dal Manifesto del 18 settembre
«Caro amico, ti scrivo», tanto per citare uno che entrambi amiamo, non farò il tuo nome, perché sei uno famoso. Ma anche se tu non lo fossi, sarebbe uguale: viviamo un momento difficile con molti aspetti grotteschi, il che è un aggravante. Ma proprio per questo bisogna essere vigili e coraggiosi: combattere le nostre contraddizioni e le nostre viltà. Tutti: quelli che hanno un nome e quelli che «non sono nessuno».
Oggi (ieri, ndr.) è il 17 settembre 2009: un giorno triste per il nostro paese. In Afghanistan sono caduti sei nostri concittadini, sei soldati delle nostre forze armate: e forse il bilancio è destinato ad appesantirsi con il passar delle ore. Non possiamo esserne che profondamente addolorati: perché erano esseri umani, perché erano giovani e lasciano famiglie nel dolore, perché erano connazionali. Ma tutto ciò pone a tutti noi – e soprattutto a voialtri di sinistra – un grave e inderogabile interrogativo in più.
Abbiamo sentito le dichiarazioni dei politici: addolorate tutte, e questo va da sé (che il dolore sia sincero, è un altro paio di maniche). Ma al di là di ciò, e con pochissime eccezioni, uno squallore. Tambureggiar di retorica da «armiamoci-e-partite» nel centrodestra, fra quei politici che di quei morti sono i veri responsabili perché hanno sempre con retorica pelosa difeso l’indifendibile occupazione dell’Afghanistan; fra quelli per i quali «la patria si difende anche facendo la guardia a un bidone di benzina» (anche quando si tratti di benzina altrui: di quella della californiana Unocal, per esempio). Ma è comprensibile che nel centrodestra si parli così: difesa della pace, della sicurezza e della democrazia contro il terrorismo, per mascherare un’operazione postcolonialista ispirata a un disegno geopolitico idiota e criminale, un’aggressione degli Usa e della Nato travestita da «liberazione». Liberazione di chi, da chi e da che cosa? Dinanzi alla Resistenza degli afghani (perché, caro amico, quella è una Resistenza), il motto dei sostenitori dell’occupazione potrebb’essere solo uno: «Fuori gli afghani dall’Afghanistan!».
Ma siamo tutti d’accordo, spero, che sarebbe pretesa eccessiva quella di chiedere solo di subire a chi deve sopportare un’aggressione in casa sua. Eppure, mi duole dirlo, ma la destra è nonostante tutto in questa circostanza più decorosa di parte della sinistra. Quando sento La Russa parlare di «vile attentato» e di «eroici combattenti», so perfettamente a che cosa pensa e a quale analogia storica allude. Perché, lo si voglia o no, l’Afghanistan 2009 somiglia in modo impressionante all’Italia e all’Europa 1944: da una parte un esercito invasore spalleggiato da alcuni collaborazionisti, dall’altra una variopinta e discorde armata che litigava quasi su tutto, ma che su una cosa era d’accordo. Che gl’invasori andavano cacciati. E a loro volta, per gli invasori e i loro alleati, i patrioti erano «banditi», «terroristi», «ribelli», «assassini», «vili». E gli invasori, mentre si comportavano con durezza e spietatezza, pretendevano d’essere nel giusto e di operare nello stesso bene delle popolazioni che opprimevano; e tra loro non mancavano (al contrario!) tante persone buone e in buona fede, mentre dall’altra parte non mancavano episodi di crudeltà e di ferocia.
Mentre La Russa parla, egli traccia probabilmente un’equazione mentale tra Wehrmacht e Salò da una parte, corpo di spedizione Nato dall’altra: e si sente a suo agio e perfino a posto con la coscienza. Caro amico, abbiamo litigato tante volte sui temi della guerra civile e della Resistenza: e sai bene che io ho tante volte difeso le ragioni dei tedeschi e dei fascisti. I paragoni zoppicano sempre: ed è evidente che quando c’è una guerra non c’è mai nessuno che abbia del tutto torto o del tutto ragione, e che comunque l’Europa del ’44 non è esattamente l’Afghanistan del 2009. Eppure, alla fine di tutto bisogna pur sempre avere il coraggio di giudicare e di decidere da che parte stare.
Proprio alla luce di ciò, un afghano che lotti per cacciare un esercito straniero armato dal suo paese può anche essere un fanatico religioso (come ieri poteva anche essere un maledetto stalinista): ma non si possono negare le sue ragioni, né derubricare a «terrorismo» la sua testimonianza e il suo sacrificio.
Eppure, le dichiarazioni di buona parte dei rappresentanti della sinistra hanno finito col dar quasi ragione al patriottardismo della destra asservita alla volontà degli Usa e della Nato. Ora, se le destre fingono di non accorgersi che in Iraq come in Afghanistan i nostri soldati sono ridotti a far da ascari (con tutto il rispetto per i soldati: e naturalmente anche per gli ascari), sono affari loro. Ma è mai possibile che pochissimi, a sinistra, trovino il coraggio di dire alto e chiaro che il nostro esercito è stato coinvolto in spedizioni infami e senza via d’uscita e che i militari che sono andati là vi sono stati attratti non solo dal senso del dovere (là dove esso sia sentito), ma anche dall’avventura e magari dalle prospettive di alti ingaggi e di promozioni, quando non addirittura da malsane opzioni ideologiche come qua e là invece affiorato da certe pur isolate dichiarazioni? È mai possibile che nessuno additi nel servilismo cinico dei nostri governanti di oggi il vero responsabile della morte dei nostri ragazzi in uniforme, sacrificati a un calcolo politico-diplomatico e a qualche prospettiva di interesse non già «nazionale», bensì lobbistico?
Ed è infine possibile, mio caro amico, che TU inghiotta tutto questo? Se continui a tacere, ti giuro che la prossima volta che mi parli di Resistenza ti mando affanculo.
Con affetto.