Risoluzione approvata dall’Assemblea internazionale del 5-6 dicembre 2009

Sabato 5 e domenica 6 dicembre si è tenuta a Chianciano Terme l’assemblea internazionale del Campo Antimperialista. Al centro della discussione l’analisi di una crisi che non è soltanto economica, le questioni geopolitiche ad essa connesse, i compiti degli antimperialisti in questa nuova fase che preannuncia tempeste non solo sulla prima linea della guerra imperialista, ma anche  in quello che abbiamo definito “Terzo fronte”, cioè l’occidente, ed in Europa in particolare.
Le conclusioni politiche dell’assemblea sono racchiuse nella risoluzione finale che segue.

 

La crisi storico-sistemica del capitalismo, i nuovi conflitti geopolitici e i compiti del Campo Antimperialista
 
(a) Il collasso dell’economia internazionale che ha fatto seguito al crack finanziario esploso negli USA nel settembre 2008 (a sua volta annunciato da vari scricchiolii nel decennio precedente) non è una delle cicliche recessioni destinate ad essere seguite dalla “ripresa”. Essa è piuttosto la spia di una crisi storico-sistemica del capitalismo occidentale, quindi anzitutto della ristretta cerchia di paesi imperialistici che hanno costituto, dopo la seconda guerra mondiale, il centro di gravità del capitalismo internazionale e che dopo il crollo dell’URSS, non senza resistenze qua e là, hanno dominato il mondo.

(b) La crisi storico-sistemica di questo centro imperialistico di gravità non significa che il modo capitalistico di produzione in quanto tale abbia detto l’ultima parola, che sia entrato nella fase “finale” o della “agonia mortale”. Ciò che è al tramonto è piuttosto il modello economico, sociale e politico capitalistico affermatosi dal dopoguerra in avanti in tutto l’Occidente, la forma storicamente determinata di capitalismo che ha avuto l’egemonia e il sopravvento a scala mondiale. Sta morendo quella formazione sociale denominata “società opulenta” fondata sul consumismo compulsivo delle larghe masse come motore dello “sviluppo”, contraddistinta dalla trasformazione del proletariato in “nuova classe media”, dalla giugulazione finanziaria e dal saccheggio delle periferie, da quell’accumulazione gigantesca di super-profitti che ha dato i natali al cosiddetto turbo-capitalismo. La “società opulenta” e il turbo-capitalismo agonizzano a causa del loro stesso sviluppo ipertrofico.

(c) Non ci troviamo quindi solo davanti alla fine di un ciclo espansivo, ad una recessione magari prolungata (stagnazione). Siamo dentro ad un passaggio di fase di dimensioni epocali, delle stesse dimensioni dei tre che contrassegnarono le tappe fondamentali della storia moderna del capitalismo. Il primo, grazie alla rivoluzione industriale e alla sconfitta delle ambizioni francesi, pose le basi della supremazia del colonialismo inglese. Il secondo, quello tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento, segnò il passaggio all’imperialismo e aprì il ciclo del predominio conflittuale euro-americano. Il terzo prese il via subito dopo la seconda guerra mondiale, con l’annientamento dell’egemonia tedesca in Europa e giapponese in Asia che spianò la strada al definitivo predominio dell’imperialismo a stelle e strisce, controbilanciato a sua volta dal momentaneo condominio bipolare con l’Unione Sovietica.

(d) Nessun passaggio epocale di queste dimensioni fu indolore. Ognuno di essi causò profonde fratture rivoluzionarie e controrivoluzionarie all’interno dei singoli paesi come pure gravissime turbolenze geopolitiche e financo guerre tra nazioni e tra coalizioni di nazioni. Lo stesso passaggio dal primo ciclo post-bellico al turbo-capitalismo non avvenne per dosi omeopatiche ma fu segnato da un decennio (i ’70) contraddistinto da profonde tensioni sociali e politiche e da asprissimi conflitti internazionali. Anche il passaggio storico che abbiamo di fronte spinge l’umanità dentro un periodo di profonde e caotiche turbolenze sociali e internazionali che trasformeranno radicalmente il mondo, il rango e le gerarchie delle potenze egemoni, e che obbligheranno le società occidentali, se non vogliono precipitare verso un doloroso declino, ad adottare modelli sociali, politici e di vita profondamente differenti da quelli che sono stati dominanti.

