Avevamo già commentato le cause e le conseguenze della strategica sconfitta militare subita dalle Tigri Tamil, culminata nel bagno di sangue compiuto dall’esercito dello Sri Lanka nel maggio scorso (manca ancora una stima attendibile delle vittime), nel quale perse la vita lo stesso leader supremo delle Tigri Velupillai Prabhakaran. Il presidente dello Sri Lanka, Mahinda Rajapakse, dichiarava il 18 maggio ufficialmente finito il quasi trentennale conflitto e prometteva alla minoranza tamil che sarebbe iniziata un’era di pace e di concordia nazionale. A cinque mesi di distanza tuttavia la popolazione tamil vive nella paura, l’esercito continua una caccia indiscriminata ai “terroristi”, mentre sono circa 250mila i cittadini reclusi, in condizioni disumane, nei campi di concentramento.

Questi campi di concentramento vengono eufemisticamente chiamati IDP-Internally Displaced People. Il governo, ovvero l’esercito, vi ha rinchiuso formalmente gli sfollati tamil che vivevano nelle aree dove sono infuriati i più recenti combattimenti. In realtà questi campi IDP funzionano come gigantesche prigioni a cielo aperto, ove i militari ammucchiano ogni cittadino sospettato di aver fatto parte della guerriglia. Dal giugno scorso, solo 13mila persone hanno potuto lasciare questi campi, tornare alle loro case e ricongiungersi con i loro familiari.

Secondo alcune organizzazioni umanitarie le condizioni di vita nei campi sono insostenibili, quelle alimentari e sanitarie indicibili, i fondamentali diritti umani calpestati. Migliaia sono i casi di persone che hanno parenti in campi limitrofi, ma ai quali è impedito muoversi per entrarvi in contatto. Tantissimi i bambini reclusi in un campo mentre i genitori sono imprigionati in un altro.
Nessuno può uscire da questi campi, nè i giornalisti vi si possono avvicinare. L’ingresso è precluso alle stesse organizzazioni umanitarie sponsorizzate dalle nazioni Unite. Gli IDP sono infatti sotto strettissima sorveglianza da parte delle autorità militari, le quali impediscono l’afflusso di aiuti da parte di diversi donatori internazionali.

A causa delle proteste internazionali il governo srilankese aveva annunciato il 22 ottobre che avrebbe rilasciato circa 40mila cittadini nei distretti di Vavuniya, Mullaitivu, Mannar e Kilinochchi, ma dalle informazioni che filtrano questa promessa non è stata mantenuta. Accade così che dei campi spacciati per “umanitari” e temporanei siano destinati a durare e funzionino come infernali penitenziari nei quali ogni elementare regola dello stato di diritto è calpestata.