Siccome il governo indiano sta intensificando la repressione militare contro il movimento di liberazione degli adivasi (popolo indigeno e caste più basse) guidati dai maoisti (Naxaliti), si sta preparando un ampio fronte di difesa. Esso è sostenuto da personalità rinomate, come Arundhati Roy e altri (si veda la lettera aperta al primo ministro Manmhan Singh  con i suoi primi firmatari). Come Campo antimperialista, non solo sosteniamo e partecipiamo alla mobilitazione, ma ci impegneremo attivamente a diffonderla in tutto il mondo.

Il governo indiano ha inviato 100.000 soldati in aggiunta alle forze paramilitari e di polizia già presenti in alcune zone dell’India centrale, comprese Chhattisgarh, Orissa e Jharkhand, Maharashtra Lalgarh – Jungalmahal, area del Bengala, una vasta area abitata in prevalenza da popolazione tribale. Forze sono state ritirate dal Jammu e Kashmir e dal Nord Est, per aggiungerle ai battaglioni dei commandos, il ITBP, il COBRA e il BSF. Si parla anche di portare nel Rashtriya i Rifles, una forza paramilitare comandata direttamente dall’esercito indiano, creata soprattutto per le attività controinsurrezionali, conosciuta nei passati decenni  per la sua fama in Kashmir e nel Nord Est, e di acquistare camion bomba, bombe subdole e nuove sofisticate armi. La forza aerea è già stata inviata ed è in vista un’operazione aerea su vasta scala.

In queste regioni,  prima di questo rafforzamento militare, è stata generata una sorta di isteria relativa al “deterioramento della sicurezza interna a causa della minaccia maoista”, nel tentativo di costruire consenso per questa guerra contro il popolo indiano. Il primo ministro Manmhan Singh ha ripetutamente dichiarato che “l’estremismo di sinistra” è stato il pericolo più grave per la sicurezza interna. Ciò solleva una questione basilare: perché lo stato ha necessità andare in guerra contro la sua popolazione più indigente, impoverita e oppressa, e all’interno del suo stesso territorio?

Le zone centrali e orientali dell’India sono ricche di risorse minerali che possono essere vendute al miglior offerente. Tutto quello che si frappone fra i politici – grandi mangiatori di danaro – e questa ricchezza sono le popolazioni indigene e il loro rifiuto di consentire ai loro progetti. Un mese fa, parlando in una conferenza di capi di diversi corpi paramilitari, di intelligence e di polizia, Manmhan Singh ha dichiarato che le risorse minerali delle regioni delle popolazioni indigene restano inutilizzate a causa della resistenza, che guasta anche gli investimenti esteri.
Il Quinto Allegato della Costituzione garantisce alle popolazioni indigene pieni diritti sulle loro terre tradizionali e sulle loro foreste, e vieta alle compagnie private di estrarre su tali terre. Nel nome del contrasto ai maoisti, lo stato vuole evacuare l’intera area dagli indigeni e costringerli dentro “campi di assistenza”, in modo che terra e foreste possano essere consegnati alle multinazionali.
Questo non è una novità: fin dal 1991 la nuova politica economica ha continuamente attaccato ogni minima possibilità di accesso dei poveri alle foreste, alla terra, ai fiumi, ai diritti comuni di pascolo e ad altre risorse di proprietà comune. Questo è stato sempre giustificato in nome dello sviluppo, sia come Zone Economiche Speciali (SEZs) o minerarie sia come parco industriale. E sempre sono stati i poveri a perdere la loro terra e i loro mezzi di sussistenza. Ad esempio, a Niyamgiri nella regione di Orissa, dove vivono varie tribù Dongria, le terre sono state consegnate a compagnie multinazionali come la Vedanta,  a Jagatsinghpura alla POSCO,  a Kalinganagar alla Tatas, con conseguente immiserimento. I governanti hanno ostentato una indifferenza assoluta per la tenace resistenza del popolo.

