In merito al nuovo attacco di Ratzinger alla Teologia della Liberazione
Il 5 dicembre scorso Benedetto XVI ha ricevuto a Roma i presuli della Conferenza Episcopale Brasiliana. Egli non si è lasciato sfuggire l’occasione per portare un nuovo, durissimo attacco alla Teologia della Liberazione, che ebbe proprio in Brasile un così vasto seguito tra i cattolici e la stessa gerarchia ecclesiastica. Una conferma della sua teologia tradizionalista e del suo pensiero politico reazionario.
Il discorso che Benedetto XVI ha svolto ai presuli brasiliani è stato pubblicato da Avvenire del 6 dicembre. Vale la pena riportarne lo stralcio più significativo. «In tal senso, amati fratelli, vale la pena ricordare che, lo scorso agosto, ha compiuto venticinque anni l’Istruzione Libertatis Nuntius della Congregazione per la dottrina della fede, su alcuni aspetti della teologia della liberazione; in essa si sottolineava il pericolo che comportava l’accettazione acritica da parte di alcuni teologi di tesi e metodologie provenienti dal marxismo. Le sue conseguenze più o meno visibili fatte di ribellione, divisione, dissenso, offesa, anarchia, si fanno ancora sentire, creando nelle vostre comunità diocesane grande sofferenza e una grave perdita di forze vive. Supplico quanti in qualche modo si sono sentiti attratti, coinvolti e toccati nel proprio intimo da certi principi ingannatori della teologia della liberazione, di confrontarsi nuovamente con la suddetta Istruzione, accogliendo la luce benigna che essa offre a mani tese.»
Una reiterazione sfrontata e inattesa della Istruzione emanata il 6 agosto 1984 da Ratzinger medesimo, allora a capo della Congregazione per la dottrina della fede, mentre papa era allora Giovanni Paolo II. Quella Istruzione, che non ebbe tuttavia mai lo status di una enciclica, conteneva una critica frontale, non solo agli assunti teologici della Teologia della Liberazione, ma una condanna frontale del capillare e avanzante movimento sociale e politico che dalla metà degli anni ’60 era andato sviluppandosi sotto questo nome. Ratzinger scrisse allora che “non è possibile la separazione di parti del marxismo. Se si prende una parte, per esempio l’analisi, si finisce per accettare tutta l’ideologia. Il marxismo inevitabilmente subordina la teologia e l’ideologia alla lotta di classe”.
Lo scopo di quella Istruzione non era solo teologico, era schiettamente politico. Si trattava di stroncare il vasto fenomeno per cui grandi settori della chiesa cattolica dell’America Latina, non solo il basso clero, si erano andati schierando con grande coraggio e determinazione dalla parte dei movimenti di emancipazione sociale dei poveri. Un modo quindi per legittimare e dar manforte alla componente più conservatrice del clero, quella che da secoli viveva in perfetta simbiosi con le classi dominanti, la stessa che non esitò a sostenere i regimi militari più sanguinari, Pinochet e Videla tra questi.
Il fatto che Ratzinger abbia riaffermato con tanta sicumera la sua Istruzione malgrado tutto il mondo cattolico ben informato, tra cui proprio i presuli brasiliani, siano a conoscenza che Papa Woytila, al tempo, non l’abbia mai digerita e che l’abbia anzi contrastata è, allo stesso tempo, indice del carattere politico sordidamente conservatore dell’attuale pontificato, e spia di quanto quest’ultimo sia deciso a fronteggiare il vento di grande mutamento che l’America Latina sta vivendo a partire dalla comparsa di Chavez in Venezuela. Mai come con questo Papa i settori più retrivi del clero latino-americano hanno ricevuto tanto deciso appoggio da parte della Curia romana. Basta vedere con quanto livore reazionario i settori ratzingeriani si oppongono alle riforme sociali, non solo in Venezuela, Bolivia o Equador, ma pure nel Brasile di Lula.
Sia chiaro, e lo si evince dalle pastorali e dalle encicliche emanate da Ratzinger, non è che questo Papa non abbia speso parole anche chiare contro le ingiustizie e le disparità sociali. Ma il tutto non va al di là di una sottospecie di moderato riformismo socialdemocratico. Il punto nevralgico delle accuse ratzingeriane alla Teologia della Liberazione è che quest’ultima accettasse, orrore!, la tesi della lotta di classe, ovvero che perorasse non solo a parole la causa dell’emancipazione sociale delle classi oppresse, ma che teorizzasse la necessità di questa lotta e che il posto dei cristiani autentici fosse, appunto, non solo in mezzo ai poveri, ma alla loro testa nel movimento di liberazione dallo sfruttamento capitalista e dal giogo imperialista.
In questo senso, dal punto di vista politico, l’attuale pontificato è certamente reazionario, espressione di una casta curiale aristocratica che ha salutato il “crollo del comunismo” non solo come caduta dell’URSS, ma anzitutto come tramonto della spinta rivoluzionaria egualitaria che ha attraversato tutto il ‘900.