Sulla questione afghana, ed in particolare sulla posizione della sinistra marxista sulla resistenza di quel paese, proponiamo questo intervento di Nick K. pubblicato tra le “opinioni” sul sito del Socialist Workers Party (Usa).
La sinistra dovrebbe augurarsi la vittoria dei Talebani?
di Nick K.
Come socialisti, sosteniamo il diritto dei popoli oppressi a combattere per le propria auto-determinazione senza riserve, così come ci opponiamo all’imperialismo senza distinzioni.
Questa prospettiva è generalmente accettata senza problemi dalla sinistra in contesti quali l’America Latina o l’Africa, dove si è combattuto aspramente contro l’imperialismo americano ed europeo e, in alcuni casi, con successo.
Eppure oggi, quando si parla di Medio Oriente e di Afghanistan, improvvisamente c’è molto meno chiarezza su quello che dovrebbero dire i marxisti e la sinistra “radicale”.
In nessun luogo è più evidente che nel caso dell’Afghanistan, che soffre sotto il giogo americano fin dal 2001 (con una attiva ingerenza nella politica del paese almeno a partire dagli anni ’70).
L’idea secondo la quale si dovrebbero appoggiare i Talebani, in quanto movimento che combatte contro l’occupazione americana, sfortunatamente è alquanto controversa, persino all’estrema sinistra.
Questo è un grave errore che dimostra sia fino a che punto l’islamofobia è penetrata nella sinistra, sia la mancanza di comprensione delle dinamiche sociali di un paese oppresso e devastato come l’Afghanistan.
Conosciamo bene le menzogne e i pretesti messi in campo per giustificare l’invasione e l’occupazione dell’Afghanistan in seguito agli attacchi dell’11 settembre. Bush e la sua consorteria di imbroglioni e di guerrafondai ci raccontò che solo un’invasione militare poteva liberare il popolo, e specialmente le donne, dell’Afghanistan dal movimento talebano brutale, misogino e “medievale”.
Non si faceva cenno, naturalmente, né al sostegno sostanziale offerto al regime talebano alla fine degli anni ’90, quando era presidente Clinton, e nei primi tempi della presidenza Bush, né alla lunga e brutta storia degli interventi americani nell’Asia centrale e meridionale, che sono stati un’importante pre-condizione dell’affermarsi dell’Islamismo.
Dovremmo condannare senza riserve l’oppressione delle donne e il generale conservatorismo del regime talebano pre-2001 come pure, naturalmente, la loro volontà di rompere i rapporti con gli altri paesi della regione contro gli interessi della grande maggioranza degli afghani. Comunque, dobbiamo anche condannare senza riserve il razzismo e l’islalmofobia usati come foglia di fico ideologica per giustificare l’invasione e l’imperialismo. Ed è la debolezza della sinistra su questa questione, che ha reso ciechi molti di fronte a quello che di nuovo sta accadendo sul terreno in Afghanistan.
Prima di chiedersi chi siano realmente i Talebani, è importante capire quali condizioni materiali devono affrontare gli afghani.
L’Afghanistan è un paese devastato. Occupa uno degli ultimi gradini nella scala di una vasta gamma di indicatori sociali: livello di povertà, mortalità infantile, alfabetizzazione, reddito pro capite, rilevante presenza di malattie facilmente prevenibili e così via.
La maggior parte delle città dell’Afghanistan, inclusa la capitale Kabul, sono in rovina (nonostante le presunte “ricostruzioni” degli imperialisti della NATO) e strade decenti, elettricità, acqua potabile, servizi sanitari e sociali di base sono sconosciuti alla maggior parte della popolazione, specialmente nelle zone rurali. La maggioranza della popolazione sbarca il lunario a livello di pura sussistenza; la lotta per la sopravvivenza è la principale preoccupazione per i più.
In poche parole, non si può parlare di una classe lavoratrice afghana o di una piccola borghesia progressista.
Le principali classi sociali (per non parlare del regime fantoccio e del suo contorno di banditi e delinquenti) sono rappresentate da contadini poveri e clero islamico.
Il peso di queste considerazioni nel dibattito sulla resistenza anti-imperialista che si svolge in Afghanistan dovrebbe essere ovvio per tutti coloro che si richiamano al materialismo storico.
