Il commovente interesse americano per la “sicurezza” energetica italiana
«L’ordine è arrivato dagli Usa: Berlusconi va eleminato. Motivo: i contratti energetici che legano non solo l’Italia alla Russia, ma tutta quella parte di Europa che Berlusconi è deciso a portarsi con sé. A me già lo disse chiaro e tondo l’ambasciatore Spogli, che andai a salutare quando lasciò l’ambasciata di via Veneto: “Non siamo certo noi americani che vogliamo vendere energia all’Italia, ma vogliamo un’Italia che non dipenda dalla Russia come una colonia e non vogliamo che la Russia incassi una somma di denaro di dimensioni mostruose, che poi Mosca converte direttamente in armamenti militari”. Da allora, un fatto nuovo di enorme gravità si è aggiunto: l’Italia ha silurato il gasdotto Nabucco (che eliminava la fornitura russa passando per Georgia e Turchia) facendo trionfare South Stream, cioè l’oro di Putin».
Chi è l’eloquente speaker del vecchio ambasciatore americano? E cosa pensa quello nuovo, da poco insediatosi a via Veneto? Che relazione c’è tra l’affaire gasdotti e le attuali convulsioni della politica italiana?
Partiamo da un punto fermo in risposta all’ultima domanda: una relazione c’è, anche se nel torbido di queste settimane giocano certamente anche altri fattori. Ma di questo ci occuperemo in maniera specifica in un prossimo articolo. Chi nega questa relazione o è troppo cieco o è troppo furbo. Chi invece vuol vedere la realtà, cercando di interpretarla, non ha che da stare ai fatti. Ed i fatti sono abbastanza chiari.
Abbiamo già cercato di inquadrare la questione dell’accordo sul South Stream (vedi I tubi di Putin), ma ora nuovi elementi si aggiungono a rendere più chiara l’offensiva americana.
Notoriamente i traditori diventano (quasi?) sempre i peggiori nemici. Non sfugge a questa regola l’autore delle righe citate all’inizio. Il figuro in questione altri non è che il vecchio presidente della commissione Mitrokhin, un anticomunista a tutto tondo, che da berlusconiano di ferro si è riconvertito in un breve volgere di tempo in uno dei più accaniti accusatori del suo vecchio capo, il tutto in nome del più sfegatato filo-americanismo. Il suo nome è Paolo Guzzanti, eletto ancora nel 2008 come senatore del Pdl ed oggi “portavoce” dell’ex ambasciatore Spogli.
Ora, il personaggio vale quel vale e dunque potremmo infischiarcene. Ma, domanda, da quando in qua gli ambasciatori (od ex, che fa lo stesso) si fanno mettere in bocca affermazioni così precise senza una preventiva autorizzazione? Questa domanda diventa ancor più retorica se parliamo non di un ambasciatore qualsiasi, bensì di quello americano a Roma.
Le parole di Guzzanti avevano dunque lo scopo di far arrivare un preciso avvertimento da oltreoceano. Ma, attraverso Spogli quale America ha parlato? Quella di Obama o quella di apparati ancora legati al bushismo? La domanda è legittima, ma la risposta è arrivata il 16 settembre a mezzo stampa.
«Anche se Usa e Italia cooperano strettamente su numerosi temi, ci sono, comunque, alcune posizioni della politica estera italiana che continuano a preoccuparci». Chi parlò così il 16 luglio scorso davanti alla Commissione Esteri del Senato americano? David H. Thorne, vale a dire il nuovo ambasciatore statunitense a Roma.
Nella sua intervista di tre giorni fa al Corriere della Sera dà sfoggio di un linguaggio veramente diplomatico, ma ricordandosi di dire che: «Una delle più grandi preoccupazioni della politica americana è la dipendenza energetica dell’Europa. Che non dipenda da una sola fonte e che la diversifichi: Nord Africa, Iran, Russia…».
Gli americani a volte sono davvero commoventi: guerre umanitarie, eserciti liberatori, esportazione della democrazia, piani Marshall per lo sviluppo. Ed ora, quando in molti pensavano un po’ ingenuamente che fossero in tutt’altre faccende affaccendati, eccoli preoccupati, pensosi e propositivi a dire all’Europa quel che deve o non deve fare in materia energetica.
Ci sarebbe da sorridere, se non fosse che il dilagare dell’obamismo in una sinistra ormai decerebrata sta trasformando quest’ultima nel veicolo principale della politica e della propaganda americana.
D’altronde, nella battaglia dei gasdotti gli Usa proprio non rinunciano ad alcuna arma. Contro il North Stream, gemello settentrionale del South Stream che congiungerà il territorio russo a quello tedesco attraverso il Baltico, l’ambasciata statunitense a Stoccolma è arrivata ad acquistare spazi a pagamento sui giornali svedesi per denunciare niente di meno che i pericoli ambientali provocati dalla tubazione sui fondali marini…
Commovente, ma forse un po’ troppo.
Torniamo allora alla terza domanda iniziale: che relazione c’è tra l’affaire gasdotti e le attuali convulsioni della politica italiana? Difficile pensare che il vecchio ed il nuovo inquilino di via Veneto abbiano deciso di far sentire la loro voce – attraverso canali diversi, ma pressoché in contemporanea – senza essersi coordinati con chi tiene le redini della politica estera americana.
Un coordinamento che, venendo a casa nostra, spiega lo straordinario attivismo dell’iperatlantico Fini e del redivivo Casini. Ma spiega anche le voci sulla scesa in campo di Luca Cordero di Montezemolo.
Siamo per la cacciata di Berlusconi, ma guai a chiudere gli occhi su quello che sta avvenendo. C’è un precedente storico: quello di Craxi.
Craxi capeggiò un governo fortemente antipopolare, la sua politica era un concentrato di anticomunismo, ma la sua fine non fu decretata né dal popolo né dai comunisti. Essa fu la risultante della comunanza di interessi tra le oligarchie italiane (e non solo), che intravedevano la concretizzazione del sogno della seconda repubblica (con le annesse privatizzazioni), e la volontà americana di liquidare simbolicamente con l’uomo di Sigonella ogni velleità (anche la più modesta) di indipendenza nazionale.
Oggi la storia si ripete. Berlusconi è un personaggio ancora più squallido ed odioso di Craxi. E’ giustamente detestato per la sua politica, ed ancor più per il suo modo di gestire ed interpretare il potere. E tuttavia, se verrà davvero cacciato da Palazzo Chigi nei prossimi mesi – chi scrive tende a pensare che l’operazione in corso potrebbe miseramente fallire – non sarà certo per le manifestazioni popolari, quanto piuttosto per il solito incontro tra gli interessi delle oligarchie economico-finanziarie ed i voleri di Washington.
Si prepara dunque una situazione torbida e convulsa, uno scontro tra il blocco sociale reazionario che si riconosce in Berlusconi e l’élite finanziario-mediatica sostenuta dagli Usa.
Non facciamoci illusioni: in questo scontro le masse popolari saranno inerti, od al più massa di manovra. Cerchiamo almeno di avere gli occhi aperti e la lucidità necessaria. Ce ne sarà bisogno per interpretare i prossimi passaggi, ma intanto la straordinaria loquacità degli ambasciatori americani ci fornisce già qualche preziosa indicazione.