Cosa verrà fuori dalla kermesse di Copenaghen?

Non sappiamo se il clima stia veramente impazzendo, ma di sicuro impazzirebbe chi provasse a seguire sul serio i numeri sfornati a valanga da climatologi e scienziati in genere, per non parlare di quelli sparati da politici e “tecnici” al seguito nei vari vertici in giro per il mondo.
Se questo è l’unico dato certo in mezzo a tanta incertezza, figuriamoci cosa potrà essere il vertice sul clima in corso a Copenaghen: una kermesse buona per tutti gli usi, una passerella in cui si dirà tutto ed il contrario di tutto, nella quale si snoccioleranno dati e promesse, ma che non deciderà niente di niente.
Alla fine il nulla verrà benedetto dall’imperatore di Washington in persona, e questo probabilmente basterà ai media per parlare di «successo». Così va il mondo, grado più, grado meno…


Un fallimento annunciato

Già al G8 de L’Aquila risultò chiara la volontà dei convenuti di preparare il fallimento della conferenza di Copenaghen. Una volontà resa ancora più esplicita nella dichiarazione finale del G20 di Pittsburgh (vedi A cosa servono i vertici), dove si parlava di “intensificare gli sforzi per raggiungere un accordo”, lasciando intendere l’impossibilità di un nuovo trattato vincolante come quello (benché sostanzialmente inattuato) di Kyoto.
Per chi ancora nutriva qualche illusione, il colpo finale è arrivato a metà novembre dal vertice di Singapore dal quale gli uomini di Obama hanno inviato un preciso messaggio: «I leader hanno valutato che non fosse realistico aspettarsi che un accordo globale pieno e legalmente vincolante potesse essere negoziato in 22 giorni (cioè il periodo di tempo che separava l’incontro di Singapore dalla conferenza Onu attualmente in corso – ndr)».
Questa dichiarazione di Michael Froman, lo sherpa della Casa Bianca, aveva perlomeno il pregio di annunciare con chiarezza il fallimento, pur mascherandolo formalmente dietro ridicole questioni di “tempo” come se la conferenza di Copenaghen fosse stata convocata a sorpresa da qualche marziano.

Un fallimento che si vorrebbe nascondere

Dopo Singapore qualcuno a Washington si è però reso conto che non si poteva e non si doveva in alcun modo parlare di fallimento. Anche perché un simile esito avrebbe portato sul banco degli imputati due sole nazioni, ma con responsabilità palesemente ben diverse tra loro: gli Stati Uniti e la Cina.
Ecco allora che il balletto delle cifre è ripreso frenetico. Gli Usa hanno preso l’impegno di ridurre i gas serra del 17% nel 2020 rispetto al valore del 2005. La Cina ha annunciato di voler ridurre del 40-45% le emissioni per unità di Pil, sempre per la mitica data del 2020.
Sulla base di questi annunci prevale ora l’ottimismo, come titolano un po’ tutti i quotidiani in questi giorni di inizio del vertice in terra danese.
Questi numeri ci dicono in realtà una sola cosa: l’alternativa che si sta preparando al fallimento puro e semplice è un’autentica presa in giro per l’opinione pubblica mondiale.
Vediamo il perché.

Alcuni dati per chiarirsi le idee

Per non contribuire anche noi alla sagra del numero procediamo per punti, limitiamoci ai dati fondamentali.

1. Come noto, il G8 assunse a luglio l’obiettivo di limitare a 2 gradi centigradi, rispetto ai livelli precedenti la rivoluzione industriale, l’aumento cosiddetto “sostenibile” della temperatura media globale. La soglia dei 2 gradi venne indicata non tanto per valutazioni scientifiche, ma per l’impossibilità di perseguire obiettivi più ambiziosi senza cozzare bruscamente con le modalità di funzionamento dell’economia capitalistica.

2. Secondo la relazione tenuta a Copenaghen dallo scienziato indiano Rajendra K. Pachauri, in rappresentanza del Comitato intergovernativo sul cambiamento del clima (Ipcc), per contenere l’aumento termico in 2,0 – 2,4 gradi centigradi è necessario che il picco delle emissioni globali venga raggiunto nel 2015, praticamente dopodomani.

3. E’ noto che le emissioni dei gas serra non sono certo distribuite equamente tra tutti gli stati. Esse – com’è ovvio – seguono a grandi linee la distribuzione della ricchezza. Ad esempio, i paesi del G8, con il 13% della popolazione mondiale, coprono il 43% delle emissioni. Ciononostante è di moda prendersela con la Cina che pare abbia superato gli Stati Uniti nella produzione annua di CO2. Ma se consideriamo, come dovrebbe essere ovvio, la produzione pro-capite, abbiamo che uno statunitense ne produce 21 tonnellate l’anno, un cinese 4,8, un africano 0,1.

4. In questo quadro l’annuncio del -17% da parte degli Stati Uniti, ammesso e per niente concesso che venga confermato e soprattutto tradotto in fatti, è il niente fatto notizia, anche perché l’anno di riferimento non è come previsto dagli accordi di Kyoto il 1990, bensì il 2005, con la conseguenza che il -17% diventa un misero -4%. Detto in altri termini, di fronte alla dichiarata necessità di stabilizzare le emissioni globali, la nazione maggiormente responsabile dei gas serra (con una produzione pro-capite 210 volte superiore a quella dell’Africa) si impegnerebbe per una riduzione del 4%!!!

