Il 16 ottobre scorso il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU ha esaminato il rapporto predisposto dalla Commissione Goldstone sui crimini di guerra e i crimini contro l’umanità verificatisi durante la guerra di Gaza, avviata da Israele il 27 dicembre 2008 sotto il nome “Operazione piombo fuso”, e terminata il 18 gennaio 2009.

 

Avevo precedentemente evidenziato come il rapporto Goldstone fosse viziato dalla sua premessa di fondo, cioè l’aver posto su un piano di eguaglianza le due parti belligeranti, e avevo ribadito ancora una volta la differenza fra Israele che occupa la terra di Palestina da un lato, e, dall’altro, il popolo palestinese con le sue organizzazioni, anche politico – militari, che resiste.

Il Consiglio per i Diritti Umani, che ha sede a Ginevra ed è composto da 47 paesi, a larga maggioranza (25 voti a favore, 6 contrari capitanati dal USA e Italia, 16 fra astenuti e assenti) ha approvato il rapporto emettendo una risoluzione in cui accusa Israele di crimini di guerra e contro l’umanità per aver inflitto una punizione collettiva ai palestinesi e ordinando a Israele di presentare entro 6 mesi una sua inchiesta, trascorsi i quali il Consiglio di Sicurezza dell’ONU dovrà valutare l’apertura di un processo internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità davanti all’Alta Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja. Rispetto al rapporto Goldstone il Consiglio, consapevole della differenza sia formale che sostanziale fra i due belligeranti, ha corretto un po’ il tiro perché ridimensiona le responsabilità che il rapporto aveva attribuito ad Hamas (uso di scudi umani e lancio di razzi Qassam sulle città del sud israeliano), invitandolo genericamente ad indagare.

Occorre ricordare che, nonostante la sua equidistanza, il rapporto Goldstone fu fortemente contestato da Israele fin dal momento della sua presentazione lo scorso settembre in occasione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e che, con la compiacente collaborazione dell’Autorità Nazionale Palestinese – ANP nella persona del presidente Abu Mazen, l’occupante sionista era riuscito ad ottenere un differimento dell’esame del rapporto da parte del Consiglio per i Diritti Umani e quindi della sua eventuale successiva trasmissione al Consiglio di Sicurezza. Le decise proteste dei palestinesi hanno indotto l’ANP a recedere dal suo atteggiamento collaborazionista e così il Consiglio ha potuto esaminare il rapporto e ad emettere la sua risoluzione.

I palestinesi hanno valutato la risoluzione in termini molto sobri ed interlocutori. L’ANP, tramite Nabil Abu Rdneh, portavoce di Abu Mazen, ha detto: “L’importante è che queste parole si traducano in maggior sicurezza per noi”; il dirigente di Hamas Taher Al Nounou ha dichiarato: “Speriamo che questo voto porti a un processo degli occupanti sionisti”.

Invece, puntualmente, sono arrivate le lamentele di Israele supportate dai sionisti di tutto il mondo, italiani compresi, che si riassumono nei seguenti punti: la risoluzione del Consiglio è totalmente squilibrata a favore dei “terroristi” e pertanto legittima le loro azioni, quindi compromette il c.d. processo di pace perché Israele non può certo “fare concessioni” se la sua sicurezza è a rischio, e inoltre può criminalizzare tutte le altre operazioni finalizzate all’annientamento del “terrorismo”, quali ad esempio la guerra in Afghanistan o il comportamento dei russi in Cecenia; Israele è stato correttissimo perché durante l’ “Operazione piombo fuso” si è sempre premurato di avvisare, con telefonate a mezzo di apposito call center, la popolazione residente nelle zone della Striscia di volta in volta interessate dai bombardamenti, popolazione che però è stata costretta dai “terroristi” di Hamas a non allontanarsi e a fungere da scudo umano. Peccato però che Israele ometta un “dettaglio”: la Striscia è di dimensioni ridottissime (lunghezza media: 40 Km; larghezza media: 12 Km) ed è circondata dell’esercito sionista e dai soldati egiziani, per cui non ci sono luoghi sicuri e nessuno può uscire dai suoi confini. Quindi i suoi cittadini, gentilmente avvisati dal call center, avrebbero potuto salvarsi dai bombardamenti solo mettendosi una pietra al collo e gettandosi a morire nel Mediterraneo, sempre che i soldati israeliani appostati in mare non li avessero centrati prima.

Infine l’ “unica democrazia del Medio Oriente” conclude affermando (anche per bocca dei suoi più prestigiosi intellettuali quali il giurista Moshe Hirsh, docente di diritto internazionale alla Hebrew University, Corriere della Sera del 17 ottobre 2009 pag.12) che la risoluzione del Consiglio comunque non avrà nessuna conseguenza se non un danno di immagine, perché – ad eccezione di Russia e Cina – è stata votata solo da paesi islamici, da paesi riconducibili ai “non allineati” e da paesi del terzo mondo, cioè da paesi che non contano un cazzo, e in Consiglio di Sicurezza ci penseranno gli Stati Uniti a mettere a posto ogni cosa opponendo il veto.

E’ certo che il Consiglio di Sicurezza, una volta che sia investito della questione, non incriminerà Israele davanti alla Corte dell’Aja, come invece è avvenuto per il presidente Al Bashir colpevole di contrastare le ingerenze imperialistiche che mirano alla disgregazione del Sudan.
Ma è altrettanto certo che i palestinesi, nonostante la probabile ennesima bastonatura da parte del Consiglio di Sicurezza, continueranno a resistere.