«Una vittoria degli antimperialisti» 
Ed ora si apre il dibattito su come costruire la nuova società


«Il trionfo in Bolivia non è solo per i boliviani (…) questo trionfo dei boliviani è fondamentalmente un giusto riconoscimento per i presidenti, i governi e i popoli antimperialisti».
Con questa dichiarazione Evo Morales ha salutato il grande successo riportato nelle elezioni del 6 dicembre. Un successo che ora apre la possibilità di sviluppare ed approfondire il processo di cambiamento della società boliviana. Su questi temi ci pare interessante l’articolo di Hugo Moldiz Mercato che pubblichiamo di seguito
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Evo vuole accelerare il cammino verso il socialismo
Si apre il dibattito su come costruire la nuova società

di Hugo Moldiz Mercato

 
Con un vigoroso blocco indigeno-operaio-popolare, l’appoggio del ceto medio urbano meticcio meno pauroso e un’imprenditoria sempre meno ricettiva verso la propaganda dell’opposizione che al solito strillava: “Vi toglieranno tutto!” (il che non è successo e non è quello che si cercava di fare), il presidente Evo Morales con la storica vittoria elettorale di domenica, dispone ora di condizioni ottimali per sfruttare i prossimi cinque anni avanzando verso il socialismo, un socialismo che però necessita di una definizione nella forma e nei contenuti.
 
La prima dichiarazione di Morales alla notizia della vittoria con più del 62% e un’Assemblea legislativa plurinazionale che potrà gestire per applicare la nuova Costituzione politica dello Stato, è stata: “Accelerare il processo di cambiamento e approfondire il socialismo”. (…)
 
Cinque giorni prima, in un’intervista aveva già dichiarato che il socialismo è la risposta al capitalismo. Ma Evo non ha un manuale da cui prendere le ricette. Muovendo dalla consapevolezza di essere un leader dell’attualità, il capo dello Stato plurinazionale, per arrivare alla società di eguali, parte dalle particolari condizioni specifiche del caso boliviano. Per sgombrare il campo dalle accuse di sudditanza nei confronti del chavismo, ha affermato: “..per qualcuno è il socialismo del XXI secolo, per qualcun altro è il socialismo comunitario”. Il riferimento è alla memoria storica dei popoli indigeni e alla loro tradizione culturale prima dell’invasione modernizzatrice del capitale.
 
Il punto di partenza, per non sbagliarsi, è l’applicazione della Costituzione. Nei suoi oltre 400 articoli sono stabiliti i punti cardinali che se accompagnati da altre leggi possono predisporre la transizione al socialismo, costituendo in tal modo una sorta di bacino artificiale in cui costruire una forma di organizzazione e riproduzione della vita che vada ben al di là del capitalismo.
 

Capitalismo o socialismo di Stato?
 
Uno dei primi argomenti del dibattito, partendo dal socialismo come obiettivo, sarà il ruolo del capitalismo di Stato – caratteristico del primo periodo e per alcuni inevitabile -, quello stesso in cui il modo di gestire i progetti che nascono come nazionalisti può finire con l’essere un canale di penetrazione del capitale transnazionale.
 
Le condizioni per il capitalismo di Stato esistono già. Nella prima fase si è consolidato il rovesciamento di rapporti di forza tra le classi – requisito fondamentale per definire rivoluzione un processo -, anche se esiste un settore di piccoli proprietari – una significativa base sociale del MAS (Movimento al Socialismo NdT) – che possono avere più aspirazione verso il capitalismo piuttosto che al socialismo. Tuttavia, esiste una maggiore articolazione tra indigeni e classe operaia – forgiatasi nell’alleanza fra Consiglio Nazionale per il Cambiamento (Conalcam) e la Central Obrera Boliviana (COB) – che lo stesso Evo ha rivendicato come garanzia di continuità della fase rivoluzionaria in corso.
 
La posta in gioco è evidente: la partecipazione dello Stato in settori strategici dell’economia, in quelli tradizionali (risorse naturali non rinnovabili) e in quelli nuovi (industria alimentare e telecomunicazioni), ma anche nell’incrementare la creazione di forme di produzione comunitarie, urbane e rurali, quelle che vari intellettuali impegnati in questa rivoluzione indicano come il vero deficit di questa prima fase.
 