La questione non può essere affrontata in astratto. Deve essere considerata alla luce delle condizioni materiali sul terreno. Tali condizioni sono necessariamente legate alle forze sociali e al carattere della lotta di classe in quel paese e fanno capire che qualunque resistenza nelle campagne avrà un forte carattere religioso, dato che il clero rurale è l’unica forza capace di unire i contadini contro una classe di governo al soldo degli occupanti.
Questo punto non sarà mai abbastanza sottolineato: finché gli Stati Uniti rimarranno in Afghanistan lo sviluppo sociale ed economico non andrà oltre gli attuali livelli.
Ciò significa che i Talebani, in quanto movimento capillarmente diffuso fra i contadini poveri e il basso clero, rappresenteranno la resistenza anti-imperialista per il prossimo futuro.
In altre parole, se noi, anti-imperialisti dichiarati, indendiamo aspettare un movimento di resistenza che concordi con noi su tutte le questioni, inclusa la necessità di combattere l’oppressione delle donne, dei gay, delle minoranze etniche e religiose, ecc. dovremo aspettare a lungo.
I TALEBANI SONO LA RESISTENZA in Afghanistan e noi dobbiamo sostenerli, criticamente, ma senza riserve.
I talebani che governavano l’Afghanistan prima dell’invasione americana non esistono più. Gli Stati Uniti e la NATO sostengono che tutte le azioni di resistenza sono opera dei “Talebani” (intendendo i seguaci del Mullah Omar) così come ogni azione della resistenza in Iraq era definita come opera dei “Baathisti”.
Certamente ci sono attacchi messi a segno da sostenitori del precedente regime, ma molti, forse la maggior parte, membri della resistenza non hanno alcun legame con la vecchia leadership e alcuni sono addirittura ostili nei suoi confronti.
Anand Gopal, uno dei pochi giornalisti indipendenti che tentano davvero di capire quello che succede in Afghanistan, ha scritto articoli molto acuti su questo argomento. In particolare ha messo in evidenza il fatto che le fila dei Talebani sono state ingrossate negli ultimi anni dai contadini che hanno radicalizzato la loro lotta in conseguenza della brutalità degli Stati Uniti e della NATO, soprattutto degli attacchi aerei indiscriminati che hanno ucciso migliaia di afghani.
I Talebani lanciano sempre di più un forte messaggio nazionalista, hanno considerevolmente ridimensionato il loro conservatorismo sociale allo scopo di costruire un movimento di resistenza più vasto ed efficace.
“Talebani” è un termine generico che sottende una coalizione di gruppi, alcuni dei quali provenienti dai minuscoli strati della classe media colta, che vogliono cacciare le truppe straniere dal loro paese.
In breve, quando gli Stati Uniti e i loro alleati usano il termine “Talebani” vogliono che pensiamo a pubbliche lapidazioni, al bando della musica, e a un clero ultra-conservatore.
Se diamo retta alla loro propaganda facciamo un grave danno alla resistenza afghana e contribuiamo a perpetuare le caricature islamofobiche di “folli estremisti con la barba”.
Non c’è alcuna differenza sostanziale fra i movimenti della teologia della liberazione e i movimenti di resistenza popolare islamista in Medio Oriente e in Asia, movimenti quali Hezbollah, Hamas, e i Talebani. Per la verità, i primi erano meno conservatori sul piano sociale ma, in quanto movimenti di resistenza di contadini con connotazioni religiose, hanno essenzialmente la stessa matrice di classe.
La sinistra deve interrogarsi sul perché è molto più critica nei confronti dei musulmani che esprimono la loro ribellione in forma religiosa che nei confronti dei cristiani sud-americani; secondo me una acritica islamofobia spiega molta parte di questa differenza di atteggiamento.
Ogni carrarmato americano e NATO che i Talebani distruggono, ogni scagnozzo di Karzai che uccidono e ogni città o villaggio che liberano è una vittoria per la nostra parte e un duro colpo contro l’imperialismo americano.
Faremmo bene a ricordarlo e a dare la nostra solidarietà e il nostro sostegno alla vittoria dei Talebani in Afghanistan.
da http://socialistworker.org/2009/08/18/should-the-left-call-for-taliban-victory
Traduzione di Nadia Ferro