A proposito del nuovo «Manifesto» di Hezbollah

Il 30 novembre scorso, il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, rivolgendosi ai libanesi in video-conferenza, ha presentato il documento politico approvato dalla direzione del suo movimento. Solo una volta Hezbollah aveva diffuso un documento organico e generale di questo tipo, la cosiddetta Lettera Aperta del 1985. Saremo in grado di pubblicarne la versione in lingua italiana nei prossimi giorni. Nel frattempo ci pare importante consegnare ai lettori alcune valutazioni essenziali.

Com’era prevedibile il secondo Documento politico di Hezbollah (“Manifesto”) ha suscitato immediatamente un grande interesse. Nasrallah aveva appena fatto in tempo a presentarlo che esso è stato vivisezionato da analisti d’ogni calibro. Sono fioccati commenti non solo in Libano, ma in tutto il Medio Oriente, per non parlare della morbosa attenzione che gli hanno dedicato le fondazioni e i pensatoi sia negli Stati Uniti che in Israele.

Chi si attendeva, dato l’arrivo di Obama alla Casa Bianca, una qualche “svolta”, è rimasto deluso. Hezbollah ha ribadito con estrema fermezza tutti i postulati strategici dai quali prese le mosse agli inizi degli anni ’80. In sintesi possono essere così ricapitolati: (1) l’Entità sionista israeliana va smantellata; (2) al suo posto deve sorgere una nazione palestinese con Gerusalemme capitale; (3) pieno e incondizionato sostegno alla Resistenza palestinese, la cui vittoria non si potrà ottenere per via negoziale (rifiuto dunque degli accordi a perdere sottoscritti sin qui da al-Fatah e dall’OLP da Olso in poi; (4) reiterazione dell’orizzonte strategico della Nazione araba, con relativa condanna dei regimi arabi che agiscono negli interessi degli Stati Uniti; (5) riconferma dell’orizzonte panislamico, ovvero dell’unità delle Resistenze islamiche, a prescindere dalla divisioni dottrinali; (6) amicizia con Siria e Iran, considerati due paesi di punta della Resistenza al sionismo e all’imperialismo; (7) consolidamento dell’orizzonte internazionale antimperialista e delle relazioni fraterne con tutte le forze che alla varie latitudini combattono contro gli Stati Uniti, considerati il pilastro dell’ordine imperialista e capitalista mondiale.

Confermati questi capisaldi il Documento si sofferma sui mutamenti intervenuti, nel contesto internazionale e libanese, negli ultimi vent’anni, con il crollo dell’URSS come data spartiacque. Non può sfuggire la strettissima connessione che il Documento stabilisce tra il contesto internazionale e la situazione interna libanese, la quale infatti viene descritta e spiegata proprio alla luce dell’evoluzione dei rapporti internazionali. Viene colta con estrema nettezza, dopo il crollo dell’URSS, la pretesa americana di imporre al mondo la propria supremazia unipolare, di qui le aggressioni all’Afghanistan prima e all’Iraq poi. Questa pretesa “espansionistica”, se ha goduto dell’avallo della gran parte delle satrapie arabe, ha tuttavia trovato e trova sulla strada l’accanita Resistenza dei popoli, quelli iracheno e afgano anzitutto. Resistenze che, unite a quella palestinese, iraniana e libanese hanno non solo frenato l’espansionismo USA, ma contribuito in maniera decisiva a determinare la crisi e l’impasse in cui l’imperialismo americano si trova, impasse aggravata dalla crisi finanziaria internazionale. Le difficoltà degli Stati Uniti sono infatti di carattere strutturale e strategico, ed emergono non solo in Medio oriente, ma pure in America latina, dove è in atto un vero e proprio tentativo di sganciamento dalla tutela a stelle e strisce. Netta è la condanna della globalizzazione neoliberista, descritta come meccanismo con cui il “capitalismo barbarico e selvaggio ha accresciuto le disparità e i conflitti, demolito identità e imposto la spoliazione culturale, economica e sociale”.

Il Medio oriente resta tuttavia il campo di battaglia decisivo, dove si decidono le sorti della supremazia americana, di qui il ruolo centrale delle Resistenze tra cui anzitutto quella libanese guidata appunto da Hezbollah, che rivendica quindi con orgoglio il proprio ruolo di punta, che è internazionale e va ben al di là del modesto perimetro libanese.

