopo, morto e avvolto in un tessuto verde ospedaliero.
Un abitante del villaggio ha riconosciuto il capitano Yahya, che era a capo della colonna militare che ha trasportato Bilal dal centro per le autopsie di Abu Kabir, fuori da Tel Aviv, al suo luogo finale di riposo. “Il capitano Yahya è il peggiore di tutti”, mi ha sussurrato nell’orecchio l’abitante del villaggio. Dopo che Yahya ha scaricato il corpo e ha sostituito il lenzuolo verde con un altro di cotone leggero, i soldati hanno scelto alcuni uomini tra i familiari della vittima per scavare [la fossa] e impastare il cemento.
Insieme ai rumori delle pale si potevano sentire le risate dei soldati che si raccontavano le barzellette mentre aspettavano di tornare a casa. Quando Bilal è stato sepolto gli è stato scoperto il petto. È stato subito chiaro per le poche persone presenti il genere di abuso che aveva subito il ragazzo. Bilal non è certo il primo giovane palestinese ad essere stato sepolto con uno squarcio dall’addome al mento.
Le famiglie in Cisgiordania e a Gaza erano certe di sapere esattamente quello che era successo: “i nostri figli vengono usati come donatori non volontari di organi”, mi hanno detto i parenti di Khaled di Nablus, come ha fatto anche la madre di Raed della città di Jenin e gli zii di Machmod e Nafes di Gaza, che erano tutti scomparsi per un certo numero di giorni, e che sono ritornati di notte, morti, dopo un’autopsia.
Perché tengono le salme fino a cinque giorni prima di lasciarcele seppellire? Che succedeva ai corpi in quel lasso di tempo? Perché fanno le autopsie contro la nostra volontà, quando la causa del decesso è ovvia? Perché restituiscono le salme di notte? Perché viene fatto con le scorte militari? Perché l’area viene isolata durante il funerale? Perché tolgono l’elettricità? Lo zio di Nafe era sconvolto e aveva tante domande.
I parenti dei Palestinesi morti non nutrivano più alcun dubbio sul motivo delle uccisioni, ma il portavoce dell’esercito israeliano ha affermato che le accuse di furto di organi erano menzogne. Ha detto che tutte le vittime palestinesi vengono sottoposte ad autopsia di routine. Bilal Achmed Ghanem è stato uno dei 133 Palestinesi rimasti uccisi in vario modo quell’anno. Secondo le statistiche palestinesi le cause dei decessi erano: colpito con arma da fuoco per strada, esplosione, gas lacrimogeno, investito intenzionalmente, impiccato in prigione, colpito con arma da fuoco a scuola, ucciso mentre era a casa, eccetera. Le 133 persone avevano da quattro mesi a 88 anni. Solo la metà di queste, 69 vittime, sono state sottoposte all’autopsia. La routine dell’autopsia per i Palestinesi uccisi, di cui parlava il portavoce dell’esercito, non ha riscontri con la realtà nei territori occupati. Gli interrogativi rimangono.
Sappiamo che Israele ha una grande necessità di organi, che c’è un grosso traffico illegale di organi che va avanti da molti anni, che le autorità ne sono al corrente e che i medici con posizioni dirigenziali nelle grandi strutture ospedaliere partecipano [al traffico illegale] insieme ai pubblici funzionari a vari livelli. Sappiamo inoltre che sono scomparsi dei giovani palestinesi, che sono stati riportati dopo cinque giorni, di notte, in assoluta segretezza, e ricuciti dopo aver subito un’incisione dall’addome al mento.
È il momento di fare chiarezza su questo affare macabro, di fare luce su quello che sta succedendo e su quello che si è verificato nei territori occupati da Israele dall’inizio dell’Intifada.
Donald Boström
Fonte: www.aftonbladet.se
Link: http://www.aftonbladet.se/kultur/article5652583.ab
17.08.2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Micaela Marri