5. Della Cina abbiamo già detto. La sua responsabilità non è neppure paragonabile a quella americana, europea e giapponese. Tuttavia non può sfuggire il fatto che i cinesi si impegnano ad aumentare considerevolmente l’efficienza energetica-ambientale – e su questo stanno già investendo molto di più di quanto si pensi – non certo il livello complessivo delle emissioni dei gas serra.
Giusto per dare un’idea, se ipotizziamo per il prossimo decennio un tasso di crescita per la Cina del 7% annuo (cioè significativamente inferiore a quello dell’ultimo ventennio), avremmo comunque una crescita complessiva del 97%. Per cui anche il raggiungimento di un +45% di efficienza determinerebbe comunque un +52% di emissioni, pari a circa 3,5 miliardi di tonnellate.

6. Anche dopo questa tumultuosa crescita economica avremmo nel 2020 una produzione pro-capite di gas serra da parte della Cina di circa 7 tonnellate, contro le 10 di un europeo (e di un italiano) e le 20 di un americano.
Ma il mondo non è fatto solo di americani, cinesi ed europei. C’è il resto dell’Asia, l’America Latina, l’Africa…

Un fallimento inevitabile

Questi dati ci parlano dunque di un fallimento inevitabile, qualunque sarà la conclusione ufficiale del vertice. Le potenze occidentali non intendono mettere minimamente in discussione il loro modello sociale, come possono dunque chiedere a paesi di gran lunga più poveri di fare i sacrifici necessari? Ovvio che la richiesta venga respinta al mittente.
La verità è che il gigantesco problema ambientale che investe oggi la Terra, non solo per gli aspetti relativi ai gas serra, non è affrontabile dentro le compatibilità sistemiche del capitalismo. Detto in poche parole: non può esserci compatibilità alcuna tra un sistema economico-sociale che per sua natura non può accettare vincoli ad una “crescita” teoricamente “infinita” e le esigenze ambientali di un pianeta inevitabilmente “finito” in quanto a risorse, spazi, equilibri necessari alla vita.
I sostenitori del capitalismo come “miglior mondo possibile” ribatteranno ricercando la soluzione a questa inestirpabile contraddizione nelle meraviglie della tecnica. Una risposta non priva di qualche efficacia, ma in grado soltanto di spostare un po’ più avanti i problemi.
La necessaria riconfigurazione del sistema produttivo e dei consumi non potrà mai avvenire seriamente nella cornice dei rapporti sociali capitalistici. Solo una società ispirata a principi di uguaglianza al proprio interno e nei rapporti tra le nazioni potrà riuscire in quel compito titanico.
Ma questo non lo si può certo chiedere ai convenuti a Copenaghen.

La farsa necessaria

Alla conferenza che si tiene nella capitale danese sono arrivati in 15.000 (quindicimila). Sembrerebbe pura follia, ma così non è. Una simile folla, più adatta ad una partita di calcio che ad una conferenza politico-scientifica, è l’ideale per far credere all’impegno a prescindere dai risultati.
Come folle è l’idea di far pagare l’anidride carbonica, trasformando così la mancata soluzione del problema in una sorta di ammenda, da pagare ai paesi più virtuosi e perciò dotati di appositi “bonus”. Avremmo così la “borsa della CO2”: cosa non ti inventa il capitalismo!
E’ difficile dire se l’allarme clima sia eccessivo, come pensano alcuni, od eccessivamente moderato, come ritengono altri. Molte evidenze, sulle quali qui non ci soffermiamo, indicano che l’allarme è più che giustificato, anche se nessuno potrebbe davvero giurare sui dati che circolano. Sappiamo comunque due cose: che lo sviluppo capitalistico ha violentato gli equilibri naturali pre-esistenti; che non c’è nulla di più folle che affidare i problemi ambientali alle logiche ed ai meccanismi tipici del capitalismo.
Copenaghen ci consegnerà invece proprio questa autentica follia. E per potercela presentare come credibile verrà allestita la solita farsa delle promesse, della buona volontà, dei grandi ideali, della pura retorica.
Il tutto contornato da meccanismi tecnici pressoché incomprensibili, da numeri non verificabili affidati a “tecnici” che si rivedranno tra sei, dodici, diciotto mesi e così all’infinito.
Il probabile rinvio di un accordo minimamente vincolante verrà allora motivato con la necessità di un accordo migliore.
Del clima possiamo prudentemente solo dire che forse sta impazzendo, ma parlando della politica che vorrebbe governarlo possiamo togliere il forse.

PS – Le ultime notizie dalla conferenza parlano del tentativo di un colpo di mano (fonte The Guardian) dei paesi industrializzati a danno di quelli del Terzo Mondo. Pare che la bozza di risoluzione finale, predisposta dal governo danese, preveda per il 2050 un diritto di inquinamento pro-capite per i paesi industrializzati doppio rispetto al resto del mondo. E per ribadire chi comanda e chi dovrà comandare domani – il 2050 non è proprio dietro l’angolo – il controllo del fondo per la gestione della riduzione delle emissioni non verrebbe affidato affatto all’ONU,come parrebbe naturale, bensì alla Banca Mondiale.
Anche queste notizie ci dicono chiaramente che a Copenaghen si gioca innanzitutto una partita geopolitica di primaria importanza. Ma su questo torneremo nei prossimi giorni.