Sulla situazione honduregna dopo gli accordi del 30 ottobre pubblichiamo questa interessante intervista di Maurizio Matteuzzi a Rafael Alegrìa, esponente del movimento contadino e leader di Via campesina.
Rafael Alegría è uno degli uomini-chiave del movimento internazionale contro il neo-liberismo e della resistenza honduregna contro il golpe. Leader di Via campesina e del movimento dei contadini senza terra dell’Honduras. Lui stesso è figlio di contadini emigrati a Olancho, nel centro del paese, in cerca di lavoro. È una delle stelle dei Forum sociali, amico del venezuelano Chávez, del boliviano Morales e di João Pedro Stedile.
Come il leader brasiliano dell’Mst si è formato nell’ambito della chiesa cattolica. A 13 anni ha cominciato le elementari attraverso i programmi pedagogici diffusi via radio per giovani e adulti del mondo rurale. A 17 anni era già attivo a tempo pieno in politica, poi si è laureato in diritto grazie a una borsa di studio di un’organizzazione cristiana Usa chiamata Bread for the World, pane per il mondo.
Dal ’92 è il segretario generale della Comisión Coordinadora de Organizaciones Campesinas de Honduras ed è stato fra i fondatori della Unificación Democrática, il piccolo partito della sinistra attualmente con 5 deputati in parlamento (su 128). Oggi ha 56 anni e da 40 è in prima linea nelle lotte sindacali e politiche. In luglio è stato preso per qualche ora dai golpisti per aver infranto lo stato d’emergenza. In questi giorni lo si trova tutte le mattine davanti al Congresso a incitare il popolo, i militanti, la gente che esige dal parlamento ciò che è stato pattuito e firmato negli accordi del 30 ottobre e negato dai golpisti: il reinsediamento del presidente costituzionale Manuel Zelaya.
L’accordo è stato una trappola?
È stato il sottosegretario di stato Usa Thomas Shannon a dirmi personalmente che la «restitución» sarebbe stata immediata. Zelaya e la commissione che ha negoziato a suo nome erano in buon fede, Micheletti e i suoi no…
E il ruolo degli Usa?
Obama forse no, ma pezzi dell’amministrazione Usa sapevano tutto e hanno dato il via libera al golpe prima e dopo ha tenuto una posizione molto ambivalente. È stata la fermezza dell’America latina e la resistenza del popolo dell’Honduras a impedire il riconoscimento del regime golpista. Finora.
Vi aspettavate il golpe?
Il popolo parlava ogni giorno del golpe in arrivo. Ma pensavamo di averlo sconfitto nei giorni immediatamente precedenti il 28 giugno. Il generale Vázquez, il comandante in capo, aveva pubblicamente espresso la lealtà delle forze armate a Zelaya. Come Pinochet con Allende.
Voi, come resistenza e blocco popolare, vi fidate di Zelaya?
Non a occhi chiusi. È un uomo dell’oligarchia anche lui. Ma oggi è cambiato. Nei primi due anni di governo ha flirtato con il modello economico dell’oligarchia poi si è avvicinato ai settori popolari. Noi abbiamo cominciato ad appoggiarlo pienamente solo a partire da giugno, quando ha annunciato il referendum consultivo sulla costituente. Che è poi stato il pretesto per il golpe.
Quali errori ha commesso? Cosa gli rimproverate?
L’errore tattico maggiore è stato quando ha destituito il generale Vázquez senza nominare immediatamente un nuovo capo delle forze armate, dandogli il tempo di recuperare. Più in generale, la sua tendenza a decidere da solo, magari cose buone come l’adesione all’Alba o l’aumento del salario medio, salvo chiedere l’appoggio dei settori popolari a posteriori. E poi la sua ambiguità sul piano ideologico e politico. Come diciamo noi qui, in realtà non ha toccato un pelo alla borghesia.
Le accuse di puntare alla rielezione?
Non c’era alcuna possibilità di puntare alla rielezione. In realtà quello di cui ha paura l’oligarchia è il cambiamento, qualsiasi cambiamento esso sia, e la consultazione popolare che doveva decidere di scrivere una nuova costituzione era l’inizio di un cambiamento.
E le accuse di essersi gettato nelle braccia di Hugo Chávez?
Mentiras. Zelaya è andato due volte da Bush per chiedergli altri aiuti per l’Honduras. Solo dopo i ripetuti no si è rivolto verso Chávez e ha aderito all’Alba e a Petrocaribe. Che voleva dire petrolio a buon mercato, crediti blandi, trattori… E’ allora che sono cominciati gli attacchi feroci dell’oligarchia e dei suoi media: Zelaya sotto il dominio di Chávez, Zelaya che porta l’Honduras al socialismo…
Ma in Venezuela, almeno, Chávez ha i militari dalla sua parte…
Noi sappiamo per certo che ci sono forti dissensi interni alle forze armate, almeno a livello medio della gerarchia.
E ora?
Il golpe è stato una tragedia, ma può essere anche un’occasione. Perché ha prodotto l’unità delle forze politiche e sociali progressiste. Perché ha provocato una crescita enorme e rapidissima del livello di coscienza. Perché il popolo ha capito chi sono i suoi amici e i suoi nemici. Non sarà per queste elezioni, ma nel 2013 sarà un’altra storia. L’Honduras di prima del 28 giugno non è più lo stesso Honduras di dopo il 28 giugno. Il golpe è stato uno spartiacque.
dal Manifesto del 7 novembre