Irresistibile attrazione

Perché alla sinistra italiana piace tanto Gianfranco Fini

Genova, festa del Pd, mercoledì 26 agosto. L’ex vicepresidente del Consiglio del governo della mattanza genovese del luglio 2001 torna sul luogo del delitto e rivendica: «So che molti di voi non apprezzeranno, ma sono stato soddisfatto per la sentenza della Corte europea: come italiano sono stato felice che il carabiniere sia stato inequivocabilmente assolto per legittima difesa».
Fischi? Contestazioni? Silenzio imbarazzato? Niente di tutto questo. Come ci informa il Corriere della Sera: «dalla platea della città di Carlo Giuliani parte un applauso. Neanche un fischio, una contestazione, un rumore di seggiola. Niente. Fini quasi non ci crede: “Mi fa piacere che applaudiate”».

Per Fini, Genova è stata un trionfo, una tappa del suo smarcamento virtuale dal Padrone di Arcore. E’ un percorso iniziato da tempo, che alla festa del Pd ha vissuto un’indubbia accelerazione. Si tratta di un fatto che suscita almeno tre domande. La prima: perché lo fa, qual è l’obiettivo politico? La seconda: perché lo fa adesso? La terza: perché alla sinistra piace così tanto?

Il percorso recente del “nero abbronzato”

Prima di provare a rispondere a queste tre domande, delle quali la terza è certamente quella più importante, conviene ripercorrere le vicende più recenti del “nero abbronzato” (la definizione, informano le cronache, circolava scherzosamente nella platea genovese) che ha sostituito il “Pavone sgonfiato” sullo scranno più alto di Montecitorio.
Gianfranco Fini è uno degli esempi più nitidi del politicantismo italiano, una faccia di bronzo al cui cospetto D’Alema rischia di passare per un ingenuo idealista. In 13 anni ha sciolto due partiti, in pochi mesi (dal dicembre 2007, al febbraio 2008) passò dalla netta opposizione alla nascita del Pdl, alla confluenza nella nuova creatura berlusconiana. Se nel dicembre 2007 considerava ormai il centrodestra una “ex coalizione”, giudicando quello del Pdl un progetto “confuso e superficiale”, due mesi dopo (15 febbraio 2008) l’assemblea nazionale del suo partito ratificava l’alleanza elettorale sotto quel simbolo. Ed un anno dopo (marzo 2009), quando il Pdl nasceva formalmente come partito, solo An dovette celebrare il suo scioglimento; Forza Italia no, che tanto il Pdl era la sua naturale prosecuzione. Insomma, un’annessione bella e buona, giusto per capire lo spessore del personaggio di fronte al Paperone d’Italia.
In più, per completare il quadro, sia consentita qualche considerazione sull’attuale coerenza dell’ex delfino di Almirante, mancato delfino di Berlusconi e per questo ridotto ad imprenditore di se stesso.
A Genova ha criticato la politica del governo sull’immigrazione e sul testamento biologico: benissimo, ma ha forse rotto con il partito di cui rimane il leader più conosciuto dopo il Capo?
Tenere i piedi su due staffe è certo specialità assai diffusa di questi tempi, si pensi al sig. Lucio Malan che come senatore Pdl ha votato a luglio la legge sull’immigrazione, e che come valdese ha aderito ad agosto al digiuno del Sinodo delle Chiese metodiste e valdesi contro quella legge!
Ma Fini vorrebbe essere un leader e gli sarebbe perciò richiesto un po’ di coraggio in più, ma non si può chiedere ad una rapa di sanguinare…

Perché lo fa?

Ricordato il suo recente percorso, ma avremmo potuto parlare anche dei continui zig zag negli anni del precedente governo Berlusconi (2001 – 2006), risulta più facile rispondere alla prima domanda. Perché lo fa? Lo fa per ritagliarsi uno spazio che nel partito non ha più.
Fini è quasi solo. I famosi colonnelli se ne sono allegramente andati ed oggi galleggiano felici alla corte del Cavaliere. Chi non fa il ministro, fa il sindaco di Roma e nessuno di loro ha da chiedere di più alla vita. Berlusconi li ha sdoganati, ripuliti, foraggiati, imbelletatti: cosa’altro dovrebbero chiedere? Ed infatti non chiedono niente.
Fini, invece, ha un’ambizione sconfinata. Montecitorio non gli basta e vorrebbe puntare a Palazzo Chigi od al Quirinale. Per entrambi gli obiettivi ha bisogno di un accordo con il Pd, che è ben felice di fargli da sponda.
Palazzo Chigi potrebbe arrivare da un governo istituzionale, nel caso in cui l’attuale esecutivo venisse davvero travolto dagli scandali (ipotesi ritenuta piuttosto improbabile da chi scrive, ma certo non impossibile).
Il Quirinale potrebbe essere invece il coronamento di una lunga stagione di smarcamento senza rottura col suo partito.
In nessun caso l’una o l’altra poltrona gli verrebbero dal Pdl, tanto meno da Berlusconi, ma sarebbero il frutto di uno dei tanti equilibrismi in cui il trasformismo italico si fonde con gli interessi forti delle oligarchie economiche dominanti. Senza dimenticarsi degli interessi americani, ma di questo parleremo dopo.

