Ci ha scritto un lettore che per capire chi è Mario Draghi basta guardargli la faccia.
Forse non ha tutti i torti. Di sicuro un’attenta lettura del discorso del 13 ottobre al Collegio Carlo Alberto ci restituisce un’immagine nitida quanto odiosa del governatore di Bankitalia: quella del banchiere che chiede ancora sacrifici, e che lo fa spiegando al popolo di non aver ancora capito quanto lui e quelli come lui sono riusciti ad immiserirne la condizione materiale in questi anni.
Insomma, Draghi prima di chiedere nuovi sacrifici in materia pensionistica, rivendica il massacro sociale fin qui compiuto. Un massacro non ancora apprezzato nella sua reale dimensione dai lavoratori che – ecco la sua accusa – proprio per questo continuano a voler andare in pensione il prima possibile, che se sapessero quale pensione li aspetta non ci andrebbero più.

 

Qual è allora la risposta a questa situazione? Per questa straordinaria faccia tosta, tanto amata dal centrosinistra, la risposta è molto semplice: aumentare ulteriormente l’età pensionabile.
Ecco il passaggio centrale del suo discorso: «per assicurare prestazioni di importo adeguato ad un numero crescente di pensionati è indispensabile un aumento significativo dell’età media effettiva di pensionamento».
Questa frase è un vero capolavoro. Da una parte è un monumento all’ovvietà: i lavoratori sanno benissimo che dopo le controriforme degli ultimi 15 anni si è costretti a rimandare sempre di più l’uscita dal lavoro, al di là dei limiti di legge, se si vogliono pensioni che non siano proprio da fame. Dall’altra si parla di «importo adeguato», ma non lo si quantifica. Gli ottimisti potrebbero credere che il governatore pensi ad una rivalutazione rispetto ai livelli pensionistici attesi per il futuro, questi veramente da fame. Errore, l’unica cosa che egli pensa ed esplicita è che «è indispensabile un aumento significativo dell’età media effettiva di pensionamento». Questo è il punto, questo è il messaggio.

Per comprendere il disprezzo che costui prova per milioni di lavoratori basta leggere questo brano:
«L’aumento dell’età di pensionamento è ostacolata dal fatto che molti lavoratori sovrastimano la generosità delle attuali regole pensionistiche. Nello scegliere quando andare in pensione essi, inoltre, tendono a confrontare la prima pensione con l’ultimo stipendio, senza tener conto che negli anni di pensionamento tale rapporto andrà riducendosi, poiché i trattamenti sono indicizzati solo ai prezzi e non ai salari. Sarebbero utili una migliore informazione ed eventualmente una revisione dei criteri di indicizzazione, in cui l’introduzione di un collegamento alla dinamica delle retribuzioni fosse compensato da una riduzione dei coefficienti di calcolo della prima rata di pensione.»
Traduzione: i lavoratori, un po’ fessi, sovrastimano la pensione che avranno, allora noi dobbiamo fargli capire come stanno realmente le cose abbassandone il valore fin dalla prima rata che riceveranno. Più chiaro di così il campione del centrosinistra, l’uomo che molti vorrebbero a Palazzo Chigi, non avrebbe potuto essere.

Dove vuole arrivare costui? L’ultimo ritocco alla legge sulle pensioni (vedi Ancora le pensioni sotto attacco) già prevede l’aggancio automatico dell’età pensionabile alla “aspettativa di vita”, un aggancio che già oggi penalizza il valore delle pensioni e che dal 2015 le farà progressivamente slittare verso un’età sempre più avanzata. Il massacro sociale è dunque già compiuto, ma a lorsignori non gli basta mai.
Ma la cosa incredibile è che il sistema pensionistico non è solo in equilibrio, è addirittura in attivo.
Titolo del Corriere della Sera (Focus Pensioni e conti pubblici) del 16 settembre scorso: «La previdenza offre al bilancio del Tesoro 11,3 miliardi». Commento di Tremonti: «Meno male che abbiamo l’Inps». Insomma, il bilancio previdenziale ha un attivo enorme (risultante peraltro dalla somma di numerose gestioni dai conti assai difformi) e finanzia lo Stato.
Soltanto questo paradosso dovrebbe chiudere la bocca per qualche decennio ai tagliatori di pensioni. Casomai la parola se la dovrebbero riprendere i lavoratori ed i pensionati. Ed invece no, all’attacco è il signor Mario Draghi che obbliga alla differenziazione perfino il governo e la stessa Inps, costretti a precisare che l’allarme del governatore non ha alcun fondamento.

Per capire l’obiettivo di Draghi è necessario a questo punto ripercorrerne brevemente la carriera. Tra il 1984 ed il 1990 Draghi è direttore esecutivo della Banca Mondiale. Dal 1991 al 2001 è direttore generale del Ministero del Tesoro. Ricordiamoci le finanziarie di quegli anni e soprattutto le privatizzazioni. In quel decennio l’Italia conquistò il record mondiale delle privatizzazioni e Draghi ne è unanimemente considerato il principale artefice. Sta di fatto che nel periodo 1993-2001 presiede il Comitato Privatizzazioni.
Dal 2002 al 2005 entra a far parte del management della Goldman Sachs, che lo restituisce all’Italia affinché vada a prendersi la poltrona di governatore di Bankitalia. Attualmente è anche presidente del Financial Stability Board, un organismo del G20 di cui fanno parte governi, banche centrali ed altre istituzioni finanziarie con il compito di perseguire la “stabilità finanziaria”.
Insomma, da un quarto di secolo costui è ai vertici della finanza mondiale e ne rappresenta in maniera eclatante sia gli interessi economici che quelli politici.

Parlando di pensioni, gli interessi economici sono evidenti: facilitare in tutti i modi il processo di privatizzazione della previdenza. Qui il privatizzatore ed il taglieggiatore si sposano alla perfezione, trovando la sintesi nella faccia di bronzo del governatore. Ma ci sono anche interessi politici, tra tutti quello di preparare le classi popolari ad una nuova ondata di sacrifici. A chi altri far pagare altrimenti l’enorme dilatazione del debito pubblico causata dai salvataggi di banche e imprese operati in quest’ultimo anno? La questione non è solo italiana, ma Draghi, come abbiamo visto, svolge in contemporanea diversi mestieri.
E tra questi non esclude di certo un futuro incarico di governo. Del resto sia Ciampi che Dini hanno avuto un percorso analogo, e l’ipotesi di un governo “tecnico” (che in questo caso più che mai sarebbe solo il governo del grande capitale) fa capolino sempre più spesso. E ieri il governatore parlava davanti ad una platea di banchieri ed industriali, con il vertice della Fiat in bella evidenza, che vorrebbe vederlo quanto prima a Palazzo Chigi. 
Teniamolo a mente e ricordiamoci soprattutto chi è Mario Draghi: il peggiore di tutti, per la sua internità alle oligarchie finanziarie, per il suo stretto rapporto con il nugolo di avvoltoi che si avventò sulle aziende da lui stesso privatizzate, per i suoi legami con i centri di potere statunitensi che gli hanno non a caso delegato il ruolo di “uomo della finanza” del G20.
Questo è Mario Draghi. E proprio per queste sue qualità negative si può essere certi di ritrovarselo tra i piedi nei prossimi passaggi della crisi politica ed istituzionale di questa torbida fase della vita nazionale.