Nel settembre scorso segnalavamo ai nostri lettori come lo Yemen fosse sull’orlo di un collasso anche a causa della rivolta armata in corso nelle province settentrionali. La battaglia si è inasprita dagli inizi di novembre e rischia di internazionalizzarsi, visto l’intervento dell’aviazione e dell’esercito sauditi e l’accordo tra il traballante governo yemenita e gli USA, accordo con cui questi ultimi si impegnano a fornire a San’a il sostegno militare e diplomatico necessario per schiacciare la guerriglia zaydita o Houthi.

Sabato 7 novembre il presidente yemenita Ali Abdullah Saleh ha affermato che il suo esercito non fermerà la nuova offensiva in corso nelle provincia settentrionale di Saada “fino a quando la guerriglia non sarà debellata, quali che siano i costi e i martiri che essa causerà”. Facile spiegare toni tanto bellicosi e trionfalistici. Qualche giorno prima, infatti, l’Arabia Saudita gli era giunta in soccorso, lanciando truppe e aviazione all’attacco dei ribelli zayditi capeggiati da Abdul Malik al-Houthi, e penetrando in territorio yemenita. Come se non bastasse la marina saudita, il 9 novembre, cingeva le coste yemenite sul Mar Rosso con un vero e proprio blocco navale, allo scopo di tagliare quella che viene considerata la principale via di rifornimento alla guerriglia.
La baldanza del presidente verrà giustificata tre giorni più tardi, quando egli firmerà con l’alleato statunitense un accordo di cooperazione militare col quale gli USA si impegnano a fornire assistenza finanziaria, logistica e militare al regime yemenita, non solo al fine di avere la meglio sulla guerriglia del nord, ma anzitutto per puntellare il suo regime con l’acqua alla gola onde evitare che esso sia travolto dalla mobilitazione popolare.

Ma il conflitto non si è internazionalizzato solo a causa dell’intervento diretto delle forze armate saudite e l’accordo con gli americani (entrambi e da tempo stretti alleati nella cosiddetta lotta contro il terrorismo). Il 14 novembre il Majilis, il parlamento iraniano esprimeva in seduta solenne una esplicita condanna dell’intervento saudita nello Yemen, accusando entrambi di star massacrando la popolazione zaydita del nord (ricordiamo che lo zaydismo è una corrente della Shia, forte non solo nel nord dello Yemen visto che quasi il 50% degli yemeniti vi appartiene) e di mettere così a repentaglio la pace e lo status quo nell’intera regione. La presa di posizione ufficiale di Tehran va letta come risposta alle accuse saudite e yemenite secondo cui, dietro la rivolta armata zaydita ci sarebbe proprio l’Iran, nonché come messa in guardia dopo la cattura, avvenuta il 28 ottobre, di un battello con cinque iraniani a bordo, sospettati di trasportare armi per  guerriglieri. La pronta smentita di Tehran non è servita a molto, visto che sia le autorità yemenite che quelle saudite hanno scatenato proprio nelle ultime settimane una campagna mediatica al calor bianco contro l’Iran, accusato apertamente di sostenere la rivolta e di voler trasformare la guerriglia Houti in una specie di Hezbollah della penisola arabica.

Accuse che sono state amplificate il 10 novembre da tutta la stampa araba dopo che un ex-guerrigliero Houti, da poco catturato, avrebbe “rivelato” che in effetti l’Iran è il principale sponsor della guerriglia zaydita, che ufficiali dell’Hezbollah libanese avrebbero addestrato gli zayditi, e che Tehran si spingerebbe fino al punto di  auspicare la fondazione di un piccolo stato shiita indipendente che comprenda non solo la provinca di Sa’ada, ma pure le aree limitrofe di al-Jawf, Marib e Hajja. Come se non bastasse, a conferma che il conflitto nel nord dello Yemen ha ormai un peso quantomeno regionale, è giunta proprio il 9 novembre la notizia, diffusa da un portavoce dell’opposizione eritrea, che accusa il governo di Isaias Afewerki di fare da ponte all’Iran nel rifornimento, via Mar Rosso, ai combattenti zayditi.

In questo gioco di accuse e contr’accuse non poteva certo mancare al-Qaida. L’Iran e lo stesso portavoce della guerriglia zaydita hanno infatti accusato il regime yemenita di Ali Abdullah Saleh di utilizzare mercenari qaidisti nella guerra in corso. E’ plausibile quest’accusa? Sì, a giudicare dal comunicato audio postato su internet e nel quale Mohammed Bin Abdul al-Rashid, presunto capo di al-Qaida in Arabia Saudita, accusa la shia e l’Iran “di voler annichilire i sunniti” e, in perfetto stile takfirita, che “…la shia sarebbe per i sunniti un pericolo ancor più grave degli ebrei e dei cristiani”.
Nello stesso comunicato il leader qaidista ha apertamente denunciato la guerriglia zaydita di voler “conquistare tutto lo Yemen” chiamando quindi alla guerra santa. Difficile stabilire la veridicità di questo comunicato, anche se è noto come tutto il wahaabismo saudita si sia anni addietro mobilitato massicciamente accanto al governo di Sa’na per vincere le opposizioni, allora in armi nel sud dello Yemen. Non c’è bisogno di ricordare il forte legame tra wahaabismo e al-Qaida, non solo nella penisola arabica.

Dietro a tutta questa cortina fumogena resta che la guerriglia zaydita guidata da Abdul Malik al-Houthi, non solo rivendica apertamente la sua impronta antisionista e antimperialista. Smentendo la sua matrice settario-religiosa essa ha anzi sempre sottolineato come la propria battaglia sia contro il regime centrale, non solo perché fido alleato di americani e sauditi, ma perché composto di ladri e corrotti i quali, mentre vessano e affamano il popolo, si intascano i proventi degli aiuti internazionali e dell’esportazione di quel poco che il paese a fatica produce.