Il risultato è che, nonostante il gran dibattere, ancora non è stato trovato un ragionevole compromesso fra le varie ipotesi di soluzione; pertanto i cittadini tutti (soprattutto coloro che come me possiedono un cane) continueranno a perdere il sonno, domandandosi se il voto finale su tale questione sottostarà al vincolo di coalizione oppure sarà lasciata libertà di coscienza e soprattutto come voterà l’on. Binetti.
Mentre nelle aule andava in onda questo dramma canino, nelle stanze più segrete dei palazzi l’on. nonché avvocato di fiducia del presidente del consiglio Ghedini partoriva la sua ennesima perla giuridica, cioè il disegno di legge sul “processo breve”, sulla quale però come al solito evitava di apporre la sua firma e quindi di assumersi la responsabilità, squisitamente politica, di figurare come proponente.
Il disegno di legge, partendo dall’esigenza di parare il culo del presidente del Consiglio dopo la bocciatura del precedente parto di Ghedini, cioè il “lodo Alfano”, esigenza mascherata da sacrosanto diritto di tutti ad essere processati entro tempi ragionevolmente certi, all’art. 2 stabilisce che ciascuno dei tre gradi di giudizio, pena l’estinzione del processo, non può durare più di due anni, a partire dalla formulazione dell’imputazione per il 1° grado e dalla sentenza impugnata per i successivi due gradi (appello e cassazione). Infine, nell’ipotesi in cui la Corte di cassazione annulli una sentenza ordinando un nuovo giudizio di merito, la sentenza irrevocabile dovrà essere pronunciata entro un anno dalla decisione della Corte stessa.
Ben consapevole del fatto che il progetto ha il compito precipuo di estinguere i processi del presidente del Consiglio, il bravo Ghedini ha badato bene ad escludere dalle disposizioni che circoscrivono i tempi di ogni grado di giudizio tutta una serie di reati, individuati in base al criterio di trovare un congruo numero di senatori disposti a metterci la faccia figurando come proponenti di un disegno di legge che non fosse così manifestamente contrario al senso comune di giustizia largamente diffuso non solo fra l’elettorato di centro destra ma anche, almeno in parte, nella cittadinanza tutta.
Sono pertanto esclusi dal contingentamento dei tempi tutti i processi i cui imputati siano recidivi, tutti quelli che abbiano ad oggetto delitti con la pena massima superiore ai 10 anni di reclusione e, a prescindere dall’entità della pena massima, delitti quali, ad esempio, l’associazione a delinquere, l’incendio, la pornografia minorile, il sequestro di persona, il furto in abitazione e lo scippo, i delitti di mafia e terrorismo e il reato di immigrazione clandestina, che non è un delitto ma una contravvenzione sanzionata con ammenda.
Apriti cielo! Una canea infernale sulla irragionevolezza dei criteri di selezione dei reati esclusi dal contingentamento dei tempi processuali, irragionevolezza rimarcata non solo dall’opposizione ma anche da esponenti del centro destra con particolare qualificazione giuridica, come per esempio l’on. avv. Pecorella (Corriere della Sera del 15 novembre 2009), irragionevolezza da correggere in sede di dibattito parlamentare, pena la “mannaia” della Corte Costituzionale.
Tutti sembrano aver dimenticato un “piccolo particolare”: tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge la Repubblica ha il compito di rimuovere tutti gli ostacoli che limitino, fra l’altro, tale uguaglianza (art. 3 della Costituzione); pertanto il principio del giusto processo (art. 111 della Costituzione), che ricomprende il diritto alla ragionevole certezza dei tempi del processo, vale per tutti.
La Corte Costituzionale, una volta che fosse investita della questione relativa ad una legge che escludesse da tale diritto alcuni reati e quindi alcuni imputati, dovrebbe bocciare la legge sic et simpliciter per violazione del principio di uguaglianza, perché alcuni processi e quindi alcuni reati si estinguerebbero per prescrizione del processo mentre altri per prescrizione del reato, con conseguente disparità di trattamento delle persone coinvolte (indiziati, imputati ed eventuali parti lese), a meno che la Corte non scelga di emettere una sentenza politica, come quella a suo tempo emessa sul “lodo Schifani” che ha consentito a lor signori di riprovarci con il “lodo Alfano”.
Concludo con una domanda al presidente del Consiglio: ma che cosa aspetta a cambiare avvocato?