(e) La prima gigantesca conseguenza della crisi in cui siamo entrati è che essa causerà  il ridimensionamento delle vecchie roccaforti imperialistiche occidentali mentre, di converso, l’oriente emergerà come nuovo motore primo dell’economia mondiale. La risultante (non immediata ma mediata) dello spostamento del baricentro dell’economia mondiale capitalistica da ovest ad est, con la Cina come protagonista, sarà un terremoto geopolitico di enormi proporzioni strategiche. In termini generali stiamo lentamente entrando in una fase storica post-occidentale in cui l’umanità dovrà decidere se restare prigioniera di un capitalismo ancor più barbarico e schiavistico o prendere la rotta di un rinnovato socialismo.

(f) L’arrivo di Obama alla Casa Bianca non segna affatto una svolta strategica per l’imperialismo nord-americano, denota una mutamento del suo modus vivendi, non del suo modus essendi. Gli Stati Uniti d’America, pena l’implosione del proprio impero, non accetteranno supinamente di farsi da parte, lotteranno anzi con ogni mezzo, metteranno in atto ogni misura preventiva ed effettuale, senza escludere il redde rationem della guerra dispiegata per evitare, sia lo spostamento del baricentro dell’economia mondiale sull’altra sponda del Pacifico, sia che la Cina assurga a ruolo di effettiva super-potenza. In questa prospettiva l’alleanza con l’Unione Europea e il consolidamento della NATO, sono per gli Stati Uniti, fattori imprescindibili. L’Unione Europea non è solo il principale partner economico degli USA, è l’alleato strategico principale con cui condivide il predominio mondiale, il guardiano armato deputato ad impedire la rinascita della potenza russa.

(g) La resistenza che il super-imperialismo americano opporrà al suo declino sarà dunque accanita e su scala globale. Dalla supremazia imperiale dipendono infatti la sua stabilità interna, la sua coesione sociale, l’efficacia ideologica paralizzante del “sogno americano”. Senza questa supremazia gli USA sono destinati a impattare contro convulsioni interne senza precedenti. Discende dunque, se questa nostra analisi è giusta, che mai come nel prossimo futuro emergeranno conflitti di varie forme ed intensità, che gli Stati Uniti tenteranno con ogni mezzo (dalle rivoluzioni colorate ai sabotaggi, dalle sanzioni targate ONU all’uso preventivo della forza) di schiacciare ogni focolaio di Resistenza popolare e ogni nazione seriamente ostili. Obama non vuole sbarazzarsi del paradigma ideologico della missione imperiale salvifica che spetterebbe agli USA; non pensa di diminuire il peso delle spese militari, né quello dell’elefantiaco apparato militare nordamericano; né intaccherà il centro propulsore da cui si sprigiona il suo espansionismo globale: il cosiddetto blocco militare-industriale.

(h) Non bisogna commettere l’errore di sovrapporre il futuro lontano né al presente né a quello più prossimo. Quella del  redde rationem con la Cina e l’eventuale blocco da essa capeggiato, è solo una tendenza di lungo periodo, e vanno tenute nella debita considerazione forti controtendenze. I due giganti si sorreggono oggi a vicenda. Ammesso che lo sbocco bellico sia nel novero delle possibilità, non significa che esso sia dietro l’angolo. Potremmo appunto avere un lungo intermezzo di condominio sino-americano, un assetto mondiale sostanzialmente bi-polare camuffato da multipolarismo, che lasci alcune briciole agli altri protagonisti regionali, in specie russi, indiani, arabi, brasiliani, ecc. Ovviamente un simile condominio non equivale ad una lunga pacificazione mondiale, né esclude che i due giganti possano darsele per interposta persona in questa o quell’area del mondo.