Ed è proprio relativamente alla situazione interna libanese che il Documento in questione ribadisce alcuni concetti chiave e marca alcune novità. Nella polarizzata situazione libanese i giudizi su questo Documento non potevano che essere altrettanto polarizzati. I media e i commentatori filo-occidentali, hanno colto la palla al balzo per ribadire la loro sorda ostilità ad Hezbolah, sottolineando che questo Documento non modifica di una virgola la linea del partito. In particolare, e non a torto, essi hanno segnalato come sul punto centrale della disputa che divide i due blocchi politici libanesi, ossia il diritto della Resistenza islamica a mantenere la sua forza armata indipendente, Hezbollah non ha fatto alcun passo indietro, riconfermando che questo punto è semplicemente non-negoziabile. Su un secondo punto i detrattori di Hezbollah hanno infine insistito, il rivendicato legame storico e strategico con l’Iran. Ma perché i filo-occidentali hanno tanto insistito su questi due punti? Proprio per negare quelli che sono invece parsi ai commentatori di sinistra, importanti punti positivi di novità nel profilo e nella politica di Hezbollah.

Il Documento non fa riferimento mai alla fondazione in Libano di uno Stato islamico, né si menziona il principio khomeinista del velayat e-Faqih. Esso concepisce anzi il Libano futuro come uno stato democratico, perora anzi nettamente l’obbiettivo di superare l’assetto istituzionale confessionale lasciato in eredità dai colonialisti, assetto per cui i poteri soni divisi in base alle quote assegnate alla diverse sette religiose. Un obbiettivo che spaventa i filo-occidentali, sia cristiani che sunniti i quali, cianciano di democrazia ma temono come la peste che il Libano diventi una repubblica democratica in base all’elementare principio “un uomo un voto”. I filo-occidentali hanno tutto l’interesse a nascondere questa questione, anche per ribadire che Hezbollah non sarebbe esso per primo che un partito religioso.
Invece, seconda novità, il Documento non menziona mai il partito come partito degli shiiti, e insiste invece sul carattere nazionale e di lotta dello stesso, aperto dunque ad ogni cittadino quale che sia la propria confessione o appartenenza religiosa.
Il terzo elemento di novità è che, pur ritenendo non negoziabile il diritto a tenere le armi da parte della Resistenza, il Documento stabilisce in modo alquanto netto che essa, in base al principio della sussidiarietà, si considera una forza complementare alle forze armate dello Stato libanese, e che quando quest’ultimo sarà finalmente in grado di tenere testa alla costitutiva minaccia armata israeliana, allora e solo allora Hezbollah rinuncerà ad un proprio esercito parallelo, e dunque, fino a quel momento, la Resistenza sarà insostituibile come forza di difesa nazionale.
Quarto elemento di novità è che per la prima volta si propone di dare pieni diritti civili e sociali al mezzo milione di profughi palestinesi, abolendo una volta per tutte le inaccettabili discriminazioni di cui soffrono, senza tuttavia venir meno al principio del “diritto al ritorno”. Una novità quest’ultima che ha subito suscitato aspre critiche dei filo-occidentali, nonché i timori dell’ANP, che su questa discriminazione paradossalmente fonda il proprio controllo sui campi profughi con la piena complicità delle Nazioni Unite.

Il Documento ha infine sollevato perplessità come pure critiche da parte di esponenti dell’estrema sinistra libanese. Essi segnalano sì che esso ha rimpiazzato la vecchia terminologia islamica con quella tradizionale della sinistra, ma alle spalle di questo vocabolario nulla di preciso si dice riguardo alla politica economica che il governo (di cui ora Hezbollah fa parte) segue. Si contesta radicalmente il neoliberismo, ma nulla di concreto si dice su come contrastarlo. In generale questi critici segnalano la contraddizione tra i proclami anticapitalistici e l’adesione ad un governo di unità nazionale in cui la politica economica è affidata proprio alle forze filo-occidentali asservite alla potente borghesia libanese. Questa critica è ben espressa da un giovane libanese che in un sito ha scritto: “Come antimperialisti noi dobbiamo sostenere la Resistenza di Hezbollah contro il sionismo, ma non possiamo appoggiarlo per quanto riguarda la politica sociale. Oggi è al governo e di fatto deve difendere lo status quo”.

C’è ovviamente una parte di verità in queste critiche. E’ evidente che Hezbollah, dopo due anni di crisi politica che rischiava di trascinare il Libano in una nuova guerra civile, ha deciso per un compromesso, un compromesso che intanto gli ha consentito di mettere al riparo la sua indipendenza politica e la propria forza armata. Il tutto si spiega solo a patto di comprendere a pieno la visione strategica del partito, per cui un nuovo conflitto con Israele si approssima, e che a questo occorre prepararsi, evitando una guerra interna che sarebbe appunto nell’interesse dei sionisti, degli USA e dei loro lacché libanesi. Che la si condivida o meno questa è la visione di Hezbollah: il prossimo conflitto deciderà molte cose, tra cui anche i futuri assetti interni del Libano. Un conflitto da cui non è permesso uscire sconfitti.