Chi abbia visto lunedì sera Porta a Porta, dedicato alla proposta che la religione musulmana sia insegnata nelle scuole pubbliche, avrà notato, oltre alla untuosa piaggeria del conduttore Vespa, i ragionamenti strampalati e la faccia tosta dell’arcivescovo Rino Fisichella, nonché rettore della Pontificia Università Lateranense. L’islamofobia di contrabbando sprizzava da tutti i pori. Il culmine è stato raggiunto col servizio col quale si è chiusa la trasmissione, la notizia raccapricciante della crocifissione di sette cristiani uccisi in Sudan “per mano di sicari jihadisti agli ordini del governo sudanese di al-Bashir”. Una deliberata e vergognosa menzogna.
Da dove viene l’informazione di questo eccidio di cristiani? L’aveva pubblicata il Corriere della Sera del 16 ottobre, con titoli a caratteri cubitali. Il Corriere l’ha ripresa a sua volta da Radio Vaticana, che aveva mandato in onda il racconto di Monsignor Hiiboro Kussala, vescovo della diocesi di Tombura Yambio, nell’estremo meridione del Sudan. Il vescovo segnalava come la zona sia teatro di violenze e scontri a sfondo tribale ed etnico, ma attribuiva la responsabillità del massacro, che sarebbe stato compiuto il 13 agosto, a “gruppi ribelli legati a Khartoum”, di qui l’accusa diretta al Presidente al-Bashir. Il vescovo è stato ancora più preciso: “I ribelli che ripetutamente colpiscono le nostre parrocchie sono stati istruiti da Al-Qaeda e sono stati istruiti in Afghanistan”.
Ma come stanno davvero le cose? Stanno che gli stati meridionali del Sudan, in particolare quelli di Western Equatorial, Central Equatorial e Eastern Equatorial, i quali teoricamente sono sotto la giurisdizione del SPLA (Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese) – vedi l’articolo Sudan, nuovi scontri nel sud del paese – conoscono da anni una situazione segnata da scontri tra diverse tribù ed etnie, di cui nessuno riesce a venire a capo. La confessione religiosa c’entra come i cavoli a merenda, visto che quasi sempre si tratta di violenze e rappresaglie tra tribù cristiane (anche se il cristianesimo sincretistico praticato in queste zone remote ha poco a che vedere con quello che possiamo immaginare). Le vere cause dei conflitti sono l’estrema povertà in cui vivono queste popolazioni, consolidati attriti etnici e la brama di potere di alcuni capibastone locali, attriti che danno spesso vita a interminabili faide.
Nel caso specifico dell’eccidio avvenuto nella zona di Yambio, la responsabilità di quest’ultimo, come hanno reso noto le diverse agenzie che ne diedero notizia (e come ha confermato la stessa agenzia cattolica Misna), ricade sulle spalle del Lord’s Resistance Army, il cui famigerato leader è Joseph Kony, e conosciuto alle cronache per i suoi gesti efferati. Il LRA è forse un gruppo sudanese? Nient’affatto! E un gruppo ugandese, fondamentalmente della tribù degli Acholi, da sempre ostile al governo di Kampala. E’ forse il LRA un gruppo islamista? Neanche per sogno! Esso si vanta anzi di essere di fede cristiana, una fede vicina a certe sette protestanti cristianiste nordamericane per la precisione. In una delle poche interviste concesse dai leaders del LRA, alla domanda su quale fosse il loro programma politico, essi risposero: “una società fondata sui Dieci Comandamenti” (sic!).
http://www.irinnews.org/InDepthMain.aspx?InDepthId=58&ReportId=72472
L’accusa che il LRA sia al soldo o ubbidisca al governo sudanese è quindi una palese menzogna. Quest’accusa, senza che mai venisse provata, venne rivolta dall’intelligence USA anni addietro. Sono le stesse agenzie americane che oggi tuttavia smentiscono qualsivoglia legame tra Khartoum e i banditi del LRA, sottolineando come, al contrario, le autorità sudanesi stiano cooperando con l’Uganda per smantellare gli eventuali santuari del LRA nell’estremo meridione del paese. E’ quindi di una gravità inaudita che la chiesa cattolica, per bocca di un suo vescovo, diffonda simili fanfaluche, inventandosi addirittura di sana pianta la sciocchezza della presenza nel Sudan equatoriale di miliziani jihadisti!
E’ fin troppo evidente che questa false accuse fanno parte di una campagna internazionale contro il Sudan, tesa a porre in cattiva luce le autorità di Khartoum, e quindi a preparare il terreno per strangolare definitivamente questo paese. Campagna che vede la chiesa cattolica nonché l’Italia (e parliamo di entrambi gli schieramenti) in prima linea nel diffondere bugie, completamente allineati con gli Stati Uniti. Una campagna che in vista delle elezioni annunciate per la prossima primavera, ne siamo sicuri, diventerà ancor più massiccia e sfrontata.
Un altro avviso l’avemmo nell’agosto scorso, in occasione dell’arresto a Khartoum della giornalista Lubna Ahmed Hussein. All’unisono i media occidentali riportarono la notizia che la giornalista era stata accusata di violare la Sharia perché sorpresa in un ristorante mentre beveva alcol e indossava pantaloni. Venne gridato alla scandalo dato che venne condannata a 40 frustate.
Anche in questo caso, da una mezza verità i media costruirono un caso su una colossale bugia.
Anzitutto non è vero che in Sudan sia in vigore la Sharia. Proprio la sua rimozione (venne introdotta ai tempi di al-Turabi) è uno dei punti qualificanti dell’accordo di pace ancora in vigore tra Khartoum e la guerriglia sudista del SPLA. Basta poi girare per le strade di Khartoum per rendersene conto, e notare come si vedano qui meno donne velate che al Cairo o ad Algeri.
Ma non era vero che la giornalista venne arrestata perché beveva alcol o vestiva all’occidentale. I fatti stanno che davanti ad un ordinario controllo di polizia la giornalista, esibendo un lasciapassare delle Nazioni Unite (ricordiamo che questo non è certo percepito in Sudan come titolo di merito vista l’ostilità dell’ONU e le sanzioni in vigore), insultò i poliziotti e oppose una furibonda resistenza. E non è vero che venne frustata: venne condannata a pagare una multa di 500 sterline sudanesi.