E comunque ci sono voci in dissenso contro l’oppressione e l’espropriazione. Negli ultimi anni in tutto il paese molte persone, con o senza Naxaliti, compresi i maoisti, combattono per difendere terra e risorse. Fino ad ora la strenua resistenza degli indigeni e degli altri diseredati ha impedito alle grandi società sostenute dal governo di insinuarsi nelle ricchezze minerali dell’India centrale. Ma il governo, che  vuole disperatamente conquistare il controllo di preziose risorse, dietro richiesta delle grandi compagnie ha ora progettato una guerra totale contro le popolazioni in lotta per la propria sopravvivenza. L’obiettivo dichiarato della offensiva in corso, cioè la “sicurezza interna”, è soltanto una coltre di fumo per coprire questo saccheggio.

Lo stato ha cercato di schiacciare ogni resistenza popolare, armata o disarmata, anche in passato.  Ha ignorato la resistenza. Senza l’uso di armi, si tratti di Bhopal o del movimento “Narmada Bachao”, diversi attivisti per i diritti umani, che si sono espressamente dichiarati contro simili politiche, sono stati, allora e adesso di nuovo, presi di mira dallo stato. Esso ha anche aggredito brutalmente i contestatori a Singur, Nandigram, Lalgarh e Khammam. Come, fin dal 1947, è avvenuto in ogni operazione di controinsurrezione, anche questa guerra porterà alla morte di un immenso numero di persone, molte vite andranno perdute e molti di più saranno  coloro che resteranno senza casa. E ancora una volta una guerra sarà combattuta in nome nostro.

Il ministro dell’interno Chidambaram dopo la sua visita negli USA ha dichiarato che l’obiettivo dell’offensiva militare nelle regioni tribali è “conquistare, mantenere e sviluppare”, prendendo in prestito quanto dichiarato dal Comando Generale statunitense sull’Afghanistan. Tale dichiarazione del ministro dell’interno mostra qual è la reale intenzione di questa guerra del governo indiano contro i suoi stessi cittadini.

La guerra dello stato contro i movimenti a Chhattisgarh, Orissa e Jharkhand e in altre regioni limitrofe comporta inoltre un ulteriore compressione dei già ristretti spazi per il dissenso democratico e per l’articolazione di modelli di sviluppo a vantaggio delle popolazioni. Ogni organizzazione che protesti contro le politiche dello stato potrà essere marchiata come minaccia alla “sicurezza interna”. Per rendersi conto delle ragioni politiche ed economiche dell’offensiva in corso, sollecitiamo tutti a guardare oltre la diffusa montatura edificata dal governo e dai suoi asserviti media.

Dobbiamo alzare tutti insieme la nostra voce contro questo tentativo del governo di dare via le risorse del popolo reprimendo brutalmente ogni dissenso politico.

Alla luce della situazione che abbiamo esposto, proponiamo di raccogliere le seguenti richieste e di unificarle in una piattaforma che proponiamo alle organizzazioni e anche a singole persone democratiche:


1.
L’offensiva militare contro il PCI (Maoista), contro tutte le altre organizzazioni rivoluzionarie e contro le popolazioni indigene nelle regioni di Chhattisgarh, Orissa, Jharkhand, Gadchiroli e nel Bengala Occidentale deve essere fermata subito.

2. L’esercito e l’aviazione militare non debbono essere usate contro il popolo. Tutte le forze militari, paramilitari, aeree e tutte le unità speciali di polizia debbono essere ritirate immediatamente da queste regioni.

3. La resistenza delle popolazioni, armata o disarmata, contro lo sfruttamento delle risorse naturali deve esser tenuta in considerazione a livello politico. Le centinaia di Protocolli di Intesa sottoscritti per lo sfruttamento delle risorse minerarie e gli altri programmi industriali in queste regioni vanno cancellati subito.

4. Le istanze e le problematiche delle persone nelle diverse regioni vanno risolte con il dialogo e non attraverso offensive militari.