(i) Di certo l’attuale crisi non spingerà affatto gli USA ad accettare un effettivo equilibrio multipolare. Gli Stati Uniti rifuggono come la peste l’idea che il mondo vada diviso per zone d’influenza tre la diverse potenze regionali, di un condominio policentrico che sarebbe appunto la sanzione della fine della loro supremazia indiscussa. Tuttavia l’evocazione di questo ordine multipolare da parte di alcune potenze regionali sub-imperialiste non è campata per aria, esprime il loro acquisito peso economico e politico. Questa discrepanza non va sottovalutata e potrebbe essere un cruciale fattore d’instabilità mondiale. La vicenda del breve conflitto georgiano, ovvero dello spinoso, aggiungiamo insanabile,  dissidio russo-americano (e come esso ha polarizzato le differenti diplomazie) insegna. E’ un fatto che gli USA non solo difendono la loro presenza armata o logistica in un centinaio di paesi, ma la stanno accrescendo (vedi il caso eclatante delle basi militari in Colombia o quello dell’Uzbekistan). Ove conflitti come quello in Georgia dovessero profilarsi all’orizzonte in altre zone del mondo, le Resistenze antimperialiste non dovrebbero mutare il loro posizionamento per cui la sconfitta degli USA e delle sue satrapie resterà l’opzione preferibile.

(l) Abbiamo detto che la crisi storico-sistemica del capitalismo occidentale (imperialismo) non si consumerà in un breve periodo, siamo solo al primo atto, il quale apre appunto un intero periodo storico: l’inizio della fine della supremazia assoluta dell’Occidente. Entriamo nella fase della reazione tenace e agguerrita dell’Occidente al proprio declino. Solo per questo il periodo in cui solo ora entriamo sarà segnato da sconvolgimenti che saranno graduali in una prima fase per poi diventare catastrofici. Questi sconvolgimenti investiranno in pieno anche l’Unione Europea, il cui fragile edificio potrebbe andare in pezzi e con esso potrebbe sfaldarsi anche l’alleanza strategica euro-atlantica. Non esistono oggi forze sistemiche che vogliano separare il destino dell’Europa da quello degli Stati Uniti. Tutte le forze sistemiche, di destra di centro e di sinistra, si considerano nella stessa barca degli americani. Quando essa rischiasse di affondare, quando la vecchia talpa della crisi avrà scavato abbastanza, forze extra-sistemiche verranno a galla e saranno poste davanti al dilemma del distacco dagli USA, alla scelta di guardare ad Est e porre fine al rapporto di sudditanza con l’altra sponda dell’atlantico.