Che succederà della proprietà privata? Il vicepresidente Alvaro García Linera, ha dichiarato a El Clarín di Buenos Aires il giorno prima delle elezioni: “Non accettiamo che le corporazioni imprenditoriali si comportino come un partito ma c’è piena volontà da parte dello Stato di appoggiare i settori produttivi. Credo che lo abbiano capito”. Il che vuol dire: il governo rispetterà la proprietà privata, ma l’ambito dell’imprenditoria è la produzione e non la politica.

 
Industrialismo in armonia con la natura oppure no?

 
Uno sguardo al programma di governo per i prossimi cinque anni apre un dibattito sulla concezione di “sviluppo”. Una lettura della proposta presentata circa il “decollo industriale” non è in simmetria con il concetto di Vivere Bene del secolo XXI. Quindi c’è anzitutto un problema di realizzazione, in un contesto globalizzato e senza la borghesia nazionale che il MNR [Movimento Nazionale Rivoluzionario] degli anni cinquanta non ebbe la capacità costruire. Un’altra lettura è chiedersi se la modernizzazione dell’economia è fattibile, il “decollo industriale” è compatibile con il principio dell’armonia con la natura? E se sì, in che tipo di economia? Allora si deve riflettere se la tecnologia deve essere usata per rafforzare l’industria estrattiva – che da quando esiste la Bolivia coloniale è sempre stata la causa di surplus oggetto di contesa nazionale e classista – o per modernizzare la produzione comunitaria di alimenti, per soddisfare le necessità interne e per l’esportazione, in prospettiva di una crisi alimentare che sta diventando planetaria.

 
E come aumentare la democrazia?
 
Un secondo livello di dibattito deve occuparsi, come direbbe Felix Patzi, di determinare le forme politiche di gestione della politica. La Costituzione riconosce tre forme di democrazia e pertanto di gestione politica. Se l’obiettivo è il socialismo, resta da dibattere come si debbano complementare la rappresentativa, diretta e comunitaria, e come la prima, – di natura liberale – possa costruire a medio termine “la democrazia del consenso” per cui Evo Morales non nasconde la sua simpatia.
 
Questo è certo il dibattito più complesso e delicato, giacché un errore potrebbe contribuire a retrocedere negli spazi conquistati durante la dura lotta di classe iniziata nel 2000, quando la Bolivia è entrata nella quarta crisi dello Stato, la più profonda della sua storia. Nei libri, compresi i classici, non ci sono riscontri capaci di dare risposte, però ci sono molte esperienze storiche e riflessioni che possono fornire delle tracce utili. Ma se l’argomento è come ampliare la democrazia – che oggi si manifesta con un’alta partecipazione della popolazione votante – la discussione sul tipo di rapporto tra il governo centrale e i governi sub-nazionali diventa fondamentale. La creazione di un governo di consenso è possibile solo con la logica della comunità, in cui non ci sia la divisione dei poteri propri della modernità.

 
Meno Stato, più comunità
 
Un altro tema forte del dibattito, già presente nei classici, è quanto Stato debba essere costruito e quanto si debba rafforzare la comunità. Lo Stato, a differenza di quanto pensavano gli anarchici in passato e di quello che sostengono oggi varie correnti indigeniste, è necessario e importante in un contesto mondiale in cui il capitale transnazionale non ha rinunciato alla creazione di un governo mondiale. La lotta per il surplus, l’attenzione ai settori più vulnerabili e la difesa delle conquiste dai nemici interni ed esterni giustificano il rafforzamento dell’apparato statale.
 
Ma è pur vero che una delle sfide più grandi della rivoluzione è la costruzione di uno Stato allargato, come direbbe l’italiano Gramsci, in merito all’armonia fra società politica e società civile, o per creare quell’ “Optimum Sociale” di cui ci parla René Zavaleta sullo stesso argomento.
 
In definitiva, Evo Morales ha ora a portata di mano la possibilità di lavorare con un nuovo blocco storico al potere: un’alleanza indigeno-operaia-popolare in via di consolidamento, un’economia invidiabile, una destra sconfitta e un contesto internazionale buono. Tutto quello che serve per far sì che il socialismo smetta di essere un’illusione.
 

10 dicembre 2009

Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura di F.R. del Centro di Cultura e Documentazione Popolare