Diana Blefari Melazzi è stata “suicidata”

Ora i giornali speculano sulla sua morte. E la parola magica è “mistero”. Il titolo di testa della prima pagina del Corriere della Sera di oggi è una vera perla di disinformazione, disonestà, depistaggio: «Si impicca la br dei misteri». Ma quale mistero, oltre a quello che porta sempre inevitabilmente con sé ogni individuo che arriva ad una scelta così estrema? Ovviamente, né il Corriere né gli altri organi di stampa ce lo dicono.

In questa vicenda non c’è in realtà alcun mistero. Blefari Melazzi stava male, molto male, da circa quattro anni. E la sua malattia si era aggravata negli ultimi tempi. La cosa era arcinota, ma lo Stato ha deciso di essere implacabile. E in questo Stato autoritario e poliziesco, neppure una grave malattia psichiatrica come quella che l’aveva colpita poteva dischiudergli la porta del carcere.

Ora ci tocca leggere le vergognose dichiarazione del ministro della giustizia Alfano, per il quale: «la neobrigatista era in regime di detenzione comune e in una situazione carceraria compatibile con le sue condizioni psicofisiche così come stabilito dall’Autorità giudiziaria». Certo, i ministri sono abituati a mentire, ma questo è davvero troppo. Quanto fosse “compatibile” la sua situazione carceraria ce lo dice la sua impiccagione. Ed il ministro, questo lustrascarpe del capo del governo del quale non si capisce se sia più grande la disonestà o l’incompetenza, avrebbe potuto per una volta tacere.

Come avrebbe fatto meglio a star zitto Franco Ionta, il capo del DAP (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), che ha dichiarato di aver «constatato che la sistemazione era corretta, gli psichiatri parlavano di relativa tranquillità». Avrebbe dovuto tacere, ma non poteva farlo perché il lavoro sporco per cui è profumatamente pagato include evidentemente anche l’ipocrisia più spudorata.

Questi “argomenti” sono un insulto all’intelligenza, come quelle perizie che assicurano che tutto va bene ad un detenuto politico in fin di vita, mentre certificano che il più piccolo disturbo rende incompatibile il carcere a bancarottieri e tangentari.

L’accanimento con il quale lo Stato ha portato Diana Blefari Melazzi al suicidio è spiegabile solo nel clima poliziesco dell’Italia di oggi.
Pochi giorni fa c’è stata la morte di un giovane, Stefano Cucchi, deceduto nella sezione penitenziaria dell’ospedale Pertini di Roma. Il suo corpo era devastato dai segni delle botte. In ogni caso i familiari non hanno potuto vederlo, ed anche l’avvocato gli è stato negato. Ora i responsabili della struttura si “giustificano” dicendo di non aver saputo che avesse una famiglia. Perché se non l’avesse avuta la sua morte sarebbe stata accettabile?
Ma anche in questo caso non è mancata l’assoluzione preventiva di un ministro, questa volta di quello della difesa, La Russa: «Di una cosa sono certo: del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in quest’occasione». Ogni commento sarebbe davvero superfluo.

Qualcuno dubita che la violenza sia normale amministrazione nelle carceri o nell’attività di polizia? Bene, si ascolti l’audio registrato negli uffici della polizia penitenziaria di Teramo, diffuso oggi sul sito di Repubblica, in cui un poliziotto (evidentemente un “superiore”) detta le regole: «Un detenuto non si massacra in sezione, si massacra sotto». Massacrarlo in sezione è disdicevole perché si può esser visti – ed in effetti, dice uno degli interlocutori: «il negro ha visto» –, mentre farlo “sotto” è giusto e lecito, probabilmente perfino democratico, un po’ come le torture americane.

Tre fatti, in pochi giorni, ci parlano di una precisa realtà: quella di uno Stato di polizia. Una realtà nascosta dai media e che non crea alcun problema né al governo né alla finta opposizione parlamentare. Uno Stato di polizia bipartisan, bipartiticamente crudele, menzognero ed ipocrita.