Perché lo fa adesso?

Veniamo alla seconda domanda: perché lo fa adesso?
Certo, c’è un motivo interno alla coalizione di governo che vive un evidente momento di difficoltà, ma vi sono sicuramente ragioni più rilevanti quanto meno visibili.
Non solo una parte assai consistente delle classi dominanti vedrebbe di buon occhio la definitiva uscita di scena di Berlusconi, accompagnata dalla nascita di un governo tra l’“istituzionale” ed il “tecnico”, ma un simile rivolgimento farebbe certo piacere dalle parti della Casa Bianca. Non dimentichiamoci dell’accordo sul gasdotto South Stream che ha reso davvero tesi i rapporti tra Roma e Washington.
Da ministro degli esteri, nel periodo 2004-2006, Fini fu completamente sottomesso alla politica americana. Allora comandava Bush, ma senza dubbio egli garantirebbe lo stesso servilismo ad Obama.
Fini, l’amerikano, ha dunque scelto i tempi non da solo. Sa che anche gli scandali non vengono fuori per caso e si gioca la sua partita.

Perché piace così tanto alla sinistra? 

Perché piace così tanto alla sinistra? Questa è certamente la domanda più importante, perché la scenetta genovese descritta all’inizio sarebbe stata impensabile non solo dieci anni fa, ma anche soltanto un anno fa.
Naturalmente l’attuale attrazione della sinistra per Fini ha dei motivi facilmente individuabili. Al Pd lo smarcamento di Fini fa gioco ed il cinismo non è certo merce estranea al ceto politico di sinistra. Il Pd sa di non avere reali chance di ritorno al governo in tempi brevi senza un terremoto nelle fila della destra, e Fini può provocarlo. 
Fin qui le evidentissime ragioni del ceto politico. Ma i militanti, gli elettori, i friggitori di salsicce presenti nella platea genovese? E’ chiaro che deve esserci qualcosa di più che rende possibile  l’attuale feeling.

Basta leggere il resoconto di Matteo Bartocci sul Manifesto del 27 agosto per capire di cosa si tratta. Sotto il titolo «Il ghibellino Fini: il papa non è legge», l’autore dedica due righe per informare degli applausi (“i più forti”, ci informa senza altri commenti) alla felicità del presidente della Camera per l’assoluzione di Placanica, passando poi ad esaltare la laicità, la presa di distanza dalla Lega, e quella dal Vaticano sul testamento biologico.
Non di solo Pd insomma si tratta, ma di un sentire ben più diffuso. Ad una sinistra che ha fatto delle libertà individuali la sua ultima frontiera, la sua ultima “identità”, Fini deve piacere per forza. Non solo come argine al berlusconismo, ma proprio come portatore di una certa visione del mondo.

Laico, politicamente corretto, amerikano: praticamente perfetto

Fini si presenta dunque come laico (applausi scroscianti), politicamente corretto (applausi altrettanto scroscianti), come amerikano (ancora applausi, specie con Obama). Il suo identikit è pressoché perfetto per la sinistra realmente esistente.
Vi furono tempi un po’ più seri nei quali nel vocabolario della politica italiana “laico” significava ad un tempo “non clericale” ma “confindustriale” ed amerikano”. La Malfa, Malagodi e Spadolini ne furono i campioni più noti.
In quei tempi non esisteva ancora il “politicamente corretto”, ma la traduzione più precisa nel linguaggio dell’epoca sarebbe stato “benpensante”, cioè conformista o, se preferiamo avvalerci di un dizionario, “chi condivide le idee e le opinioni predominanti; in ambito politico, conservatore”.
Sempre in quell’epoca l’amerikano era un essere spregevole, certamente di destra, quasi sempre implicato nelle peggiori porcherie della guerra fredda, quando non direttamente nelle stragi di casa nostra.

Ma di acqua ne è passata sotto i ponti, ed oggi laico e politicamente corretto sono due attributi che alla sinistra italiana bastano e avanzano per far scattare l’applauso, non solo a Genova e non solo tra i “democratici”.
Amerikano invece non è ancora sdoganato per tutti, ma intanto hanno segnato il territorio con la ripulsa di tutto ciò che è antiamericano ed antiamericanista, che è un modo un po’ soft, da sinistra politicamente corretta, di essere culturalmente prima ancora che politicamente americani.

In conclusione, nell’irresistibile attrazione tra l’ex delfino di Almirante e l’attuale sinistra è quest’ultima quella che fa più schifo. L’opinione di chi scrive è che gli ambiziosi disegni di Fini non andranno in porto, lasciando così il Pd ed i suoi alleati a bocca asciutta. Ma questa è solo una previsione personale, che richiederebbe un’argomentazione ben al di là dell’oggetto di questo articolo. Non è questo, però, il punto importante, quanto l’ennesima conferma degli approdi politico-culturali della sinistra italiana: laica (nel senso già precisato), politicamente corretta e amerikana.

PS – Normalmente non uso la kappa di amerikano, ma per Fini mi è scappata: quando ci vuole, ci vuole. Alla faccia dei suoi nuovi estimatori.