(m) La fine anche in Europa della società opulenta basata sul consumismo dissennato e compulsivo, l’incapacità delle oligarchie dominanti a ripensare un’Unione concepita costitutivamente come anima gemella degli USA, la crisi già manifesta delle sue istituzioni e rappresentanze politiche, chiama le deboli forze rivoluzionarie europee a nuovi e grandi compiti strategici. Esse sopporteranno ancora per un periodo la loro attuale impotenza, che in alcuni paesi potrebbe farsi drammatico isolamento. Una nuova ondata di mobilitazione delle masse, l’accensione del conflitto sociale, sono tuttavia ineluttabili, ma è più probabile che questa mobilitazione in una prima fase assuma forme reazionarie anche aperte. A causa del fatto storico che la sinistra è stata cooptata nell’amministrazione del capitalismo imperialista, aiutandolo a legittimarlo nella forma ideologica del “politicamente corretto”, le rivolte potranno dirigersi anche contro l’ala sinistra di queste élite. Gli antimperialisti dovranno intersecare e organizzare questi impulsi e queste tendenze delle proteste antisistemiche che dovranno essere orientate in una direzione anticapitalistica. Per farlo essi dovranno essere sulla prima linea di queste proteste progressive respingendo gli elementi reazionari. C’è dunque bisogno di esplorare nuove forme di espressione politica, capaci di ottenere il consenso più ampio grazie ad azioni esemplari.
Gli antimperialisti potrebbero infine vedersi costretti, ove non fossero capaci di concorrere alla fondazione di nuovi movimenti politici di massa, non solo a fare fronte con forze politico-sociali compatibili, ma a confluire temporaneamente dove si riveli necessario e allo scopo di porre in salvo il patrimonio accumulato a costo di tanti sacrifici, in formazioni che potrebbero trovarsi a svolgere la funzione duplice di aggregatori delle istanze antagonistiche e quindi di diga contro la marea reazionaria. In entrambi i casi l’antimperialismo va connesso alla prospettiva di una fuoriuscita dal capitalismo, pena l’incapacità di dare voce e di organizzare le forze sociali sovversive che i meccanismi di esclusione sociale lentamente ma senza dubbio genereranno.

(n) La persistente determinazione americana a difendere la propria supremazia non toglierà centralità alle Resistenze, e dunque al nostro specifico ruolo politico, ma le spingerà a riposizionarsi, a riorganizzarsi, a ricalibrare la loro azione, a destreggiarsi nel nuovo magmatico contesto geopolitico, sfruttando gli spazi che si apriranno a causa delle nuove rivalità strategiche (non solo quella sino-americana, ma quelle tra gli USA e le diverse potenze sub-imperialiste), quindi incuneandosi nelle inedite fessure di vulnerabilità dell’impero americano. Una fase ce la lasciamo alle spalle, quella delle battaglie difensive chiuse nei propri recinti nazionalistici, corporativi o identitari, di Resistenze che non sapevano comunicare ed assistersi se non attraverso simboliche e improbabili modalità. Esse saranno obbligate a guardare più lontano.

(o) La prospettiva del fronte antimperialista internazionale diventerà una stringente necessità. Non parliamo solo di movimenti popolari o di legittime Resistenze armate, parliamo delle nazioni che stanno tentando di sfuggire alla soffocante presa dell’imperialismo a guida americana, e tra queste non solo il Venezuela o la Bolivia, ma pure l’Iran e il Sudan. Il grande disegno dello “sganciamento” di interi paesi e aree del pianeta dal circuito predatorio imperialistico comincia solo adesso a diventare di dirimente attualità storica.  Fronte antimperialista e sganciamento debbono diventare le due gambe delle nuove Resistenze dei popoli oppressi, pena perire tra l’incudine americana e il martello cinese. Non è un paradosso, appunto, che il condominio conflittuale sino-americano, e il dissidio in varie zone tra gli USA e le diverse potenze sub-imperialiste, potrebbe non chiudere ma invece aprire nuovi spazi di manovra, di autonomia, di indipendenza.

(p) Proiettando su scala storica questo scenario avremo che occorre lavorare, tra i due giganti capitalistici mondiali, tra quello declinante e quello sorgente, affinché sorga un terzo polo di paesi e forze, comprese quelle europee, che si muovono per affermare sistemi sociali a predominanza collettivistica, comunque declinati nazionalmente.
Le Resistenze saranno dunque chiamate a superare gli attuali loro limiti, a sfidare vecchi e nuovi padroni tenendo ferma una prospettiva di liberazione che passo dopo passo deve condurre alla vittoria degli oppressi sugli oppressori, alla loro emancipazione, dunque nella prospettiva storica di un nuovo socialismo che sappia finalmente coniugare ciò che fino ad oggi l’umanità ha tenuto disgiunti: eguaglianza e libertà, democrazia e autorità, individuo e comunità, civiltà e natura, rivoluzione e tradizione.